Intorno all’anno 1000 l’Italia è praticamente senza governo. Imperatori, sovrani, principi e duchi sono ridotti a figure di rappresentanza senza apparati di potere e senza strutture di governo dei territori. Vivono nelle loro piccole corti in castelli isolati senza di fatto occuparsi dei loro domini. Ma l’Italia è il Paese al mondo con più città e paesi ramificati su tutto il territorio, retaggio della presenza di Roma imperiale. È così che nascono i Comuni: nella assenza di un potere amministrativo, gli abitanti delle principali città italiane del nord iniziano ad auto governarsi; si radunano in assemblea pubbliche, nominano dei rappresentanti e si danno delle regole di convivenza civile. È il periodo dei cosiddetti “consoli”, cittadini eletti a guidare le comunità urbane che col tempo divengono sempre piu influenti come le città che amministrano. La gestione delle città è totalmente innovativa: niente nomine dall’alto decise da un sovrano o per nascita, ma regole decise dai cittadini che poi delegano alcuni di loro a prendere decisioni quotidiane.
Non è un caso che questa formula prenda poi col tempo proprio il nome di Comune, dal latino communis e cioè condiviso.
Grazie alla indolenza di una aristocrazia sbiadita e incapace, ì Comuni crescono fino a diventare i veri padroni dei territori che li circondano, arrivando perfino a imporre la propria volontà con le armi sui Comuni vicini: è il caso di Milano, la cui enorme influenza è mal sopportata dai vicini Como, Pavia e Cremona, che infatti iniziano anch’essi a lamentarsi di Milano.
I nobili messi all’angolo si svegliano dal loro torpore e iniziano a inviare una gran messe di doglianze scritte al loro capo, l’imperatore del Sacro Romano impero, erede di Carlo Magno e che governa per volere divino (e su elezione di principi e vescovi tedeschi) su Germania, Italia e parte della Francia. Egli è anche ufficialmente re d’Italia e quindi obbligato a occuparsi di ciò che accade in Lombardia.
Nel 1155 viene eletto un nuovo imperatore che a differenza dei suoi predecessori, interessati solo a qualche prelievo fiscale, decide di prendere la questione molto seriamente: si chiama Federico Hohenstaufen, duca di Svevia, e passerà alla storia con il soprannome che gli affibbia la corte papale di Roma: il Barbarossa (immagine centrale).
Federico decide di porre fine alle lagnanze dei nobili e di rimettere in riga questi Comuni così influenti, per dare all’Italia un ordinamento amministrativo centralizzato,. moderno, efficiente e ovviamente tutto tedesco. Iniziano così dieci lunghissimi anni di assedio: ogni inverno Federico deve mendicare dai principi e vescovi tedeschi che lo hanno eletto soldati e cavalieri per poi scendere in Italia ogni primavera ad assediare i Comuni che non ne vogliono assolutamente sapere di rinunciare alla loro indipendenza.
Milano è ovviamente il suo nemico giurato. All’inizio anche Comuni come Pavia e Cremona stanno con l’imperatore stanchi di subire l’influenza di Milano, che alla fine cade dopo un tremendo assedio venendo in buona parte distrutta. Stessa sorte toccherà a Crema, con la celebre vicenda degli ostaggi legati alle macchine di assedio che chiedono di essere uccisi dai loro concittadini piuttosto che darla vinta all’invasore.
E qui stavolta è il vittorioso Federico a sbagliare: invece di scegliere una classe dirigente locale invia ovunque funzionari tedeschi tanto intransigenti che alla lunga anche i Comuni filo imperiali si ribellano e si uniscono a Milano nella Lega Lombarda. Decidono una mossa folle: sfidare in campo aperto Federico, invece che resistere ai suoi assedi. A Legnano va in scena una epica battaglia dove, come all’uso del tempo, sarà Dio in persona a decidere chi ha ragione.
E Dio darà ragione ai Comuni, che strabiliando il mondo di allora sconfiggono le truppe imperiali e costringono Federico a rinunciare per sempre al suo progetto italiano.
La pace di Costanza del 1183 tra Barbarossa e la Lega Lombarda è uno dei momenti epocali della Storia italiana. è la fine del tentativo imperiale di dare al Paese una amministrazione statale generale e quindi farne un regno strutturato che avrebbe potuto col tempo competere con Francia, Spagna e Inghilterra. Da lì nasce quella frammentazione territoriale italiana che ai Comuni sostituirà le Signorie, le quali dopo i fasti del Rinascimento saranno la causa della discesa di tutti gli stranieri in Italia e la fine della nostra autonomia per tre lunghi secoli.
Da Costanza nasce quel campanilismo che è ancora oggi duro a morire, da lì nasce il diritto delle Amministrazioni locali a farsi le proprie leggi in antitesi agli Stati centrali, anch’esso ancora oggi una caratteristica tutta italiana.
Eppure, i Comuni hanno rappresentato qualcosa di veramente epico nella storia del nostro Paese: una affermazione straordinaria di libertà, democrazia, capacità di governo e orgoglio che non hanno eguali.
Oggi i Comuni sono le istituzioni più maltrattare dallo Stato centrale, private di fondi e di personale pagato meno di quello statale, imbavagliati da regole assurde e sottoposti a controlli asfissianti con i sindaci assillati dai cittadini che pretendono servizi sempre più difficili da erogare e con le Procure, le Corti dei Conti e i Tribunali regionali che li assediano con indagini e sentenze.
Tanto questo Paese deve ai Comuni, che dovrebbe ricordarselo molto di più.
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di Archivistica all’Università degli studi di Milano