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Oggi celebriamo la Giornata della Memoria, una ricorrenza importante per fermarci e riflettere insieme su ciò che di più atroce e funesto è stato, ma soprattutto su ciò che non deve mai più accadere. La Memoria non è, infatti, un esercizio di nostalgia, né un rito formale: è uno strumento per costruire un futuro più giusto, più umano e libero dall’odio. Quell’odio razziale di cui oggi, al contrario, i nazionalismi e i populismi di ritorno arano il terreno. E che, con riferimento all’antisemitismo, vede delinearsi preoccupanti rigurgiti di varia ed articolata natura anche nelle nostre democrazie europee, ormai evidentemente affaticate nell’affermazione dei valori universali fondativi e confuse dalla complessità del mondo contemporaneo, delle sue tensioni che non sanno più leggere con lucidità di pensiero.

Non credo possa sfuggirci, oggi, come la più grande strage di ebrei dopo la Shoah, quella del 7 ottobre 2023 (foto centrale) – nella quale 1200 persone, prevalentemente civili inermi, sono state barbaramente assassinate – sia passata sotto a troppi dei nostri occhi se non con indifferenza, con un certo grado di distacco. Certo, la violenta risposta del governo israeliano, le migliaia di vite palestinesi da questa spezzate – anche in tal caso, in buona parte di civili innocenti – ha creato una comprensibile e doverosa empatia nei confronti della popolazione di Gaza e un modo semplicistico e sempre più diffuso di analizzare le cose del mondo, nella società dell’istante, fa sì che ciò che avviene dopo cancelli dalla memoria ciò che prima è stato. Ma non sono certo che ci sia solo questa dinamica nel moto di indignazione mancato per il 7 ottobre. C’è anche qualcosa che ancora, personalmente, non riesco ad afferrare perfettamente. O forse qualcosa che di fatto non voglio pensare, ma che si insinua come dubbio: è anche questa una forma di antisemitismo?

Se la Giornata della Memoria è occasione di riflessione, un pensiero sull’oggi ed i suoi turbamenti siamo costretti a portarlo.

La vostra presenza, pertanto, cari studenti, è fondamentale, perché il compito della memoria è prima di tutto un impegno verso di voi, le nuove generazioni. Senza memoria non c’è consapevolezza, e senza consapevolezza si rischia di ripetere gli errori del passato. Ne abbiamo, anzi, la certezza.

La storia della Shoah, delle discriminazioni, della violenza nata dall’odio razziale e dall’indifferenza, deve rimanere viva per insegnarci a riconoscere e combattere le ingiustizie di oggi e di domani.

Crema ha un esempio forte e concreto da cui muovere in questo esercizio. Mi riferisco a monsignor Francesco Bossi, che ha scritto una pagina straordinaria di umanità proprio nella nostra città. Nato a Crema nel 1872, monsignor Bossi fu un sacerdote profondamente legato alla nostra comunità, impegnato per anni in diverse parrocchie e poi come arciprete della Cattedrale.

Durante gli anni più difficili della seconda guerra mondiale, dal 1943 alla fine del conflitto, monsignor Bossi fece una scelta di autentico eroismo civile: nascose nella sua casa parrocchiale di via Forte una famiglia di ebrei, salvandola dal genocidio nazista. Quel gesto non era scontato. Era contro l’orribile pensiero dominante. Ed era rischioso, drammaticamente rischioso. Ma era giusto. E proprio per questo, nel 2014, monsignor Bossi è stato riconosciuto come Giusto fra le Nazioni, un titolo che lo lega per sempre alla memoria di chi, con azioni concrete, ha scelto di difendere la vita e la dignità umana.

Ricordare una figura come monsignor Bossi non è solo un doveroso tributo: è un messaggio. Il suo esempio ci dice che non basta indignarsi davanti all’ingiustizia, bisogna agire la giustizia, esserne interpreti. Ci insegna che ogni scelta, anche quella di una sola persona, può fare la differenza. Una persona che ha il coraggio di dire no all’ingiustizia, all’intolleranza, al razzismo, anche quando rappresentano il pensiero dominante.

Come Amministrazione comunale e comunità cittadina il nostro dovere è quello di mantenere viva questa memoria, non solo nelle cerimonie, ma nel lavoro quotidiano, nell’impegno a promuovere una società inclusiva, rispettosa e consapevole. E il nostro compito, cari giovani, è quello di trasmettere a voi questi valori, affinché diventino parte del vostro modo di vivere e di costruire il futuro.

La storia non è mai solo passata. Le pagine buie della Shoah non sono un capitolo chiuso, sono un monito. Oggi più che mai vediamo come l’intolleranza, il razzismo e la discriminazione ancora trovano spazio nelle nostre società. Sta a ciascuno di noi dire “no”. Dire “no” all’odio, all’indifferenza, al disinteresse per gli altri.

Monsignor Bossi ci insegna che la vera forza sta nel compiere scelte coraggiose. E voi, ragazze e ragazzi, avete il potere di fare la differenza: nel modo in cui trattate gli altri, nelle cause che scegliete di sostenere, nel rispetto che portate verso chi è diverso da voi. Non tutti noi siamo chiamati, fortunatamente, ad essere Giusti come Monsignor Bossi, ma siamo chiamati ad essere pronti a rispondere positivamente a quella chiamata morale nel caso ci trovassimo in quella stessa situazione. E ad allenarci nel nostro quotidiano per questo obiettivo.

 

Fabio Bergamaschi

sindaco di Crema

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