Il 5 settembre dello scorso anno davamo notizia della richiesta di realizzazione di 38 nuovi pozzi di stoccaggio del gas in fase di progettazione nei Comuni di Sergnano e Ricengo, nel Cremasco in seguito alla pubblicazione sul sito del ministero della Transizione Ecologica. Si tratta di impianti della Stogit con forti ricadute sul territorio, che richiedono le seguenti preventive certificazioni: Vas (Valutazione ambientale strategica), Via (Valutazione di impatto ambientale), Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Oltre ai pozzi bisogna costruire i relativi collegamenti alla centrale di stoccaggio esistente. Ne propone la costruzione la ditta DMA Lucera srl di Milano che opera nel settore della produzione di energia elettrica. Si tratta di un cluster, termine che indica generalmente un gruppo che può essere composto da una serie di elementi, di solito molto omogenei tra loro o, in generale, accomunati da un elemento. A Sergnano è attiva una centrale di compressione del gas gestita da Snam Rete Gas spa. Gli stoccaggi avvengono in depositi dove viene iniettato metano.
Con una lettera firmata dal dirigente Augusto Conti, la Regione Lombardia rinvia al mittente il progetto nel senso che vengono imposte alla ditta proponente una lunga e restrittiva serie di prescrizioni perché l’impianto possa ottenere le necessarie autorizzazioni. La missiva è indirizzata al ministero dell’Ambiente e a diversi destinatari tra cui i Comuni di Sergnano e Ricengo e le amministrazioni municipali confinanti.
Gli adempimenti indispensabili per ricevere l’autorizzazione spaziano dall’adeguamento strutturale delle strade d’accesso interessati dal passaggio dei mezzi pesanti, alla presentazione di uno studio sulla dispersione in atmosfera di tutti gli inquinanti ‘tenendo conto della meteorologia che dovrà essere adeguatamente descritta facendo riferimento alle linee guida di ARPA Lombardia con particolare riferimento alla ricostruzione della rosa dei venti riferita al punto emissivo’. Dovranno essere, inoltre, considerati gli input emissivi che dovranno includere tutte le attività che caratterizzano la fase di cantiere ‘non individuate dalla ditta che propone il progetto’.
E’ ampio anche il capitolo riguardante i rumori il cui impatto sul territorio non è sufficientemente valutato. ‘L’efficacia delle misure di mitigazione – si legge nella lettera – dovrà essere evidenziata, in via previsionale, con stime dei livelli di rumore post operam con mitigazioni. Altre rigorose prescrizioni riguardano la salute pubblica, a tutela della quale viene imposta la redazione di uno studio che approfondisca ‘lo stato di salute della popolazione residente dei Comuni interessati dall’opera di progetto, che passi attraverso l’analisi, adeguatamente commentata, delle “Schede comuni” relative ai profili di salute della popolazione, reperibili al seguente link: https://www.ats-valpadana.it/en/stato-di-salute-deicittadini’.
Per la tutela dell’ambiente è elencata. una complessa serie di prescrizioni Seguono i capitoli riguardanti la componente geologica, le terre e rocce da scavo, il rischio sismico, quello relativo all’obbligo di quantificare la superficie di suolo che verrà occupato in modo permanente e altre prescrizioni finalizzate alla tutela dell’attività agricola. Si precisa inoltre che ‘le compensazioni non dovranno in alcun modo ricadere su territori ad uso agricolo né tantomeno su aree interne a quelle interessate dal progetto, potranno, ad esempio, consistere in interventi di ripristino delle condizioni di fertilità di suoli a oggi impermeabilizzati ricadenti nei territori dei Comuni interessati dall’intervento e preferibilmente all’interno del Parco del Serio. L’eventuale impossibilità da parte del proponente di reperire aree degradate, da de-impermeabilizzare o comunque non ad uso agricolo, dovrà essere approfonditamente documentata. Solo nell’impossibilità di reperire aree nelle quali realizzare azioni di de-impermeabilizzazione o riqualificazione, potranno essere sviluppate altre tipologie di interventi, quali ad esempio quelle utili al potenziamento delle connessioni ecologiche.
Natura e biodiversità, paesaggio, piano di monitoraggio ambientale e delle acque sotterranee completano il documento regionale. Insomma, si torna al punto di partenza.
Dei 1.298 pozzi presenti in Italia sono ben 750 quelli non operativi. La regione che guida la classifica è l’Emilia Romagna con 187 installazioni operative, seguono la Toscana con 45 e la Sicilia con 44, troviamo poi il Molise con 15 installazioni, la Puglia e le Marche con 12 e la Lombardia con 8.
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