Di seguito pubblichiamo il discorso pronunciato da Fabio Bergamaschi, sindaco di Crema, oggi in occasione delle celebrazioni per la Festa della Liberazione.
Grazie per essere presenti e partecipi in questa giornata tanto importante per la nostra comunità nazionale, in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo, si testimonia il valore dei diritti e delle libertà democratiche, si incarnano i principi e gli alti valori morali e politici della Resistenza e dalla Costituzione, sua figlia. Una giornata pregna di significato. La Festa madre, generativa, in quanto presupposto di ogni altra celebrazione civile nazionale. Perché il Lavoro, sotto il giogo della dominazione, sarebbe schiavitù e non emancipazione. Perché la Repubblica, senza Liberazione, nemmeno esisterebbe. Perché l’Unità nazionale, in uno Stato fascista, alieno alla democrazia, non sarebbe la celebrazione di un comune e genuino sentimento popolare di amor patrio, ma un semplice dato geografico di confini entro i quali si consumerebbero sopraffazioni e lacerazioni sociali. Nulla avrebbe il senso che oggi diamo allo svolgimento della nostra vita democratica e al valore che essa esprime nella convivenza sociale e nelle nostre singole vite.
Settantotto anni dopo, festeggiare questa giornata ha ancora una pienezza di senso. E’ memoria ed omaggio ai valorosi e giusti che vollero lottare per gli ideali di giustizia e libertà. A chi, autentico patriota, fu perseguitato, calpestato, violentato o esiliato per la sua opposizione al fascismo e al nazismo. Ai tanti che diedero la vita. E tanto basterebbe per conferire la più profonda solennità a questo momento. Per levarsi il cappello, inginocchiarsi o almeno sentirci coinvolgere intimamente da un pur rapido pensiero di consapevole rispetto.
Un 25 aprile da celebrare nella prospettiva della Storia, pertanto, come data di fondazione della nostra democrazia, presupposto di una società italiana mondata dagli orrori delle prevaricazioni totalitarie, avvio di una lunga stagione di pace, prosperità e stabilità. Ma un 25 aprile anche dell’oggi, che ci chiama alla responsabilità di saper leggere e contrastare, qui ed ora, fascismi di ogni risma e autoritarismi di ogni specie, sempre più protagonisti ed aggressivi nelle dinamiche globali, nelle quali siamo completamente immersi anche a fronte di frequenti distrazioni, miopie, sottovalutazioni, illusioni di estraneità o stolido menefreghismo.
La violenza come metodo è tornata nella storia. Devasta l’Ucraina nella brutale e ingiustificabile guerra di invasione russa avviata nel cuore dell’Europa. Opprime la rivolta di donne e giovani iraniani che anelano alle più elementari libertà, negate dal regime teocratico. Minaccia l’Indo-pacifico. Agita costantemente l’Africa.
Ogni retrocessione delle democrazie liberali presta il fianco a modelli di governo lontani dalla tutela e promozione dei diritti umani e della solidarietà sociale ed, anzi, esplicitamente avversi a questi.
Settantotto anni dopo, festeggiare questa giornata ha ancora una pienezza di senso. E’ memoria ed omaggio ai valorosi e giusti che vollero lottare per gli ideali di giustizia e libertà. A chi, autentico patriota, fu perseguitato, calpestato, violentato o esiliato per la sua opposizione al fascismo e al nazismo. Ai tanti che diedero la vita. E tanto basterebbe per conferire la più profonda solennità a questo momento. Per levarsi il cappello, inginocchiarsi o almeno sentirci coinvolgere intimamente da un pur rapido pensiero di consapevole rispetto.
Un 25 aprile da celebrare nella prospettiva della Storia, pertanto, come data di fondazione della nostra democrazia, presupposto di una società italiana mondata dagli orrori delle prevaricazioni totalitarie, avvio di una lunga stagione di pace, prosperità e stabilità. Ma un 25 aprile anche dell’oggi, che ci chiama alla responsabilità di saper leggere e contrastare, qui ed ora, fascismi di ogni risma e autoritarismi di ogni specie, sempre più protagonisti ed aggressivi nelle dinamiche globali, nelle quali siamo completamente immersi anche a fronte di frequenti distrazioni, miopie, sottovalutazioni, illusioni di estraneità o stolido menefreghismo.
La violenza come metodo è tornata nella storia. Devasta l’Ucraina nella brutale e ingiustificabile guerra di invasione russa avviata nel cuore dell’Europa. Opprime la rivolta di donne e giovani iraniani che anelano alle più elementari libertà, negate dal regime teocratico. Minaccia l’Indo-pacifico. Agita costantemente l’Africa.
Ogni retrocessione delle democrazie liberali presta il fianco a modelli di governo lontani dalla tutela e promozione dei diritti umani e della solidarietà sociale ed, anzi, esplicitamente avversi a questi.
La libertà non è data per sempre. Al contrario, necessita di un impegno costante e indefesso.
La Resistenza, in tal senso, non è affare di soli storici o curatori museali, ma patrimonio morale e culturale di ideali che non cristallizzano e che vivono nel quotidiano fluire della Storia. Valori che allora ispirarono l’impresa di un popolo in armi che contrastò e vinse chi impose la guerra, l’odio, il predominio, per aprire una stagione di pace, giustizia, democrazia e libertà. Valori che oggi sorreggono ancora questa impalcatura sociale.
La Liberazione, quindi, non può che essere un patrimonio nazionale di pieno riconoscimento collettivo. Perché i diritti, le libertà e la prosperità economica di cui godiamo sono i frutti prelibati di quella vicenda, con cui tutti noi nutriamo la nostra convivenza civile.
I “se” ed i “ma”, le enunciazioni esitanti, le formule evasive ed elusive di chi ancora non si riconosce nella Resistenza e nell’antifascismo sono intollerabili, specie quando messi in atto da chi ricopre ruoli di responsabilità nelle istituzioni repubblicane. Ma inammissibile, all’opposto, è anche la faziosa pretesa di alcuni di dirsi più partigiani di altri e di usare la Resistenza, più o meno inconsapevolmente, come elemento di frattura sociale, che non si limita ad ostracizzare i soli fascismi.
Minoranze, certamente. Ma il seme della divaricazione sociale e della volontà di sopraffazione, abbiamo detto, germina e cresce tra la distrazione e la sottovalutazione.
Volgiamo lo sguardo, allora, insieme verso il tricolore, che con il Comitato per la promozione dei principi della Costituzione abbiamo scelto come simbolo di questa giornata. Se in esso non vediamo una semplice tela colorata, ma avvertiamo un’appartenenza, è perché questo esprime tutto ciò che di buono, di bello e di giusto sappiamo creare nella società di oggi, in cui ci riconosciamo, di cui ci sentiamo parte. Una società libera, democratica, aperta. Una società antifascista. E allora tutti lo possiamo gridare: Viva la Liberazione, viva la Costituzione, viva la Repubblica, viva l’Italia!
La Resistenza, in tal senso, non è affare di soli storici o curatori museali, ma patrimonio morale e culturale di ideali che non cristallizzano e che vivono nel quotidiano fluire della Storia. Valori che allora ispirarono l’impresa di un popolo in armi che contrastò e vinse chi impose la guerra, l’odio, il predominio, per aprire una stagione di pace, giustizia, democrazia e libertà. Valori che oggi sorreggono ancora questa impalcatura sociale.
La Liberazione, quindi, non può che essere un patrimonio nazionale di pieno riconoscimento collettivo. Perché i diritti, le libertà e la prosperità economica di cui godiamo sono i frutti prelibati di quella vicenda, con cui tutti noi nutriamo la nostra convivenza civile.
I “se” ed i “ma”, le enunciazioni esitanti, le formule evasive ed elusive di chi ancora non si riconosce nella Resistenza e nell’antifascismo sono intollerabili, specie quando messi in atto da chi ricopre ruoli di responsabilità nelle istituzioni repubblicane. Ma inammissibile, all’opposto, è anche la faziosa pretesa di alcuni di dirsi più partigiani di altri e di usare la Resistenza, più o meno inconsapevolmente, come elemento di frattura sociale, che non si limita ad ostracizzare i soli fascismi.
Minoranze, certamente. Ma il seme della divaricazione sociale e della volontà di sopraffazione, abbiamo detto, germina e cresce tra la distrazione e la sottovalutazione.
Volgiamo lo sguardo, allora, insieme verso il tricolore, che con il Comitato per la promozione dei principi della Costituzione abbiamo scelto come simbolo di questa giornata. Se in esso non vediamo una semplice tela colorata, ma avvertiamo un’appartenenza, è perché questo esprime tutto ciò che di buono, di bello e di giusto sappiamo creare nella società di oggi, in cui ci riconosciamo, di cui ci sentiamo parte. Una società libera, democratica, aperta. Una società antifascista. E allora tutti lo possiamo gridare: Viva la Liberazione, viva la Costituzione, viva la Repubblica, viva l’Italia!
Fabio Bergamaschi
sindaco di Crema