Nomen omen. Se è vero che nel nome si intravede il proprio destino, chiamarsi Napolioni e mantenere le aspettative non è impresa agevole. Il riferimento a Napoleone infatti è in agguato. Si potrebbe aggiungere dell’altro, ma il troppo stroppia.
Nei primi giorni di giugno monsignor Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, ha inviato una lettera ai parroci della diocesi. Con stile secco e perentorio ha informato di un valzer di nomine e spostamenti di sede che vede coinvolti 45 sacerdoti (Cremonasera, 4 giugno). Un fouettés en tournant degno di una étoile di prima grandezza. Un tourbillon. Una minirivoluzione.
«Le nomine – ha spiegato il vescovo – vengono comunicate all’inizio dell’estate, per dar tempo a tutti di completare l’anno pastorale con le principali attività estive già in programma e, contestualmente, di prevedere tempi e modi per il necessario passaggio di consegne. La presente comunicazione verrà seguita dai decreti di nomina, all’interno dei quali verrà precisata la data di inizio del nuovo mandato. Sulla scansione delle consegne e sugli aspetti logistici connessi, i sacerdoti prendano contatto tra loro e, ove necessario, con il Vicario generale. Il calendario delle celebrazioni di ingresso dei nuovi parroci andrà concordato con la Segreteria vescovile».
Direttiva chiara. Semplice. Precisa. Senza sbavature e incertezze. Senza possibilità di interpretazioni fuorvianti. Senza spazi per contestazioni. Monsignor Napolioni, non ha indorato la pillola, non ha utilizzato la retorica, non ha aperto al dialogo e al confronto. No, ha indicato papale papale, anche se vescovo, la linea: signori parroci, questo ho deciso e questo si fa. Adeguatevi. Sbrigatevi. Armatevi e partite.
Il vescovo di Cremona non è Napoleone, ma non si può negare che sia un generale capace di guidare con sicurezza e polso le proprie truppe. Possiede lo standing, come si dice oggi, per ricoprire il ruolo che gli è stato assegnato e si comparta di conseguenza. Nomen omen.
È plausibile che non tutti i destinatari del provvedimento abbiano gradito la decisione. Con molta probabilità è altrettanto possibile che numerosi parrocchiani abbiano disapprovato l’avvicendamento, più simile a un terremoto che a un’alternanza programmata. Entrambe le ipotesi e annessi corollari sul coinvolgimento più o meno marcato dei fedeli nella scelta, con inevitabili riferimenti al pre e post concilio Vaticano II, non stupiscono.
Questo non comporta l’archiviazione del tema. Anzi, un approfondimento non sarebbe tempo perso, ma – ofelè fa el to mestè – è compito di altri proporlo e dibatterlo.
Più semplice e immediata, invece, è l’analisi della scelta di monsignor Napolioni. Del metodo per imporla. Dell’abissale diversità tra il suo agire risoluto e quello tentennante di capi, capetti e passacarte della politica locale. Ma anche di molti presidenti di enti pubblici e associazioni di categoria.
Da una parte un comandante che si batte per rivitalizzare il suo esercito e i valori che esso rappresenta, Dall’altra quaquaraquà preoccupati della propria sopravvivenza e assai meno del bene comune, obiettivo principale del mandato ricevuto, ma ultimo nelle loro priorità.
Da una parte un leader sicuro e determinato. Dall’altra cacasotto collezionisti di vaffanculo in abbondanza (Biometano in zona San Rocco).
Da una parte ufficiali fedeli e squadra coesa. Dall’altra accozzaglia di brancaleoni imbranati e azzeccagarbugli miopi, incapaci di evitare il fuoco amico (elezione consiglio di amministrazione di A2A).
Da una parte idee e progetti precisi. Dall’altra ingenui boccaloni, puntuali a farsi fottere dal saltimbanco di turno e a non capire la lezione (promessa di assessore regionale cremonese dissolta un minuto dopo l’apertura delle urne elettorali).
Da una parte la riorganizzazione delle truppe e, nei fatti, il motto Hic sunt leones. Dall’altra la promozione della via del latte con le impronte delle vacche e il grido di battaglia Hic sunt boves, che esime da ogni commento.
Da una parte l’attenzione al prossimo. Dall’altra la tassa sul parcheggio dell’ospedale (Cremonsaera, 9 giugno) e i disservizi sulla tariffa puntuale (Vittorianozanolli.it, 9 giugno). Poi l’incubo delle polveri sottili e lo scollamento del capoluogo dal resto della provincia. Senza dimenticare la costante esclusione dalle stanze dei bottoni. Posti ai quali i nostri condottieri accedono solo di sguincio, mai da protagonisti. Quasi sempre per chiedere l’elemosina.
Da una parte un capo lucido, freddo, attento, che ha letto la storia e capito il presente. Che ha studiato il futuro e modulato l’organizzazione delle proprie truppe in funzione del mondo che si prevede verrà.
Dall’altra ammiragli inetti, inadatti a governare la nave. Che ignorano la bussola. Che navigano nell’ignoto. Che lasciano al mare decidere la rotta.
Da una parte monsignor Napolioni che ha colto la realtà e l’affronta. Dall’altra la politica che ciondola e vive nella turris eburnea e si ciba di cronache marziane, più fantastiche di quelle di Ray Badbury.
Da una parte l’aggregazione delle parrocchie. Dall’altra la difesa del proprio orticello e la diffidenza verso chi propone l’unione delle forze con l’Area omogenea cremasca percepita da molti cremonesi come una piattola fastidiosa.
Da una parte il vescovo in prima linea. Dall’altra i segretari dei partiti silenziosi e invisibili nelle retrovie.
Da una parte una chiesa che cerca di rinnovarsi. Dall’altra le chiese della politica che si squagliano, compreso quella del Pd, accreditata, fino ad alcuni anni fa d’essere la più coesa e ortodossa e ora malinconicamente alla deriva.
Si dice che a Cremona, nella piazza principale e più famosa della città sia concentrato il potere dell’intera provincia. Ci sono il Comune, la sede della Libera associazione agricoltori e il Duomo. Un tempo era vero. Ora non più.
Il Comune è confuso. La Libera sfrutta il passato, ma ha perso i posti di comando e La Provincia, il quotidiano di proprietà e che un tempo dettava la linea alla politica, è poco più di un bollettino parrocchiale. Rimane il duomo con Napolioni. Lui sì che conta ancora. Parecchio. La lettera ai parroci lo conferma. Nomen omen.
Antonio Grassi
4 risposte
Il tentativo di paragonare un Vescovo, pastore di anime, a Napoleone, condottiero egocentrico e megalomane, non so se possa piacere al diretto interessato. Chissà che cosa ne pensano i suoi collaboratori… cioè i preti.
Un manager aziendale anche in Chiesa.
C’è poco da esultare, a mio parere.
Commento puntuale.
L’alleanza fra potere laico e Chiesa è cosa nota sin dai tempi di Costantino il Grande, così come è arcinoto che i tre poteri locali siano rappresentati dagli edifici che compongono la nostra bellissima piazza (come ha sottolineato correttamente l’autore ). A questo punto c’è da chiedersi: ora che i poteri politico ed economico hanno perso “smalto “, la Chiesa cosa potrebbe fare?