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GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Magari bastasse fare cadere qualche testa per rimettere le cose a posto e fermare la scia di sangue che allarma Cremona. La testa più gettonata risulta al momento quella dell’assessore Santo Canale. Ma temo che il problema non sia riuscire a ‘cambiare canale’ bensì, per restare in metafora televisiva, riuscire a ‘cambiare programma’. E la vedo dura. Partiamo dall’ovvio. Quand’anche qualche inadeguato venga rimosso, la comunità non s’illuda di essere approdata a più sicuri lidi. Il capitolo più impegnativo e divisivo è di là da venire. E non è detto che verrà. L’ inatteso Far west all’ombra del torrazzo ha ovviamente concentrato l’ attenzione collettiva sui singoli episodi di violenza. Ha cioè mobilitato l’emotività sui fatti specifici ma non ha mobilitato in egual misura volontà analitica sul retrostante sistema che sta a monte dei più clamorosi incidenti di percorso.

Lo scarto fra quel che a occhio nudo emerge a valle e quel che invece si cela a monte è il cruciale snodo critico su cui si giocherà la reale buona volontà di una classe dirigente che non può continuare a eludere l’evidenza. E alludo all’usurata pratica di ribaltare le responsabilità su una comunità locale che, non sapendo o non volendo integrare, crea le premesse di derive violente. Vero è piuttosto che nei fatti recenti si assommano una quantità di fallimenti ascrivibili a classi dirigenti che, da tempo trasferite su Marte, operano in funzione di modelli astrattamente perfetti e concretamente rovinosi.

Un primo fallimento riguarda le mutilazioni via via impresse alla fisionomia cittadina. Il nucleo storico è stato privato della linfa vitale garantita dal commercio di vicinato che non solo offriva a portata di mano quel che ormai va cercato nella cintura extraurbana dei centri commerciali ma presidiava il territorio tenendolo illuminato, frequentato, attraente e rassicurante. Solo ora, a disastri conclamati, si chiede ai commercianti “cosa possiamo fare per aiutarvi”. Domanda tardiva dopo avergli fatto per decenni terra bruciata intorno, moltiplicando concessioni ai grandi insediamenti commerciali, ingolositi dal piatto di lenticchie dei conseguenti oneri di urbanizzazione. Oggi un centro storico buio e spopolato comunica l’immediata sensazione visiva che all’avanzata di tracotanti bande che puntano al controllo del territorio corrisponda l’arretramento delle precedenti frequentazioni. Ogni vuoto è destinato a venire riempito. E al bonario profilo di gastronomie, mercerie o pelletterie si sostituiscono, con ben altre incognite diurne e notturne, i kebab e gli h24. E intanto, grazie a qualche scrivano di corte addetto a convertire lacrime di coccodrillo in lapidarie promesse di legalità e sicurezza, maggioranza e opposizione navigano a vista illudendosi di placare le proteste e tamponare l’emergenza. Mesi di amletico travaglio prima di varare il famoso Daspo.

“Daspo o non Daspo? Questo è il problema”. Il vero problema è che l’intera costruzione propagandistica della ‘smart city’ intelligente, moderna e attenta ai deboli, si rivela per quel che è: aria fritta sia pur abilmente speziata. La famosa città attenta ai deboli è stata talmente ben pensata che molti anziani rifiutano il ricovero ospedaliero per non trovarsi al ritorno la casa occupata, che ormai disertano i parchi pubblici, che per la spesa quotidiana non sanno a che santo votarsi. Sono stati desertificati tutti i consuetudinari ambiti in cui le solitudini individuali trovavano sollievo nella vita di relazione. Attila non avrebbe saputo far meglio.

Ma passo ora, dalle sintetiche constatazioni, alla grande domanda. Sono realisticamente prevedibili, oltre che auspicabili, più efficaci sinergie fra apparati di sicurezza e amministrazione comunale in vista di una città più vivibile? La domanda coinvolge il gigantesco tema dell’ immigrazione e dei sistemi di accoglienza. I cremonesi, gente tranquilla, lievemente scettica,
non particolarmente interessata ad apprendere le tecniche della guerriglia urbana, vorrebbero vivere in pace. Ma sulla strada di questa legittima aspirazione, irrealizzabile senza significativi ripensamenti in materia di accoglienza, si para un notevole ostacolo. E questo ostacolo riguarda nientemeno che la composizione sociale del famoso ‘zoccolo duro’ in cui il Partito democratico, inamovibile asse del governo locale, pesca il suo attuale elettorato. Un bacino che negli ultimi anni ha compensato le fughe del tradizionale elettorato coi consensi provenienti dal complesso sistema che gravita e vive sull’ immigrazione, più o meno legittimamente puntando alle risorse messe a disposizione da  Comuni, Regioni e governo centrale. Un’articolata struttura che comprende la potente filiera delle cooperative, le innumerevoli figure di affidatari, tutori, educatori, case famiglia e molto altro. Non tutto, specie in relazione al delicatissimo e costosissimo capitolo dei minori non accompagnati, che sta dissanguando le casse comunali, appare chiaro e convincente come dovrebbe. Qualche dubbio riguardo alla tenuta stagna dei sistemi di protezione e alla sorte di alcuni minorenni o presunti tali è oggetto di imbarazzanti ipotesi. Le mine e le insidie sono infinite anche per l’inevitabile contiguità di tante situazioni col sistema criminale che, dopo averli traghettati da noi, presenta il conto. Riscatto che questi disperati saldano come possono per lo più diventando manovalanza del malaffare.

Al netto del dovere di solidarietà che nessuno nega, purché compatibile con la sopportabilità economica e sociale, i costi del capitolo immigrazione sono in ogni senso pesanti. A sua volta lo sviluppo di un sotterraneo e brutale sistema di nuovi schiavi, non giuridici ma di fatto, è destinato a generare un sottobosco sociale dalle esplosive potenzialità conflittuali.

E con questo i fallimenti sono tre: ambiente, modello urbano, sicurezza. Ma non sarò tanto ingenerosa da negare che almeno una promessa è stata mantenuta. Volevano “ringiovanire” Cremona. A giudicare dall’età media delle baby gang direi che ci sono riusciti. Fin troppo.

 

Ada Ferrari

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