Tutte le volte in cui vengono prese decisioni di ordine sociale o sanitario, da un lato risuonano apprezzamenti entusiastici e dall’altro si odono lamenti e dubbi sulla morte della democrazia.
E’ di queste settimane la diffusione del Piano Pandemico 2024-28, documento e indubbiamente circostanziato, che definisce ruoli e responsabilità istituzionali nella preparazione e risposta a un eventuale prossima pandemia.
Senza entrare nei particolari dei contenuti, possiamo dire che questi ultimi sono coronati da tante buone intenzioni (potenziamento della prevenzione, incremento dei laboratori di diagnosi e ricerca…). Tutto bene finalmente – anche in considerazione del modo contraddittorio in cui è stata affrontata l’ultima pandemia – non possiamo che sentirci rassicurati da questo piano che, con dovizia di particolari, considera tutti gli aspetti medici e sociali idonei al contenimento della pandemia.
A questo punto, però, scaturiscono i dubbi e i distinguo da parte degli scettici che si chiedono quanto le istituzioni nazionali e regionali siano pronte a recepire il piano, inoltre se il problema del personale sanitario (soprattutto quello attivo sul territorio), inadeguato per numero e preparazione specifica, non sembra prossimo a repentine soluzioni.
Senza soffermarsi sugli aspetti etici che devono ancora essere chiariti (luci, ma anche qualche ombra sui vaccini), vengono messi in luce i risvolti economico-finanziari di cui si è ripetutamente discusso in un recente passato.
Sul Financial Times Jeoffry Porges riferisce che la fornitura di 24 miliardi di dosi vaccinali costa 32 miliardi di euro, mentre i profitti per i produttori ammontano a 432 miliardi. Niente male, si dirà, meglio per chi ci guadagna …purché si facciano le cose come vanno fatte.
Bill Gates (che foraggia alcune case farmaceutiche) e i fondi finanziari (Black Rock, Vanguardia…) che sostengono Big Pharma, non sono filantropi disinteressati, nessuno lo pretende, ma è auspicabile che non tengano conto solo dei profitti.
Fermo restando che nessuno si sogna di mettere in dubbio l’appropriatezza della terapia vaccinale, qui entra in gioco il mio personale scetticismo, basato sulla convinzione che il capitalismo esiga un eccesso di produzione per promuovere i consumi (24 miliardi di dosi per la sola Europa!) . Se poi emerge che alcuni dei suddetti fondi investono anche nei social network e sono fra i maggiori finanziatori delle banche più importanti, qualche domanda ce la dobbiamo porre, credo.
Chi scrive non è di sinistra, ma ha il brutto vizio di cedere alle lusinghe del pensiero libero, anche a rischio di sbagliare!
Porsi domande, senza necessariamente trovare risposte, equivale a possedere una coscienza democratica che non ha nulla a che vedere con il facile e patetico complottismo. Ed è proprio questo il punto: perché non dovrei chiedermi se capitali di dimensioni “siderali” non possano interferire con le decisioni dell’OMS? Perché troppo denaro – che nessuno è più in grado di controllare – non dovrebbe rappresentare un pericolo per la democrazia? Perché il capitale “sano” non dovrebbe scendere a compromessi con le mafie per il commercio dell’oppio, necessario per la produzione dei farmaci antidolorifici?
Quando all’imperatore Vespasiano veniva rimproverato di accumulare denaro con le tasse sui bagni pubblici, rispondeva annusando i sesterzi : “pecunia non olet”.
Giuseppe Pigoli