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Pendolari, tanti e mai sufficientemente considerati. Lavoratori e studenti.  Migranti quotidiani, si spostano ogni giorno per la pagnotta. Per il diploma o per la laurea. Avanti indietro: casa-lavoro, casa-scuola e viceversa.  Caldo o freddo, pioggia o bel tempo. In treno e bus.  In pulmini e auto private.  I più noti sono i pendolari sui mezzi pubblici. In particolare quelli in treno con corse in ritardo o soppresse senza preavviso. O ferme a metà percorso per guasti.  Con carrozze qualche volta frigoriferi d’inverno e stufe d’estate.

Meno conosciuti i cottimisti. Al mattino presto e al crepuscolo sfrecciano sulla Paullese e sulla Melotta a bordo di copie aggiornate del leggendario furgoncino Volkswagen, icona delle culture hippie e van life.  Stacanovisti della società liberista e liquida, i cottimisti non hanno tempo per le proteste. Lavorano, lavorano, lavorano. Non conoscono la storia di Lulù Massa, loro collega, andato in paradiso con il volto di un gigantesco Gian Maria Volontè.  Okay, fin che la barca va, lasciamola andare. Ma quando si ferma?

Una categoria a sé, sono i fortunati che si recano in ufficio nella metropoli e nell’hinterland milanese in Audi, Mercedes e Range Rover, senza problemi d’orario e di coincidenze. Allergici alle polemiche, rifuggono ogni critica alle istituzioni. Pochi e privilegiati non fanno testo. Tuttalpiù si uniscono a generici cori di insofferenza per le strade dissestate e le code che rallentano il traffico, problemi riguardanti tutti gli automobilisti.

Nel libro nero dei disservizi del trasporto pubblico, i treni superano per distacco i bus, grazie al numero e alla frequenza dei peccati che, esclusi quelli gravi, sono diventati normalità.  Increspature in un mare calmo. Inflazionati, i ritardi posseggono uno scarso appeal mediatico e le proteste per un’ora di attesa imprevista valgono sui giornali dieci righe e un titolo a una colonna.  E non va meglio in tv. Un flash letto dalla conduttrice o dal conduttore e via andare.

E il comunicato di indignazione, solidarietà e critiche ai gestori del circo, diffusa dal politico di terza fila in cerca di un quarto d’ora di visibilità, è un topos consolidato e frusto. Una costante ininfluente di una sceneggiatura per un B-movie. 

Restano i social. Giungla senza regole e imprevedibile, ma efficace e, in alcune circostanze, assai incisiva, ma non tale da modificare il disservizio.  

Cambia musica se il ritardo è biblico, o l’accadimento è rilevante.  Allora si mobilitano i pezzi da novanta delle istituzioni, della politica e del sindacato. La copertura mediatica è asfissiante e la notizia tiene banco alcuni giorni.  Passato lo tsunami, scadono anche le roboanti assicurazioni di cambiamento. Le inefficienze  croniche permangono e i pochi interventi che verranno attuati sono un brodino per curare una patologia endemica importante. 

La storia dei pendolari è un hard disk saturo di promesse. Di migliorie pensate per scrivere il futuro dietro l’angolo. È un’overdose di interventi inchiodati ai blocchi di partenza.  Di progetti pronti a scattare allo sparo di uno starter con la pistola inceppata o scarica. Così il domani resta presente e assomiglia al passato. La storia dei pendolari è un tourbillon di impegni per eliminare negligenze.  Di proposte per ridurre le inefficienze. Di garanzie per giungere a un sistema più funzionale.

La storia dei pendolari è il cilindro del prestigiatore colmo d’illusioni e di un’unica certezza: l’aumento dello stipendio dell’amministratore delegato del Barnum.

La storia dei pendolari è un mantra di «Mai più» scritti sulla sabbia della battigia, subito cancellati dalle onde. È il trionfo degli smemorati. Dell’oblio che prevale sul ricordo e seppellisce gli errori. È il pragmatismo della rimozione. È la fiera della comprensione e della solidarietà pelosa. Della banalità e della fuffa di parolai inconcludenti e narcisi.

La storia dei pendolari è una miscellanea di rabbia e rancore.  Di rassegnazione e frustrazione. Di scoramento e di lotta. Di determinazione e di sacrificio.  I pendolari sono da ammirare e rispettare. 

Se si vuole sottilizzare e accettare la relativa accusa di rompicoglioni, di bastian contrari, compresa quella desueta di comunisti irrecuperabili, la storia dei pendolari è anche una questione di classe sociale. 

Di fatto esistono linee ferroviarie di prima, seconda e terza fascia. Anche quarta.  Incolonnate in base ai costi e ai ricavi, in cima stanno le più vantaggiose per i bilanci.  Dominano l’alta velocità, i treni di lusso e dei signori per dirla con Guccini. Dei parlamentari.  Seguono gli altri. 

I treni dei pendolari, maglia nera per i conti, indossano quella rosa per il sociale. Due facce antitetiche della stessa medaglia. Due facce che spiegano meglio di un saggio la situazione. Due facce che chiariscono la tempesta perfetta che si ò abbattuta in questi giorni sul ministero delle Infrastrutture e trasporti. Due facce che giustificano – perché no? – anche il ponte sullo Stretto. 

La storia dei pendolari sono l’impegno e l’abnegazione dei comitati che li rappresentano. 

La storia dei pendolari è una parte della nostra storia. Della storia della nostra provincia. Della storia della nostra terra.  Le linee ferroviarie Mantova-Piadena-Cremona-Codogno-Milano e la Cremona-Crema-Treviglio-Milano e i bus per Milano sono il simbolo di una migrazione quotidiana.  Sono l’indicazione di dove è rivolto lo sguardo del Cremasco per gli anni che verranno. Sono l’invito ad essere realisti.

Per la Mantova-Milano sono in corso i lavori per il raddoppio nel tratto Piadena-Mantova ed è in fase di progettazione quello nel tratto Cremona-Codogno-Piadena. Ma se funzioneranno i treni che senso ha costruire l’autostrada Cremona Mantova? Questione di stakeholder e non ce n’è per nessuno.

Per la Cremona-Milano si ipotizza una corsa diretta Crema-Milano. Proposta avanzata dall’Area omogenea, ha suscitato l’interessamento non solo verbale di Franco Lucente, assessore regionale ai trasporti e alla mobilità sostenibile.  

La Paullese è un cantiere aperto e l’ipotesi di una metropolitana leggera con la linea 3 fino a Paullo, o almeno a Peschiera Borromeo, rimane viva.

Pendolari, tanto citati, ma altrettanto sconosciuti.  Troppo spesso dimenticati. E non sempre incazzati. Qualche volta innamorati. Come in Silent Love un corto di quattro minuti girato sul una carrozza di Trenord.  Pendolari, di tutto di più. 

Pendolari evoluzione dei tempi. Del nostro territorio, dei suoi abitanti.  Prima contadini, poi operai, ora pendolari. Domani chissà.

 

Antonio Grassi 

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