Uomini che (non) odiano le donne: Generazione Z e Alpha
“Quello che devi capire è che tuo padre è stato il tuo modello di Dio.” (Fight Club, 1996)
Parlare oggi di parità di genere significa toccare uno degli argomenti più caldi del momento, in particolare, quello che più di tutti ha a che fare con un autentico scontro generazionale con il patriarcato, un duello rusticano a colpi di retaggio culturale.
La parità di genere è un discorso molto interiorizzato dai ragazzi della Generazione Z (i nati tra il 1997 al 2010): non li colpisce direttamente almeno finché non iniziano a lavorare, cioè quando si trovano a doversi confrontare con le generazioni precedenti, le loro questioni irrisolte.
Li colpisce però indirettamente, essendo una generazione molto sensibile in tema di ingiustizie. Parità di genere, uguaglianza razziale, ambientalismo.
La Generazione Z non ha una storia comune: non esce da una guerra, non ha vissuto il boom economico, non è scesa in piazza nel suo ’68.
Il suo racconto condiviso sono le ingiustizie di cui è figlia. Un rapporto abrasivo con le scorie del passato recente, che diventa lotta sociale.
È una generazione che raccoglie gli errori dei padri: non sa esattamente se e come riuscirà a risolverli, ma sente la necessità di doverlo fare.
Si può dire lo stesso anche per una parte della generazione Millenials (i nati tra il 1981 e il 1996) almeno in termini di approccio. Ma in tema di parità di genere, la più stretta vicinanza, anche solo temporale, alla società patriarcale non è un fattore da sottovalutare.
A questo proposito la Generazione Z (e ancora di più la successiva Generazione Alpha, i nati dal 2010 ad oggi), porta con sé enormi cambiamenti culturali in tempi brevissimi.
La Generazione Z-Alpha sembra avere spinte totalmente nuove: è cresciuta con i social network, spazi digitali (apparentemente) molto democratici, dove non a caso sono spesso le donne ad essersi costruite dei veri propri imperi finanziari (la cremonese Chiara Ferragni ad esempio, ma anche la giovane miliardaria Whitney Wolfe co-fondatrice di Tinder), oasi lavorative indipendenti, tranne che dal gradimento, che hanno creato nuove figure professionali. Spazi molto sensibili, appunto, alle questioni sociali. Troppo, alle volte, tanto da diventare vittima di un politicamente corretto ossessivo, ai limiti della censura. Questo il problema di fondo della Generazione Z-Alpha: esistere, ma solo in contrapposizione a qualcosa. Una volta esaurite tutte le battaglie sociali da combattere, sulle quali si fonda la sua identità, la Z-Alpha Gen si ritroverà davanti un vuoto da colmare, finendo forse vittima di sé stessa, trasformandosi nel censore che ha sempre dichiarato di combattere. Ma è ancora presto per tutto questo.
Nel mondo a venire
La cultura della famiglia patriarcale non è un’eredità solamente maschile, ma ha influenzato ovviamente la percezione delle donne stesse, “abituate così”, per cui la gerarchia patriarcale era il solo sistema possibile. Ma quando per le donne si è aperta la possibilità, non solo di lavorare, ma più nello specifico di costruirsi una carriera, la distribuzione delle forze famigliari ha dovuto diventare più democratica. Non è più l’uomo quello che per forza “porta i pantaloni”. A questo punto la struttura patriarcale potrebbe non essere più in grado di rispondere ai bisogni modificati della società: sopravvivrà ancora, ma non sarà più il modello unico.
In questo senso, una grossa incognita femminile rimane la maternità, un grosso trade-off tra efficienza ed etica, per una donna che vuole costruirsi una carriera e al contempo fare la mamma.
Un “lavoro”, quello della madre, gratuito e non riconosciuto, eppure fondativo della società, del benessere dei figli, ma sempre posto più in basso rispetto a una carriera professionale. Ovvie le conseguenze: sempre più donne costrette a decidere tra la propria carriera e avere un figlio, calo a picco delle natalità e una società di uomini e donne che lavorano 24 ore al giorno sette giorni su sette. Una società che smette di riprodursi.
Paradossalmente, una società talmente efficiente e produttiva da estinguersi.
Questo cambiamento dei ruoli lavorativi e famigliari, ancora in utero ma che si muove verso la tanto rivendicata parità di genere, porta con sé un attacco alle convinzioni maschili, prima stabilite “di diritto” dal patriarcato e ora costrette a ridefinirsi.
E gli uomini come reagiscono a questo spostamento sulla bilancia?
Pressati tra un femminismo aggressivo e il bisogno di ridefinire il proprio ruolo, gli uomini oscillano tra le due condizioni estreme, tra machismo e omosessualità, tra una virilità ipertrofica e autocelebrativa e la sua rinuncia totale. Le reazioni alle conquiste sociali del “sesso debole” diventano estreme.
I dati Istat sull’aumento dei femminicidi (in ambito famigliare o di coppia) ci dicono +25% negli ultimi 15 anni. Significativo. Con la parte sommersa dell’iceberg che è quasi sicuramente maggiore, considerando la difficoltà nel denunciare questo tipo di violenza. Dati alla mano, non ci si può nascondere.
La cosa positiva è che si comincia a parlarne.
Nei prossimi anni la parità di genere sarà chiamata a spostarsi dal diritto a una questione di educazione. Educazione generazionale. In breve? Da un’applicazione farisaica (per dirla alla Draghi) di leggi in favore delle pari condizioni tra uomini e donne (leggi comunque necessarie alla transizione, ad esempio le quote rosa), si dovrà passare ad un’applicazione culturale, non scritta. Figlia di un’educazione che ti ha spiegato che, a parità di bravura, una donna non è uguale a un uomo, ma ha lo stesso suo valore. In questo la Generazione Z-Alpha contiene già i semi del cambiamento. Ma va supportata.
Le cose cambiano da sempre. Il mondo cambia da sempre. Quello che fa la differenza è la velocità con cui avvengono i cambiamenti. Le società in qualche modo devono avere il tempo di rielaborare. Oggi sono obbligate a farlo sempre più in fretta.