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Anche le piante carnivore hanno fatto la loro comparsa alle Invasioni Botaniche di Cremona dell’aprile scorso: piante estremamente attraenti, parimenti inquietanti. Un vegetale che mangia un animale mah…; di solito è il contrario, tranne che nella fantascienza. Se poi consideriamo i meccanismi della funzione carnivora, abbiamo l’ennesima conferma che la realtà supera di gran lunga la fantasia.

La Dionaea muscipula J.Ellis (foto 1) detta anche Venere acchiappamosche, è la più famosa. Sarà per quella foglia che sembra una bocca di denti affilatissimi. In realtà son ciglia, che non servono per masticare la preda, ma per serrare la trappola che è l’espansione apicale  della foglia stessa modificata, una volta che la preda vi è rimasta chiusa dentro. 

E perché Venere? Perché Dionaia era un appellativo di Afrodite, la Venere greca, dea dell’amore e della bellezza, e così chiamata perché figlia di  Dione. In onore alla madre, dunque. Dionaea dunque perché di una leggiadria unica, affascinante. Bellezza, amore, attrazione, trappola mortale. Quattro parole che rivelano una versione della tragica ambivalenza della natura.

Di un fascino incredibile, ammaliante, era anche il canto delle Sirene che Ulisse non volle rinunciare ad ascoltare pur sapendo i rischi che  avrebbe corso; perciò si fece legare all’albero maestro della nave, mentre a tutti i suoi compagni fece tappare le orecchie, e dovette lottare con veemenza contro se stesso, ascoltando quel canto, pur di non riuscire a slegarsi e cadere pure lui nella trappola mortale.

Sull’Appennino si trova una pianta a rischio estinzione, la Daphne cneorum  (foto 2), che è detta odorosa per il magnifico profumo, uno dei più gradevoli che abbia mai sentito,  dei suoi bellissimi fiori. Eppure è ritenuta  velenosissima sia per contatto che per ingestione orale. In questi casi, ci troviamo a smentire la famosa frase di Dostoevskij secondo cui la “bellezza salverà il mondo” ; qua pare esattamente il contrario anche se per bellezza Dostoevskij intendeva qualcosa di diverso, non necessariamente riconducibile alla forma armonica ma più che altro all’inequivocabile manifestazione del bene.

Tornando alla Dionaea, qual è il meccanismo della sua trappola mortale? L’insetto, attratto dalla bellezza in particolare della parte interna rossa della foglia modificata, e dall’ottimo profumo di nettare liberato dalle sue ghiandole, vi entra, ma la trappola non scatta subito, perché ha bisogno che l’insetto sia messo in memoria, e che si muova una seconda volta. Solo allora scatterà, in maniera velocissima (tigmonastia) e per l’insetto sarà la fine.  Compiuto il ciclo, ogni 30/40 secondi, la memoria viene resettata e il ciclo riparte da zero.  Ma tutto questo si realizza solo se la pianta percepisce il movimento dell’insetto, perciò nulla avviene se, com’è cattiva abitudine, si posano sulla trappola degli insetti morti che servono solo a sfiancare la pianta.  Trattasi quindi di una memoria selettiva che serve alla pianta per ridurre al minimo il consumo energetico.

Tra le altre specie, l’Utricularia bisquamata (foto 3) è quella che ha il meccanismo carnivoro più sofisticato, stupefacente. Già i suoi piccoli fiori (foto 4) sono un incanto: quell’originale combinazione di colori tra il lilla del labbro inferiore tripartito e il giallo carico di quello superiore sporgente, sormontato da un cappuccio giallo pallido e sotteso da una striscia viola, che conferisce profondità all’immagine.  E poi quell’essere appesi a un lungo e sottile stelo fiorale completamente afillo, salvo che per la rosetta basale, di cui colpisce in diversi casi la perfetta verticalità,come un filo a piombo rovesciato, per cui la pianta si nota, nel suo habitat naturale, solo quando è in fiore. 

I fiori minuti, poi, sono la conferma della tendenza in natura a risparmiare sul fiore per destinare maggiore energia alla funzione carnivora, la cui struttura, la trappola, caso unico tra tutte le carnivore esposte, non si vede, essendo nascosta tra gli stoloni sommersi. 

Le trappole sono chiamate utricoli, analogamente ad organi dell’orecchio e della prostata, ma l’organo con cui hanno una più suggestiva attinenza simbolica è l’utero, da cui tutte e tre gli utricoli citati etimologicamente derivano essendo in latino utriculus, diminutivo di uter, ad indicare un piccolo utero/otre o vescica per la forma, donde il nome comune di Erba vescica. Il riferimento all’utero rappresenta il collegamento metaforico più sconvolgente alla pianta già trattata, la Dionaea, e alla sua tragica ambivalenza.

Ma prima vediamo come funziona questa macchina da guerra

L’utricolo è dotato di pareti sottili e trasparenti con una porta d’ingresso (bocca) più o meno circolare, sigillata da un’esile membrana chiamata velum. Attorno alla porta è prodotta una mucillagine che tra l’altro contribuisce ad attirare gli insetti preda.  Una volta riempitosi d’acqua, l’utricolo la pompa all’esterno finché le pareti vengono risucchiate dal sottovuoto che si crea ed il pompaggio si arresta per la pressione osmotica dovuta  all’aumentata concentrazione dei sali che trattengono l’acqua.  Ciò favorisce l’accumulo di energia che tuttavia non altera la porta ben sigillata dal velo.

Accade però che se un insetto tocca anche inavvertitamente i peli leva della porta,  la sigillatura salta per perforazione e la porta si apre automaticamente.  Grazie alla forte energia interna  accumulatasi, tutta l’acqua circostante, compreso l’insetto, vengono rapidamente risucchiati all’interno dopo di che la porta si richiude rapidamente. Il tutto avviene in un centesimo di secondo. L’insetto quindi viene digerito e assimilato.

Dal momento che abbiamo a che fare con la metafora uterina, come non collegare la perforazione del velum a quella della membrana imeniale durante l’amplesso amoroso? Un’amplesso mortale, però. E come non pensare all’amore per le sostanze zuccherine alla porta dell’utricolo, da parte dell’insetto? 

E Venere, l’appellativo della Dionaea, è la dea dell’amore, della bellezza, in riferimento alla quale la pianta, col suo fascino seducente, ammaliante, intrappola nelle sue fauci mortali le mosche incaute; ma è anche l’appellativo di donne bellissime, paragonabili alla dea, che hanno portato alla perdizione tanti maldestri,ingenui amatori nella storia e nel mito. La natura è molto intelligente: non c’è miglior modo per sviluppare l’efficacia delle trappole mortali, che renderle amabili!

Foto 5 Sarracinia salmon, 6 Nepenthes Sam, 7 Sarracinia alata black tube 8 Sarracinia alata ssp 9 Sarracinia flava x flava 10 Nepenthes Sam 11 Sarracinia flava var. rugelii 12 Sarracinia purpurea Canada 13 Sarracinia x moorei

 

Stefano Araldi

parte seconda

 

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