Il sindaco Galimberti tra una e l’altra delle sue abbondanti e frequenti risatine male dissimula la sua vocazione a trattare con autoritarismo i suoi amministrati. Ipse dixit, per intenderci. Capita che a volte l’entusiasmo lo trascini, si lasci andare e, vibrante di pathos, esclami rivolto ai profughi afgani che fortunatamente non possono sentirlo: ‘Vi ospiteremo a casa nostra!’.
Mi scusi Galimberti, diventi serio e precisi: concretamente a casa di chi? Mi spieghi perché non vorrei sbagliare: il sindaco non dovrebbe essere solo amministratore e manutentore pro tempore di beni che non sono suoi? E può disporre dell’utilizzo di proprietà private per destinarle motu proprio in toto o in parte a chi ritenga opportuno? Non credo proprio. Del resto non è lecito imporre la beneficenza: la si può auspicare, sollecitare garbatamente, ma imporre mai. Mi risulta che S. Martino abbia dato al povero metà del proprio mantello e non la metà di quello di un passante ignaro e sconosciuto. E allora Galimberti non prometta ciò che non è suo, lasci che i cittadini intervengano secondo la propria coscienza e non secondo un’imposizione per altro non esente da propaganda. La prossima volta che va dal vescovo Antonio Napolioni gli proponga di aprire il palazzo vescovile e tutti gli edifici di proprietà ecclesiastica all’accettazione dei profughi. Non mancherà l’appoggio generoso della disinteressata e caritatevole ‘Compagnia delle Indie’ come l’aveva genialmente definita un amico parlamentare.
Gianni Carotti