Settimana scorsa abbiamo ficcato il naso nel Cabinet Noir di Mitterrand, e non a caso. Il ruolo della Francia in alcune vicende oscure anche della nostra storia sta riemergendo negli ultimi tempi con insistenza: è avvenuto per il caso Mattei, dove le prove ora tendono sempre più all’ipotesi che non siano state le famigerate “Sette Sorelle” del petrolio USA a commissionare l’esplosione del suo jet ma bensì i terroristi francesi dell’OAS, che mai avrebbero perdonato al presidente dell’Eni di aver finanziato la rivolta algerina di Ben Bella. Lo stesso sta avvenendo per la strage di Ustica: hanno destato grande scalpore le recenti dichiarazioni di Giuliano Amato, secondo il quale l’esplosione sarebbe da attribuirsi ad un missile francese e non ad una bomba di matrice palestinese come da altre ipotesi.
Per onor di verità, il primo a sostenere questa ipotesi apertamente fu il tanto vituperato Cossiga pochi anni prima di morire, ma senza che la notizia facesse tutto questo clamore. Cossiga dichiarò che il DC9 italiano sarebbe stato abbattuto da un velivolo francese, probabilmente un caccia Mirage decollato dalla portaerei Clemenceau, e che i Servizi italiani informarono lui e l’allora sottosegretario alla Presidenza Giuliano Amato, per l’appunto. Ma allora perché ritirare fuori la questione proprio ora? Dal punto di vista giudiziario, la vicenda non ha mai avuto dei colpevoli se non alcuni militari italiani ma per negligenza nell’aver impedito l’incidente. Una tragedia cui il sospetto della mancanza di una verità plausibile ha aggiunto non solo maggior dolore ma anche una infinita coda di veleni e polemiche.
Secondo molti le dichiarazioni di Amato sarebbero uno sgambetto al governo Meloni, i cui rapporti con Macron sono da sempre piuttosto tesi: sarebbe dunque un “dispetto” del Dottor Sottile per tentare di isolare la Meloni in Europa, isolamento che è notoriamente l’incubo che perseguita la prima Premier di Destra dai tempi di Mussolini. Altri sostengono invece che Amato ritenga Macron un interlocutore adatto a collaborare con l’Italia e a fare chiarezza, mentre tutti i suoi predecessori hanno sempre steso un velo di severissima freddezza su questa questione, il che in un certo senso ne avvalora la tesi: è pur vero che Macron siede all’Eliseo da 7 anni, quindi forse il tempo c’era anche prima… Proprio in questi giorni l’ex ministro Andò ha confermato il gelido silenzio di Mitterrand quando durante una visita in Francia lui e Pertini abbozzarono il sospetto della mano francese, accidentale ovviamente. E in questi giorni sono letteralmente esplose dichiarazioni a raffica di ex politici, militari e diplomatici che pare abbiano improvvisamente ritrovato memoria e coraggio a sostegno dell’ipotesi francese.
Come ben noto, il 27 giugno 1980 alle 20:59 nel Mar Tirreno meridionale, tra Ponza e Ustica, il volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia, partito da Bologna verso Palermo, si spezzò improvvisamente in due e cadde in mare. Morirono 81 persone, nessun superstite. Io ricordo benissimo che per anni, per tutta la mia infanzia, lo strazio dei parenti e i dubbi sulla strage erano un interminabile refrain di tutti i telegiornali, tanto che in me la parola Ustica scatena immediatamente qualcosa di funesto.
Secondo la “pista francese”, obiettivo del Mirage che colpì per errore il DC9 sarebbe stato un Mig sovietico su cui viaggiava alla volta di Mosca il leader libico Gheddafi, che avrebbe avuto il permesso di sorvolare “ufficiosamente” i cieli italiani dal nostro Governo di allora, in quella che era la tradizionale politica estera “filo mediorientale non dichiarata” degli italiani che non volevano incorrere nelle ire degli USA ma nemmeno perdere i tanti benefici dei rapporti con il mondo arabo. Un favore non da poco a Gheddafi, considerato che il colonnello era uno dei principali obiettivi degli USA, che poi infatti gli bombardarono perfino il gabinetto di casa, ma anche una vera e propria ossessione per i francesi. Ossessione che si è protratta come tutti ben ricordiamo fino ai giorni nostri, quando Sarkozy decise di farla finita una volta per tutte e fece crollare a suon di caccia la dittatura libica, con tutte le conseguenze ancora oggi molto discusse e discutibili che analizziamo di continuo.
Ma perché questa ossessione verso Gheddafi, che rende plausibile la pista francese? Che gli fregava ai francesi della Libia? Forse il petrolio certo, ma anche un deciso sciovinismo tipicamente francese, che non ha mai consentito ai nostri cugini di rinunciare ad un po’ di “grandeur” coloniale: proprio Mitterrand nel 1983 dichiarava ancora deciso e solenne “io mi rifiuto di firmare la sparizione della Francia dal globo”. Tendiamo sempre un po’ a pensare solo all’Inghilterra come potenza coloniale, ma la Francia era di fatto padrona di mezza Africa e di mezzo Sud Est Asiatico fino gli anni ’60, poi tutto evaporò come ghiaccio al sole…
Oggetto del contendere, e origine di tutti i mali, fu la guerra tra Ciad e Libia combattuta per tutti gli anni ‘60 e ’70: il Ciad era un ex colonia francese governata dalla popolazione cristiana e francofona, cui però si opponeva la parte musulmana sostenuta poi appunto da Gheddafi, e sostenuta con successo dato che alla fine i francesi dovettero mollare. Ci aveva provato anche il predecessore di Mitterrand, Valery Giscard D’Estaing, a far cadere Gheddafi nel Ciad: inviò perfino la Legione Straniera ma non ci fu nulla da fare, l’Africa decisamente non gli portava fortuna, visto che cadde sullo scandalo dei diamanti di Bokassa… E successe proprio la settimana prima della strage, il 15 giugno, che il leader ciadiano Goukouni firmasse un trattato che legittimava la presenza militare libica in Ciad. Ai francesi non è davvero mai andata giù, e la concomitanza temporale con Ustica è davvero da brividi…Ci riprovarono ancora nel 1984 in Ciad, a 4 anni dalla strage e sotto la presidenza Mitterrand, con una nuova operazione militare per cacciare i libici, ma anche stavolta senza esito, tanto che col dittatore che aveva il brutto vizio di cavarsela sempre dovettero siglare un accordo a Cipro l’anno dopo.
Sono solo fatti storici che fanno da base a delle ipotesi, ma di certo come sempre accade, anche per Ustica il tempo renderà forse i segreti molto più facili da rivelare e la verità molto meno scomoda da mostrare. Come disse qualcuno, la verità è un pasto dalla digestione lunghissima.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano