Nella vita di molte persone c’è un prima e un dopo. Ci sono fatti che modificano l’esistenza in peggio o in meglio e che in alcuni casi determinano un cambiamento radicale. Un evento totalmente imprevisto e che ha segnato un nuovo inizio è capitato nel 1984 al maestro di sci e alpinista Lino Zani. L’incontro con papa Wojtyla, seguito da assidue frequentazioni che hanno cementato un rapporto di vera amicizia, lo ha segnato in modo indelebile. Ancora oggi che è l’affermato conduttore della rubrica settimanale di Raiuno Linea Bianca quando parla di quel primo contatto col Pontefice e dei loro colloqui, immersi nel silenzio delle montagne, o nelle stanze ovattate del Vaticano, riprova quelle emozioni che scavandolo nel profondo dell’anima lo hanno trasformato. Di quell’esperienza straordinaria e assolutamente imprevista e della sua vita ricca di soddisfazioni Lino Zani ha parlato in un affollato incontro organizzato a Cremona, a Cascina Moreni, Lions Club di Casalbuttano. Il presidente Palmiro Fanti ha introdotto l’ospite, che poi è stato intervistato dal giornalista Vittoriano Zanolli.
Zani ha un aspetto massiccio che cela un’insospettata gentilezza e una non comune disponibilità al dialogo e al confronto. La tempra è quella di chi ha trascorso gran parte dei suoi 65 anni sui monti, i suoi, tra Ponte di Legno, il ghiacciaio dell’Adamello, e quelli di tutto il mondo. Ha scalato diversi ottomila, compreso l’Everest, arrivando a pochi metri dalla cima dove s’è fermato per non mettere a repentaglio la vita del suo compagno di scalata che già aveva perso le dita perché congelate. Tra un’ascensione e l’altra e in mezzo molte gare di sci vinte e la possibilità di entrare nella valanga azzurra e di partecipare ai mondiali, Zani ha avuto il tempo di laurearsi in Scienze della comunicazione. La sua vita, comunque diversa da quella della maggiore parte di noi, cambia con l’arrivo del Papa, che atterra in elicottero sull’Adamaello, nei pressi del rifugio della Lobbia Alta gestito dalla famiglia Zani. E’ luglio dell’84. Wojtyla vuole trascorrere qualche giorno di vacanza. Per ragioni di sicurezza a tutti viene impartita la consegna del silenzio. Ma l’arrivo del capo dello Stato Sandro Pertini, desideroso di passare qualche giorno in compagnia dell’amico Karol, rende di dominio pubblico l’evento. Terminata la vacanza, il settimanale Gente chiede a Zani di vendere le foto dei due insieme, ma lui rifiuta, rinunciando a 200 milioni di lire. Anche questa decisione contribuisce a cementare il loro rapporto fino alla morte del Pontefice, 21 anni dopo.
Zani mantiene il riserbo su questo legame fino alla beatificazione quando decide di raccontarlo nel libro ‘Era santo, era un uomo. Il volto privato di Papa Wojtyla’ (Mondadori, pagine 184, euro 18,50, con Marilù Simoneschi). L’arrivo del Pontefice sull’Adamello era stato preceduto dalla visita di quattro sacerdoti polacchi. ‘Non sapevamo che uno di loro era don Stanislao Dziwisz, l’assistente personale del Papa. Il posto gli piacque. Gli sembrò idoneo alle vacanze del pontefice. Noi all’inizio non riuscivamo a crederci, poi il Papa arrivò davvero – ricorda Zani -. Wojtyla sciava bene, non gli ho mai dato lezioni, semplicemente lo accompagnavo. Era sereno, felice. A volte diceva che lassù era libero mentre a Roma si sentiva in prigione. La montagna lo riportava alla giovinezza, al tempo che aveva trascorso nei monti Tatra. C’era qualcosa di mistico nel suo rapporto con la montagna. A volte si fermava, si isolava e pregava per ore seduto su un sasso. Sentivo che promanava da lui un’energia particolare. Non ho mai avuto dubbi sulla sua santità’. In quei giorni, parlando con Zani, il Papa scoprì che durante la prima guerra mondiale suo padre era uno dei soldati polacchi mandati nella zona dell’Adamello sul Carè Alto. Ne restò impressionato. Nel libro si parla del terzo segreto di Fatima che recita: ‘Un vescovo vestito di bianco salirà su una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia’. ‘Il Santo Padre – racconta Zani – volle salire alla croce di Cresta Croce, che è fatta proprio così, e lì lo vidi meditare a lungo. Nel resto del segreto ci sono molte altre similitudini con luoghi e fatti accaduti sull’Adamello’.
Al termine di quel primo incontro, il Papa chiese al suo ospite di deporre una croce in cima a tutte le vette che in seguito Zani avrebbe scalato. E così è stato. Ne ha collocate due anche agli estremi opposti della Terra, ai poli. In ventun anni si sono incontrati numerose volte. ‘Capitava anche che mi telefonasse per invitarmi a sciare insieme sulle montagne laziali. Più che un invito era un ordine, che accettavo sempre con entusiasmo’. Lino è stato vicino a Karol sino alla fine, frequentandolo anche quando la malattia gli aveva tolto autonomia fisica, ma non lucidità. Nel corso dell’ascensione al McKinley, il monte più alto della catena dell’Alaska, Zani precipitò per ventuno metri, finendo in un crepaccio. Riportò numerose ferite, anche gravi: ‘E’ stato un miracolo. Santo Giovanni Paolo mi ha salvato la vita’.
Tra gli aneddoti e gli insegnamenti appresi in un periodo così lungo di frequentazione assidua, Zani ricorda in particolare un colloquio e una frase che racchiude una lezione di vita. Un giorno il Papa gli chiese: ‘Che cosa ti spinge a scalare una montagna?’. ‘Vedere che cosa c’è dall’altra parte’ rispose Lino. ‘Ma quando si raggiunge la vetta – replicò il Papa – ci attende la parte più difficile, che è la discesa’.