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La Rivoluzione d’Italia Cremona, ruolo centrale

7 Aprile 2021

Lo sforzo di formare un esercito italiano, abbozzi costituzionali e il ruolo di Cremona.

Lo sforzo di creare un esercito italiano, capace un giorno di ‘fare da sè’, era condiviso da molti a Cremona, come altrove del resto in Italia, a fine ‘700/primi ‘800. Un sogno molto patriottico, che avrebbe dovuto aspettare parecchio tempo per essere realizzato! Il più insigne fra i propugnatori di tale tentativo fu probabilmente Ugo Foscolo, che spesso fu in città (e da cui ho ripreso, lo ricordo ancora, l’espressione ‘Rivoluzione d’Italia’). Nomi da ricordare, fra i militari cremonesi, sono quelli del capitano Santini, comandante degli Ussari, del comandante dei Cacciatori della Guardia Nazionale, il soresinese Carlo Ferrari, che già era con Napoleone quando valicò il Gran San Bernardo, soprattutto del comandante Giuseppe Sacchini, che nella disastrosa ritirata di Russia permise, alla testa di un gruppo di italiani, a quel che rimaneva della Grande Armata di sfuggire all’accerchiamento. Bella figura, quella di Sacchini (1778-1849). Fu con Napoleone in tutte le battaglie, ad Austerlitz come a Jena, a Smolensk come a Borodino; seguì Murat (nel ritratto a lato) nell’estremo tentativo di difendere l’indipendenza italiana dopo la sconfitta di Napoleone, gli venne risparmiata la vita ed anzi pare che gli austriaci gli offrissero il grado di generale; rifiutò ogni incarico e rimase a vivere poveramente a Cremona finché, allo scoppio della Rivoluzione del 1848, assunse il comando della Piazza di Cremona in nome del Libero Governo Provvisorio; alla sconfitta della Rivoluzione si rifugiò in Piemonte, ove poco dopo morì. Un eroe! A lui, come d’altronde agli altri protagonisti di questo periodo rivoluzionario, nessun ricordo, nessun omaggio, nessuna titolazione Cremona ha dedicato.
Torniamo alla storia di quel periodo. La seconda Repubblica Cisalpina, trasformata il 14 febbraio 1802 in Repubblica Italiana, fu fervida di iniziative. Le Camere mercantili vennero trasformate in Camere di Commercio, varie riforme sociali ed economiche vennero avviate, tendenti da un lato ad alleviare l’enorme miseria delle masse e dall’altro a rilanciare la libertà dei commerci ed un minimo di sviluppo economico. Cremona fu confermata capitale dell’Alto Po e, dopo i ‘Comizi di Lione’, anche sede della ‘Censura’. Che cosa furono i ‘Comizi di Lione’? Il termine, tratto dalla tradizione latina, sta ad indicare la convocazione di una grande assemblea legislativa (anche oggi, quando si tengono le elezioni politiche generali, si ‘indicono i Comizi’). Quelli di Lione sono stati considerati come il primo esempio di assemblea elettiva democratica italiana. In realtà così non fu. Si trattò di una assemblea di tipo corporativo, formata da 450 deputati, riunitisi a Lione a cavallo tra dicembre 1801 e gennaio 1802 (la temperatura quell’inverno raggiunse i diciotto gradi sotto zero, portando molti italiani ad ammalarsi ed alcuni anche a morire!), non eletti dal popolo (magari con i limiti di censo ormai in vigore anche in Francia) ma nominati da amministrazioni dipartimentali, società accademiche, corpi militari, tribunali, camere di commercio, vescovi e notabili delle più varie categorie. Dal punto di vista sociale, circa la metà dei delegati veniva dall’esercito, dal mondo della cultura e dalle professioni. Numerosi erano anche i commercianti ed i borghesi possidenti, proprietari cioè di terre coltivate. Pochissimi i nobili e praticamente nessun popolano. Un’assemblea molto borghese, insomma, assolutamente moderata sotto ogni punto di vista, in cui nessuno contestava, neppure per ragioni di bene pubblico, il principio di proprietà. La Delegazione cremonese, composta da 27 persone, era guidata dal ministro della Guerra Ambrogio Birago, dal ministro della Giustizia, Antonio Smancini (Pizzighettone 1766-Milano 1831. Dopo essere stato ministro di Polizia e Giustizia, fu presidente del Corpo legislativo, consigliere di Stato, prefetto generale del Dipartimento dell’Adige, commissario generale per l’approvvigionamento: uno dei personaggi più in vista del periodo), dal comandante del Reggimento dei cacciatori a cavallo, Carlo Ferrari, dal vescovo Omobono Offredi (che rappresentava anche i vescovi di Mantova, Crema, Bergamo, Novara e Vigevano, e che era ‘uomo del dialogo’ fra Napoleone e Pio VII), dal presidente dell’Amministrazione centrale del Dipartimento, l’avvocato Giacinto Sonsis. Era composta dalle più insigni personalità del Dipartimento, scelte dai Collegi dei Dotti, dei Possidenti, dei Commercianti. La Delegazione contribuì positivamente ai lavori. Il progetto sulla giurisdizione dei Dipartimenti, ad esempio, fu elaborato e proposto dal giurista cremonese Placido Gabbioneta. Venne allora introdotta definitivamente una istituzione in Italia fino allora sconosciuta: quella delle Prefetture. I prefetti furono da allora i rappresentanti ‘in loco’ del potere centrale ed a lungo i veri detentori del potere locale. Con notevoli limiti, dunque, e passi indietro rispetto ai principi iniziali della Rivoluzione, in quell’occasione comunque si parlò per la prima volta, in un documento istituzionale, insieme di Italia, Repubblica e Costituzione! E Cremona? La Costituzione della Repubblica italiana, approvata a Lione, prevedeva anche l’istituzione a Cremona della sede centrale della Censura, il che fu vissuto dai rivoluzionari come un grande onore per la nostra città. La Censura era una specie di Tribunale Supremo, composto da 21 membri (9 scelti dal Collegio dei possidenti, 6 da quello dei dotti e 6 da quello dei commercianti), che aveva il compito delicato di procedere, sulla base di liste proposte dai Collegi, alle nomine nei principali impieghi pubblici, di verificare eventuali accuse contro questi ed intervenire. Era, insomma, nello stesso tempo l’organo che nominava alle principali cariche ed il ‘custode della legalità costituzionale’, il massimo organo giuridico, in grado di incutere reverenza e timore alle più alte cariche dello Stato. Cremona quindi era un centro nevralgico sia dal punto di vista militare che amministrativo e giudiziario, come poi mai più riuscì ad essere nella sua storia.
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Gian Carlo Corada

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