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8 marzo. Quote rosa e parità di genere

7 Marzo 2021

Da ragazzo per essere aggiornato sull’argomento della Parità di genere avevo letto molte cose tra cui il libro che allora andava molto di moda, e di cui tutti parlavano: ‘Dalla parte delle bambine’, un saggio del 1973 di Elena Gianini Belotti, oggi considerato ancora molto attuale, che indaga i motivi socio-culturali in cui germogliano gli stereotipi di genere. Non vi è dubbio che da allora molto è stato fatto ma molto ancora si può e si deve fare per una cultura che vada nella direzione della parità di genere.

A questo punto, per meglio far comprendere i sentimenti che provavo su questo importante argomento, e, quindi, quale era il mio pensiero al riguardo, ritengo opportuno attingere alla scheda dei ricordi e riandare ad alcuni episodi della mia famiglia (allargata) anche per meglio illustrare qual era il sentimento dominante all’interno di questa sulla parità di genere.

E anche in questo posso dire di essere fortunato perché, nella famiglia nella quale sono nato, non si facevano differenze tra maschi (quattro) e femmine (due) in quanto già mia madre, classe 1910, aveva iniziato a guidare la macchina, su strade private, a 16 anni, aveva conseguito la patente di guida, da privatista, non appena compiuti i 18, e, non più giovane, era stata premiata dall’Automobile Club come donna, ancora in attività di guida, con una delle patenti più antiche d’Italia. 

Quando le auto non avevano ancora il cambio sincronizzato e, pertanto, occorreva fare la doppietta o la doppia debraiata come si diceva un tempo, soleva dire, con molto garbo, che Lei non aveva mai fatto cantare le marce o, come si dice adesso,  non aveva mai fatto delle sonore grattate. Campionessa italiana juniores di pattinaggio artistico a coppie, andava a cavallo, era amante della fotografia e, dagli anni Trenta, possedeva una cinepresa che maneggiava con passione e grande perizia. 

Iscritta, dopo il liceo classico, alla facoltà di Lettere, amava girare il mondo, prima con una sua cugina un poco più anziana di Lei e, poi, da sposata con mio padre, naturalmente con me  ed i miei fratelli.

Ricordo, per averlo sentito raccontare innumerevoli volte, un episodio che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche ma, mi piace anticiparlo, conclusosi felicemente, occorsole prima della maggiore età insieme, appunto, alla sua cuginetta meno giovane di Lei.

Verso la fine degli anni Venti, erano al colle del Sestrière, per una vacanza invernale di una settimana,  proprio nel luogo dove poi sarebbe sorta la rinomata località sciistica internazionale e dove non erano ancora stati costruiti gli impianti di risalita e gli alberghi ed esisteva unicamente il rifugio Possetto, aperto da quello che allora era il capo cantoniere della strada.

Ebbene le cuginette, provette sciatrici, erano partite di buon mattino con le pelli di foca sotto gli sci e, dopo aver raggiunto il col Basset, sito a 2400 metri di quota, ed aver consumato un frugale pasto, avevano iniziato la discesa verso il  Sestrière. 

E qui l’imprevisto: la mia Mamma, tradita da un forte accumulo di neve marcia – il col Basset è molto esposto al sole ed al vento – era caduta rovinosamente ma gli attacchi, invero all’epoca molto rudimentali e non di sicurezza, non si erano sganciati. Risultato della caduta una brutta frattura del perone. Ma questo non era niente, in quanto all’epoca non solo le piste non erano battute ma non erano neppure sorvegliate né esisteva, come ora, il servizio di chiusura delle piste svolto da esperti e provetti soccorritori in grado di portare a valle, con perizia, gli infortunati o, comunque, di prestare in tempo reale il necessario aiuto.

Ma la fortuna aiuta sempre gli audaci e così fu anche in quella circostanza. 

Di lì a poco, infatti, due giovanotti, in seguito qualificatisi come studenti universitari torinesi, avevano iniziato proprio quella discesa e risposto alla richiesta di aiuto delle due giovani signorine. Toltisi, poi, le cinture dei pantaloni avevano improvvisato una barella con gli sci sulla quale avevano adagiato la mia Mamma portandola così in salvo, sia pure giungendo al colle quando già si era fatto buio e stava per partire una squadra di ricerca e soccorso.

Inutile dire che la positiva guarigione era stata, in seguito, festeggiata, con una bella sciata, di nuovo al  Sestrière.

In un ambiente del genere era inevitabile che anche le mie sorelle, sin da ragazzine,  abbiano potuto godere di grande, meritata libertà, o come si diceva un tempo, emancipazione, in quanto agli inizi degli anni 60, precorrendo i tempi,  andavano l’una in Lambretta e l’altra in Vespa, in pantaloni, suscitando commenti alle volte eccessivi ed ingiustificati che, però, non sfioravano neppure minimamente la nostra famiglia, in quanto espressioni di un mondo provinciale, retrogrado e forse anche un poco bigotto.

Per le superiori, una era andata a studiare in Svizzera, in quanto aveva scelto di diventare interprete parlamentare, e, all’epoca, l’unica scuola era appunto a Ginevra, e l’altra a Firenze, presso un rinomato e prestigioso liceo classico. 

Inutile aggiungere che la prima è diventata interprete parlamentare, laureandosi, poi, in lettere, sempre a Ginevra, e divenendo professoressa di letteratura non italiana, ma francese, presso quell’ateneo, e, la seconda, conseguita la laurea in Filosofia, ha  iniziato la carriera dell’insegnamento.

Soggiungo che, vivendo in una famiglia numerosa, siamo stati abituati, fin da ragazzini, a ricoprire ruoli che, nei primi anni 60, erano tradizionalmente ed ingiustificatamente attribuiti e riservati alle persone di sesso femminile. Mi riferisco, in particolare, alle incombenze domestiche. Nella nostra famiglia, invece, erano stati stabiliti turni di servizio settimanali per il disbrigo di alcune attività come apparecchiare e sparecchiare la tavola e lavare i piatti. Attività queste che, all’inizio, avevano suscitato l’ilarità o i sorrisini di alcuni conoscenti, ma non quella dei miei amici più cari che erano entrati nel mondo dello scautismo, movimento educativo non formale di giovani che si propone come obiettivo la formazione integrale della persona, prima come lupetti e poi come scout.

Quote rosa.

Quote rosa: provvedimento (in genere temporaneo) teso a equilibrare la presenza di uomini e donne nelle sedi decisionali (consigli di amministrazione, sedi istituzionali elettive e così via) effettuato introducendo obbligatoriamente un certo numero di presenze femminili. Il provvedimento mira a ridurre la discriminazione di genere e in particolare a consentire alle donne di sfondare il glass ceiling (soffitto di vetro), ovvero la barriera invisibile che impedirebbe alle donne di accedere a incarichi prestigiosi e ai centri nei quali si prendono decisioni. Per esempio, in Italia le donne rappresentano il 17,1% degli eletti alla Camera dei deputati e il 14% al Senato, al quartultimo posto tra i 27 stati dell’Unione (appena prima di Polonia, Cipro e Malta, dati ISTAT 2006). Sempre in Italia, le donne occupano il 4% dei cda, rispetto all’11% della media europea (Treccani).

 

Sulle Quote rosa sono state scritte molte pagine, non tutte belle, ma il solo fatto che se ne continui a parlare ed a scrivere sta a significare che la vera parità tra uomo e donna è ancora di là da venire.

Ricordo brevemente che, in Italia, il suffragio femminile fu in parte introdotto dal governo Bonomi che decretò l’emancipazione delle donne, che ne consentiva la nomina immediata a cariche pubbliche.

Il 31 gennaio del 1945, infatti, con il Paese diviso ed il nord sottoposto all’occupazione tedesca, il consiglio dei ministri presieduto da Ivanoe Bonomi emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n. 23). 

Le donne, il 2 giugno del 1946, votarono per il Referendum istituzionale e per le elezioni della Assemblea costituente ma già nelle elezioni amministrative precedenti avevano votato risultando, in numero discreto, elette nei consigli comunali (le elezioni non si svolsero nella Venezia-Giulia e nell’Alto Adige perché erano sotto l’occupazione alleata).

Inoltre, il 2 giugno 1946, il suffragio universale e l’esercizio dell’elettorato passivo portarono per la prima volta in Parlamento anche le donne. Si votò per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente che si riunì in prima seduta il 25 giugno 1946 nel palazzo Montecitorio. 

Su un totale di 556 deputati furono elette 21 donne: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito socialista e 1 dell’Uomo qualunque. 

‘Alcune di loro divennero grandi personaggi, altre rimasero a lungo nelle aule parlamentari, altre ancora, in seguito, tornarono alle loro occupazioni. Tutte, però, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative. Donne fiere di poter partecipare alle scelte politiche del Paese nel momento della fondazione di una nuova società democratica. Per la maggior parte di loro fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Con gradi diversi di impegno e tenendo presenti le posizioni dei rispettivi partiti, spesso fecero causa comune sui temi dell’emancipazione femminile, ai quali fu dedicata, in prevalenza, la loro attenzione. La loro intensa passione politica le porterà a superare i tanti ostacoli che all’epoca resero difficile la partecipazione delle donne alla vita politica’ (Biblioteca del Senato. Emeroteca. Le donne della Costituente. Ottobre 2008):

Dopo di allora sono intervenute molte leggi che hanno decretato la parità tra i due sessi ma,  il solo fatto che siano state emanate, ha sancito un ritardo nell’applicazione del principio enunciato dall’articolo 3 della Carta costituzionale.

Tra queste, degna di particolare nota, la nuova formulazione dell’articolo 51 della Costituzione che ha introdotto un secondo periodo al primo comma del predetto articolo che, così recita: A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini (articolo 1 della legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1).

Ciò a seguito del Progetto di legge n. 1583 della XIV Legislatura, nel quale veniva ricordato che ‘L’insufficiente rappresentanza femminile nelle cariche elettive e la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica del Paese è un problema largamente avvertito dall’opinione pubblica e costituisce, altresì, un dato incontrovertibile. Basti pensare, infatti, che nell’ultima consultazione elettorale si è assistito ad una ulteriore diminuzione della già bassa percentuale di donne elette nel Parlamento.
Tale situazione certamente non comporta un deficit democratico giacché la scelta degli eletti è espressione del libero voto dei cittadini. Tuttavia, non v’è alcun dubbio che essa implichi un difetto di rappresentatività della parte femminile della popolazione.
Ciò contrasta sia con il dato numerico, in quanto le donne costituiscono la maggioranza del corpo elettorale, sia con il livello culturale e professionale raggiunto in ogni campo della società civile .
Occorre, pertanto, dare maggiore forza alle disposizioni costituzionali in modo che esse siano in linea con i mutamenti che la società italiana ha avuto negli ultimi cinquanta anni. Si tratta di un cambiamento che deve avvenire a più livelli e che implica una mutata coscienza del ruolo della donna nella società.

Provvedere al riequilibrio è esigenza, dunque, tanto evidente quanto non più procrastinabile.

Giova ricordare, anche, che la Corte Costituzionale si è occupata più volte di tale problematica e, a tale proposito, desidero ricordare la sentenza n. 49 del 2003 con la quale il giudice delle leggi, a differenza di quanto sostenuto nella sua precedente giurisprudenza, ha ritenuto che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso  non è requisito ulteriore di eleggibilità e di candidabilità dei singoli cittadini: l’obbligo imposto dalla legge, infatti, concerne le sole liste e i soggetti che le presentano, vincolando non certo l’esercizio del voto o i diritti dei cittadini eleggibili, ma la formazione di libere scelte dei partiti e dei gruppi, precludendo loro soltanto la possibilità di presentare liste costituite da candidati tutti dello stesso sesso.

Tale vincolo negativo, inoltre, opera solo nella fase anteriore alla competizione elettorale; la scelta degli elettori – tra le liste e, all’interno di queste, tra i candidati – non ne risulta quindi in alcun modo condizionata, tanto più che la normativa in questione prevede la possibilità di esprimere un voto di preferenza.

Le disposizioni in esame introducono, quindi, un vincolo legale alle scelte di chi forma le liste, ma non si tratta di un vincolo tale da incidere in modo significativo sull’equilibrio della rappresentanza, poiché la mera presenza tra i candidati di una lista non è certo garanzia di risultato (cioè, dell’essere eletti). La disciplina, peraltro, non introduce differenziazioni in base al sesso dei candidati poiché si riferisce indifferentemente ai candidati di entrambi i sessi.

La Suprema Corte ha, poi, ricordato che le norme impugnate vanno interpretate anche in relazione all’intercorsa evoluzione del quadro costituzionale, che ormai considera doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle cariche elettive. Azione promozionale che, in questo caso, è realizzata attraverso la misura minima di una non discriminazione, ai fini della candidatura, a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi.

 

Il personale femminile nelle Forze Armate italiane


L’entrata in servizio di personale femminile nelle Forze Armate italiane è un argomento di cui sia la pubblica opinione che le istituzioni militari discutono dal 1963, anno in cui la legge 9 febbraio 1963, n. 66, recante ‘Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni’, pur consentendo l’accesso delle donne a tutte le cariche pubbliche, ha mantenuto una riserva sulla possibilità di arruolamento nelle Forze  Armate.
L’opinione pubblica ha, così, sviluppato, nel corso degli anni, una cultura ed una sensibilità di base sulla questione, che, progressivamente, hanno condotto all’istituzione del servizio militare volontario femminile. Il concetto di ‘donna soldato’ nasce, dunque, esclusivamente come richiesta della società civile.
L’approvazione della legge che consente l’ingresso delle donne nelle Forze Armate e, quindi, nei Carabinieri e nella Guardia di Finanza (legge 20 ottobre 1999, n.66) risponde in modo aderente sia alle aspirazioni femminili sia alle esigenze delle Forze Armate, ormai pronte per accogliere le donne nei propri ranghi. Non a caso, la possibilità di reclutamento delle donne avviene durante la fase attuativa del nuovo modello di Difesa, aderente ai nuovi compiti e scenari operativi previsti per le Forze Armate (incremento delle missioni a carattere internazionale, attività di mantenimento della pace), per assolvere ai quali è essenziale uno strumento interamente professionale e pienamente integrato con quelli dei Paesi europei e NATO che annoverano, da molto più tempo, personale femminile nelle loro fila. Siamo oramai alla parità negli impieghi e, da non molto tempo, è caduto quello che sembrava un baluardo inespugnabile con l’ingresso delle donne nei Carabinieri e nella Guardia di Finanza.

Quote Rosa nel Consiglio di Amministrazione

Con legge 12 luglio 2011, n.120, sono state apportate significative modifiche al T.U. delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, allo scopo di tutelare la parità di genere nell’accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. Tale legge ha aggiunto, all’articolo 147-ter del TUF, il comma 1-ter il quale prevede espressamente che ‘Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti’, rimettendo allo statuto l’implementazione delle modalità di eventuale sostituzione e formazione delle liste per l’elezione. Tale prescrizione si applica, però, solo per tre mandati consecutivi e, quindi, terminerà la sua efficacia nel 2022.   

Un cambiamento di punto di vista

Mi affretto a terminare questo breve excursus sul tema della parità di genere, citando le parole del presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, pronunciate in Senato in occasione del discorso per ottenere la fiducia, parole che mi hanno intensamente e favorevolmente colpito, e che, data l’autorevolezza di chi le ha espresse, non potranno che essere confermate in fatti concludenti per ulteriormente ridurre il grande divario di genere ancora esistente nel nostro Paese.

‘Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge, richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e ad un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro’. Una dichiarazione non significa niente se non è seguita dai fatti. Ma le parole di Mario Draghi oggi in Senato intanto segnano un cambiamento di approccio al tema della parità di genere. Menomale.

Talvolta il fatto che si debba ‘chiedere il permesso per avanzare’ è una verità che viene nascosta dietro una strumentale esigenza di mantenere l’unità del partito o del movimento, dietro l’esigenza di mantenere l’equilibrio tra le correnti oppure non viene nemmeno spiegata. Di fronte a questo scenario, due sono le strade: o le donne riescono ad allearsi in una battaglia comune anche a costo di mettere in pericolo l’equilibrio delle correnti; oppure fanno la loro battaglia nelle correnti affinché i capi-corrente non siano più solo maschi, ed è questa la strada più realistica oltre che quella preferibile perché tutela il confronto democratico tra una pluralità di voci nello stesso partito.

Ma questa è la parte più difficile. Perché se c’è una verità indiscussa in tutto questo è che gli uomini avanzano automaticamente in tutti gli ambiti e professioni, alle donne invece si chiedono prove continue di competenza. In altri termini: sono chiamate a dimostrare almeno il doppio di quanto debbano dimostrare gli uomini per assumere posizioni di rilievo nelle professioni.

E’ questo il vero soffitto di cristallo da abbattere. Questione di mentalità, non solo maschile ma anche femminile, che non dipende direttamente o solamente dalle decisioni del governo. Dipende anche da ognuna, ma gli uomini non si sentano esentati, naturalmente.

Per iniziare sarebbe un bene se tutto questo dibattito nato a ‘babbo morto’ sulla carenza di donne nel governo Draghi e nessuna del Pd, si allargasse per inquadrare le radici del problema. Altrimenti resterà un bel dibattito più mediatico che politico, che guarda solo la punta dell’iceberg, ‘aiuto non ci sono ministre!‘, senza considerare il fatto che non ci sono ‘ministre’ perché prima non ci sono state leader donne, figure che emergano per competenza e carattere e non perché siano semplicemente donne ‘scelte’ per coprire la casella quota rosa.

Ma per emergere per competenza bisognerebbe smetterla di parlarsi addosso sulla parità di genere, smettere di invocarla e cominciare ad ‘agirla’. Come? Parlando d’altro, dimostrando di saper fare nel proprio campo, che sia una professione o uno sport, in politica o in economia, in fisica, nel mondo dell’accademia o nel giornalismo. Farsi largo a gomitate, senza perdere tempo in un dibattito che resta importante per il discorso pubblico a patto che non sia fine a se stesso, sennò diventa un cane che si morde la coda. Desolante. E noioso.

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