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La prima pagina de La Provincia del 25 giugno titolava: “Cremona si fida di Virgilio sindaco per 192 voti”. Il titolo, visto da un’altra angolazione, potrebbe suonare così: “Cremona non si fida di Portesani per soli 192 voti”. La differenza matematica fra i due candidati è minima. Non è certo un trionfo esaltante per Virgilio e la sua compagine, ma tant’è: bene o male si tratta comunque di una vittoria.

Cremona non si è fidata della coalizione di centrodestra dalla quale ci si aspettava la candidatura di un politico di razza. Alessandro Portesani non è un politico di razza, viene dalle cooperative sociali. Presenta un programma che piace al centrodestra che lo indica come candidato sindaco. Per un considerevole lasso di tempo è stato faticoso capire da quale pianeta fosse atterrata questa sorta di resident alien della politica locale, ma più in là è stato chiaro che il suo nome era la risultante di veti incrociati nella coalizione di centrodestra, e non di un vero consenso condiviso. Il suo programma è denso di temi che piacciono alla città, ma fra questi mancano ad arte quelli cogenti che disturberebbero il sonno tranquillo di imprenditori e portatori di interesse. Il programma di Andrea Virgilio non è per nulla dissimile da quello di Portesani. E’ figlio dello stesso principio e ha lo stesso obiettivo. In sintesi: si prega di non disturbare.  

Andrea Virgilio, inizialmente secondo nel primo turno, vince al ballottaggio con un margine di vantaggio di quasi 200 voti. Da dove sono arrivati quei voti che hanno permesso a Virgilio di ribaltare le previsioni? Due giorni prima Paolo Gualandris scriveva di ritenere fortemente improbabile che Virgilio potesse contare sul soccorso degli elettori a 5 Stelle (lista Paola Tacchini sindaco) per i noti rapporti conflittuali tra centrosinistra e pentastellati (e, aggiungo io, neppure sull’aiuto dei rifondaioli di “Cremona cambia musica”); così come improbabile che gli elettori della lista ‘Sicurezza e buonsenso per Cremona’ di Ferruccio Giovetti potessero confluire in massa su Portesani. Ma se la matematica non è una opinione, è evidente che qualcuno ha ciurlato nel manico così da cambiare uno scenario che sembrava chiaramente codificato.

Non nascono dal nulla 192 voti per sostenere un candidato che prima del ballottaggio si trovava a guardare la schiena dell’avversario. Ripensamenti? Promesse last second? Oppure (più verosimilmente) franchi tiratori del centrodestra che hanno voluto favorire certe connessioni e certi interessi privati col locale governo pd, che Antonio Grassi su queste pagine ha ben descritto nel corso delle sue note narrazioni? Nel segreto dell’urna tutto è possibile.  E in fondo, se le cose stanno così, vincere o stare all’opposizione, che differenza fa? O Franza o Spagna purchè se magna. Meglio allora una sola lista civica dove dentro ci sono tutti, proprio tutti, e poi si decide chi governa e chi sta all’opposizione. Non cambia nulla.

Dieci anni di governo locale targato Pizzetti (con un prestanome come sindaco a cui è stata tagliata la lingua nel corso di tutta la campagna elettorale) lasciano una città spoglia di tutte quelle belle cose raccolte nel programma di Virgilio. Dieci anni non sono pochi: ci si domanda se non fossero sufficienti per fare almeno la metà delle cose necessarie. Ora Virgilio ha un compito difficile, quello di governare una città per certi versi abbandonata a se stessa, ma ancora recuperabile. Ma il compito più difficile sarà quello di decidere cosa fare dell’elephant in the room, un animale molto ingombrante che si chiama Luciano Pizzetti e che potrebbe, come già è stato per Gianluca Galimberti,  negargli autonomia e credibilità. Se il Pd locale avrà il coraggio di pensionare Pizzetti, è verosimile che Virgilio potrà decidere di governare in piena libertà.

Per chi sarà all’opposizione il compito di vegliare sul governo della città. Per tutti il dovere di esercitare la politica buona per il bene della nostra comunità.

 

Fernando Cirillo

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