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Prendere la classifica del gradimento dei sindaci dei capoluoghi di provincia e infierire su Andrea Virgilio, primo cittadino di Cremona, ma tra gli ultimi in graduatoria, equivale a picchiare un bambino. Oppure a sparare sulla Croce Rossa. Ci sarebbe anche l’opzione scatologica, più popolare e legata a bisogni fisiologici, ma è pleonastico citarla. Infierire sarebbe da maramaldi, ma Virgilio non è Francesco Ferrucci, mito delle maestre degli anni Cinquanta, con la penna rossa e alcune anche con lo scappellotto facile. Quelle che, con enfasi melodrammatica di un film con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson e la regia di Raffaello Matarazzo, citavano il famoso «Vile, tu uccidi un uomo morto!», pronunciato dal condottiero toscano, ferito e inerme, prima di essere vigliaccamente infilzato dalla spada del comandante nemico.  Maramaldo, appunto.

Quel Vile, uccidi un uomo morto, interiorizzato e trasformato in mantra dai ragazzini di allora, oggi ultrasettantenni, che giocavano a cappa e spada con bastoni di legno lungo il fiume o nella piazza della chiesa.  

Virgilio non è Francesco Ferrucci. Non è ferito, né inerme. E nessuno ha approfittato della sua condizione di inferiorità per infilzarlo.

A trafiggerlo è stata la Governance Poll, sondaggio del Sole 24 ore, pubblicato il 7 luglio, con l’avvertenza che non si tratta di una votazione, e quindi il risultato è da prendere con beneficio d’inventario. Con le cautele imposte dagli oggettivi limiti della rilevazione. Niente di apodittico e definitivo, ma stimolo per un’analisi delle sgrammaticature operative e per la progettazione di un’inversione di rotta.  

Gli intervistati dovevano rispondere ad una domanda e fornire un giudizio complessivo sull’operato del sindaco in carica e, in caso di elezioni, se lo avessero votato oppure no.

Per Virgilio non è andata di lusso: ottantottesimo su novantasette sindaci giudicati.  Posizione che lo colloca nella top ten della retroguardia. Una Caporetto. Ma la discesa agli inferi non esclude la possibilità di risalire la classifica.

Solo il 48% degli intervistati ha promosso Virgilio, una perdita secca del 2,4 % rispetto al risultato elettorale dello scorso anno che, con una vittoria risicata sul filo di lana al secondo turno, non era stato un trionfo. 

Domanda: perché questo disastro?  La risposta immediata, la più semplice e banale è: per le troppe cazzate commesse in un anno di governo cittadino. E il discorso potrebbe chiudersi qui e non aggiungerebbe nulla di nuovo e di sorprendente. 

Più interessanti sono la ricerca e l’analisi dei motivi alla base del risultato del sondaggio, nonostante un’opposizione blanda, priva di vampiri, raramente ficcante da togliere il fiato alla maggioranza.

Il problema è pertanto esclusivamente strutturale, della squadra di governo, della maggioranza e della coalizione politica che lo sostiene.  

Virgilio non è un combattente.  Come lo scoglio infrango, come l’onda travolgo non è nelle sue corde.  È un travet, un ottimo impiegato. Un perfetto garzone di bottega che recapita ai cittadini decisioni suggerite da altri. 

Affermare che è eterodiretto sarebbe ingiusto e sbagliato, ma ipotizzare che sia fortemente influenzato dai consiglieri della corona è vicino alla realtà. Consiglieri che si reputano  machiavellici cancellieri dell’impero e si atteggiano a geni della politica. Visti i risultati appaiono arruffoni. Pressapochisti. Iago di quarta serie. Invece di personaggi shakespeariani, figurine da commedia all’italiana. Mazzarino e Richelieu del sabato, nei bar sotto i portici. 

Silvio Berlusconi, mentre tesseva le lodi di Angelino Alfano, nel contempo gli imputava la mancanza di un quid per essere all’altezza del suo ruolo.  Anche a Virgilio manca qualcosa. Per guidare una città probabilmente gli mancano le caratteristiche che oggi i responsabili delle risorse umane di un’azienda chiamano skill e che in passato si chiamavano qualità.

Ne possiede altre, eccellenti per ricoprire il posto di consigliere provinciale, di assessore comunale, di vicesindaco come risulta dal suo curriculum.  Forse non possiede quelle da sindaco.  Conferma il Principio di Peter. «Ogni membro di un’organizzazione scala la gerarchia sino a raggiungere il suo massimo livello di incompetenza».  Un impiegato può essere promosso capoufficio e funzionare d’incanto, ma la promozione successiva a dirigente potrebbe risultare un disastro. Il meccanismo vale anche in politica.  Un amministratore pubblico può essere un bravo consigliere comunale, diventare un ottimo capogruppo e un apprezzato assessore. Può completare il percorso con l’elezione a sindaco ma, secondo il principio di Peter, risultare inadatto per l’incarico. Ecco, ha raggiunto il suo livello di inefficienza. E Cremona non fa eccezione. 

In politica la discrasia organizzativa è normalità, con l’aggravante che le skill determinanti la scalata gerarchica e l’occupazione delle poltrone pubbliche di peso sono la fedeltà al partito e l’ossequio al capo di turno.  Non ha giovato a Virgilio l’informazione dell’establishment.  Sempre accondiscendente e incensante verso l’Amministrazione comunale non gli ha reso un buon servizio. Lo ha illuso.  Articoli e interviste slurp lo hanno incoronato re e distorto la realtà.  La Governance Poll lo ha riportato brutalmente con i piedi per terra.

Non ha giovato a Virgilio la sottovalutazione della nuova realtà informativa.  Lui e il suo staff, soprattutto i suoi spin doctor, hanno proseguito imperterriti a guardarsi nello specchio e a chiedersi chi fosse il più bravo del reame. E a ricevere la risposta desiderata: voi siete i più bravi. I migliori. 

Non giova a Virgilio la protezione e l’invadenza di Luciano Maverick Pizzetti suo mentore e Pigmalione. Suo padre politico e sua zavorra. Apprendista sindaco, dopo un anno, Virgilio è rimasto apprendista.  Con le ali tarpate e incapace di volare, antitesi del Gabbiano Jonathan Livingston, attende l’arrivo di Godot che lo liberi da questa dipendenza politica. Caso da manuale di complesso edipico politico, Virgilio dovrebbe affrancarsi dal suo protettore per prenderne il posto e agire in autonomia. Dovrebbe  togliersi da sotto l’ala della chioccia. Uscire dal nido.  Ma ha la forza per farlo?  

Non ha giovato a Virgilio la fine del monopolio dell’informazione locale. L’arrivo dei media fuori dal coro, come il protagonista della favola, non si sono posti problemi a scrivere e gridare: «Il re è nudo».  E i social, incontrollabili e anarchici, hanno completato l’opera, anche se spesso in maniera becera e non condivisibile.

L’ufficio stampa non l’ha aiutato. Ha diffuso dichiarazioni, che invece di togliere il sindaco da una situazione critica e di smorzare le relative polemiche, hanno gettato benzina sul fuoco ed esasperato i toni.  La gestione della polemica sui festeggiamenti per la promozione in serie A della Cremonese è paradigma di harakiri comunicativo. Alcuni tifosi fuori controllo ballano sull’antico tavolo della Sala della Consulta del comune e un trattore entra in piazza Duomo. Virgilio, invece di stigmatizzare questi comportamenti, li giustifica. In questo modo omologa   tifosi irrispettosi e rispettosi, compresi i più moderati, incazzati per il disprezzo della cosa pubblica e del luogo.  Privo della lucidità necessaria per separare la funzione di sindaco dalla passione di tifoso, a Virgilio è venuta meno la freddezza per interpretare il ruolo istituzionale che gli compete e il coraggio di prendere le distanze dall’accaduto. Via maestra per i sottoscala della Governance Poll, è anche indizio di una presunzione superiore all’effettiva capacità di valutare gli avvenimenti e di affrontarli in modo adeguato. 

A metterci il carico e a spingere Virgilio nella fossa delle Marianne ci pensano i suoi compagni di cordata. Roberto Poli, capogruppo Pd, chiede comprensione e perdono per il remake e crea un precedente pericoloso. Se comprensione e perdono guidano l’azione dell’Amministrazione allora è un obbligo esercitarla in ogni contesto e con tutti. Due pesi e due misure generano malcontento e conflitti. Affondano il gradimento. 

Paolo Carletti, assessore, s’impunta sull‘abbattimento del muro dell’area Frassi. Viene seppellito da circa un migliaio di firme di cittadini contrari al progetto. Rincula. Innesta la marcia indietro. Non cancella la figura di cioccolato dell’Amministrazione comunale. 

Non aiuta Virgilio il Manifesto della comunicazione non ostile in politica. Minchiata galattica, è stata approvata dal consiglio comunale, minoranza compresa. Alessandro Portesani, capogruppo di Novità a Cremona, ha provveduto a metterci sopra una pietra tombale. Lapidario: «Luna di fiele tra il sindaco Andrea Virgilio e i cremonesi. È questo quello che dice la classifica pubblicata dal Sole 24 ore» (vittorianozanolli.it, 7 luglio). Già, Portesani, come Maramaldo. Ma vicino alla verità. E la leadership è come il coraggio manzoniano. Se uno non ce l’ha mica se la può dare. Questo è il problema. Di Virgilio. Di Cremona. Di una Governance Poll da piangere. Coraggio, non tutto è perduto.

 

Antonio Grassi

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