«Toglietemi tutto ma non il mio Breil». «Che mondo sarebbe senza la Nutella». «Dove c’è Barilla c’è casa». «No Martini, no party». «RedBull ti mette le ali».
Slogan già entrati nella storia della pubblicità, oggi potrebbero essere riciclati e adattati alla realtà di Cremona.
«Toglietemi tutto ma non Arvedi». «Che Cremona sarebbe senza Arvedi». «Dove c’è Arvedi c’è Cremona». «No Arvedi, no Cremona». «Arvedi ti mette le ali».
L’acciaio di Arvedi è conosciuto in Italia e all’estero. Brand tra i più autorevoli e rappresentativi del territorio, è elemento portante per l’economia cittadina. Fattore significativo per la comunità, spunto per analisi sociologiche. Argomento per antropologi interessati all’evoluzione dell’uomo cremonese. Valore aggiunto tout court, Arvedi è Arvedi.
Per Cremona, è acqua per i pesci.
Il mecenatismo della Fondazione Giovanni Arvedi e Luciana Buschini è il passaporto per entrare nella storia della città. Il Museo del violino, il recupero dell’ex convento di Santa Monica, il ripristino delle colonie Padane e tanto altro ancora, senza il contributo della Fondazione non sarebbero stati realizzati.
Il sostegno alla squadra di calcio è un capolavoro di pubbliche relazioni.
Tra i più prestigiosi imprenditori della provincia, magnate dell’acciaio, Giovanni Arvedi è la persona più nota, famosa, illustre, coccolata, stimata, influente e temuta sotto il Torrazzo e dintorni.
Alieno in un contesto di omologazione, rappresenta la città e la contraddizione è solo apparente. Grande timoniere – da non confondere con Mao Tse Tung – Arvedi è l’omeostasi. Lima i picchi. Normalizza. Appiattisce.
Lui è Cremona. L’ama. La sostiene. La condiziona.
Non è monarca. Neppure satrapo. Non despota. Nemmeno autoritario. È faro. Guida. Non si è preso il ruolo. Gli è stato assegnato dalla pochezza dell’establishment cittadino e dagli ominicchi della politica locale.
Usa il guanto di velluto. Per il volto arcigno delega i subordinati. È educato. Gentile. Determinato. Implacabile. È il Cavalier Arvedi.
Non smania per apparire sul quotidiano La Provincia, house organ degli agricoltori e bollettino parrocchiale un po’ più evoluto. Non ne ha bisogno.
Lascia lo spazio ai troppi due di coppe convinti di essere l’asso di briscola. Agli illusi che valutano popolarità, rispetto e leadership con il numero delle proprie foto pubblicate e delle interviste che li riguardano. Agli zotici che non colgono che spesso più appari, meno conti e più sei ciula. Che non considerano la possibilità che, persa la carica, se ne va anche il tempo degli applausi, con subitaneo ritorno nell’oblio. Sic transit gloria mundi.
Tutto questo non succede per Arvedi. È il Cavaliere per antonomasia, indipendentemente dalla visibilità mediatica. Decide e comanda. Sempre.
A Cremona non esistono poteri forti e occulti e il deep state è acqua fresca. C’è Giovanni Arvedi. Chiuso il discorso. Gli altri? Brutte copie. Figurine. Scartine. Sciacquette.
Esercita la funzione di deus ex machina con intelligenza e oculatezza. Conosce le regole del gioco. Sa tenere e conservare il mazzo. Distribuisce le carte in maniera egregia, senza esagerazioni e sprechi.
Pochi – più nessuno che alcuni – disapprovano pubblicamente il suo agire, anche quando le sue scelte non sono giudicate favorevoli per la città o il territorio. Coloro che non le condividono sono molto discreti. Non sostengono il dissenso in piazza. Non lo scrivono sui giornali. Non lo dicono alla radio. Non protestano in televisione. Restano in silenzio. E anche in privato vanno cauti: non si sa mai. A Cremona non c’è la Stasi de Le vite degli altri, ma gli spifferi sono parecchi.
La contestazione, quella vera, non di facciata, rare volte lo ha visto coinvolto. Tuttalpiù è stato sfiorato. Fastidioso solletico. Irritanti punture di zanzare. Qualche annacquato slogan e poco più. Poi tutti a cuccia.
Ciclicamente vengono citate le emissioni in atmosfera dell’acciaieria. Ciclicamente vengono indicate tra le possibili cause di inquinamento dell’aria. Ciclicamente le accuse si sgonfiano.
Giovanni Arvedi rientra a pieno titolo tra i capitani coraggiosi dell’industria italiana. Cremona gli deve molto. Anzi moltissimo e il superlativo non è fuori luogo. Ma è vero anche il contrario.
È esagerato affermare che in riva al Po non si muove foglia che il Cavaliere non voglia. È però realtà, che il suo parere valga molto di più di tutti gli altri messi insieme. Non sempre è decisivo, ma il quasi sempre è già troppo.
Cremona dovrebbe immaginare il proprio avvenire, partecipare alla sua progettazione nella massima libertà, senza la mano di Arvedi. Dubitare che questo avvenga non è da cartellino rosso.
Sono già iniziati i primi bradisismi che anticipano la scossa elettorale del prossimo anno. Circolano i primi nomi dei candidati sindaco. Tra le domande per valutarne la possibilità di vittoria del possibile concorrente una delle più frequenti è «Arvedi lo sostiene?»
Il Cavaliere è come l’uomo del Monte: se dice sì, non esistono ostacoli.
E la politica? S’accoda, dorme, osserva. Non subisce. Accondiscende. Aspetta.
Arvedi è la più importante risorsa per Cremona. La politica la meno significativa. Arvedi decide. La politica cincischia. Arvedi rigenera la città. La politica pianta totem. Arvedi ha uno sguardo sul mondo. La politica al proprio ombelico.
Arvedi è l’uomo simbolo della città, ma anche il suo limite. È il giogo al quale Cremona è legata. Non è una disgrazia. Può essere un vantaggio, non il massimo della vita. Cambiare non è nel bagaglio della politica locale.
«Ogni giorno la gioventù aspetta, aspetta la sua occasione come l’aspettavano gli operai, anche quelli vecchi. Aspettano tutti, quelli che sono scontenti e quelli che riflettono» (Tiqqun, La comunità terribile).
Per smettere di attendere, servirebbero meno Arvedi e più politica con le Nike, quelle di Just do it. Fallo e basta, senza attenersi al giudizio del Cavaliere. Ogni tanto la pubblicità elargisce buoni consigli.
Antonio Grassi
14 risposte
Bellissimo ritratto di Giovanni Arvedi e della “sua” Cremona…. bravissimo e grande Antonio… ti vedrei bene in ottica di futuro sindaco di Cremona…ai posteri l’ardua sentenza…..
Non so se il Cavaliere appoggerebbe la candidatura. Forse potrebbe essere meglio continuare ad appoggiare persone fidate e collaudate, che in passato hanno ricevuto lauti contributi per la loro campagna elettorale e che non meritano di essere abbandonate…
Dopo aver letto tutto questo, non mi resta che resistere fino alla pensione di mio marito, e poi andarcene, non solo da Cremona, per come funziona la giunta che da oltre venti anni domina in Lombardia, anche dalla regione, e se va avanti con questo governo nazionale che con voracità e riempiendosi di privilegi condannano irreparabilmente i più fragili, persino a espatriare. I miei due figli lo hanno già fatto.
Ma mettiamo che, per puro masochismo, cerchiamo di creare un gruppo di cittadini con un elevato senso civico e che decidiamo di creare una reale alternativa al PD galimbertiano e ad un centro destra che è sempre più estremo verso omofobia, razzismo e disprezzo per i poveri (basta osservare le ultime scelte di FdI al governo). Quando ci sono momenti di protesta, che sia contro l’inquinamento, la riduzione dei servizi sanitari pubblici, la cementificazione, la non tutela dell’ambiente, mi trovo a vedere sempre gli stessi volti, tenaci ma sempre più delusi dalla mancata partecipazione attiva della cittadinanza. Allora leggo spesso ottimi articoli su questo editoriale, ma se non ci sono dietro persone pronte ad agire aiutando quei quattro gatti disperati, detti anche ambientalisti talebani da chi dovrebbe tutelare la città di Cremona e non lo fa, allora resteremo dei don Chisciotte contro pale d’acciaio… quelle del cavaliere per intenderci!
Ad Majora
Comprendo e approvo il suo intervento. Non avendo legami affettivi a Cremona ed avendo la possibilità di andarsene da una città che eccelle in inquinamento, mancanza di iniziative, impoverimento economico e culturale, dove le vere eccellenze non vengono adeguatamente sfruttate come veri trampolini di lancio, nella quale pochissimi hanno la voglia di informarsi in modo approfondito e libero e il coraggio non solo di esprimere il proprio dissenso, ma anche di impegnarsi per non accettare supinamente ciò che viene calato dall’alto, perché continuare a vivere qui? Certo, la piazza del Duomo è una meraviglia unica soprattutto la sera con i colori del tramonto. Ma non basta. Se poi aggiungiamo le malefatte della Regione Lombardia e quelle del governo che quatto quatto sta lavorando per ripristinare i vitalizi… meglio scappare lontano con la tristezza nel cuore.
👏👏👏👏
La chiamano “cremonesita’” e ci si ritrovano in molti: stumm schiss e andiamo alla Balde.
Bell’articolo. Grassi inconfondibile.
Io candiderei un sindaco donna….ADA FERRARI…
Ahhhhhh alla faccia della democrazia…
Antidemocrazia
Vedo che siamo tutti d’accordo. Chiamiamola pure cremonesità, l’effetto di una droga che colpisce chi abita nelle città di provincia. Come è stato già detto altrove in questo blog, pochi sono gli illuminati che con coraggio e senza perdere tempo in chiacchiere sono andati dritti al cuore del problema, come ad esempio per il biometaNO. Gli altri, me compreso, stanno a guardare. Nessun guizzo di coraggio. Evidentemente va bene così. Possiamo raccontarcela tutta sul Cavaliere, ma se nessuno fa nulla, alla fine ha ragione lui. Che verrà pure glorificato per le numerose iniziative cittadine.
A volte si dona molto quando per una vita si è preso di più……ma per i piccoli cremonesi che se la cantano e se la suonano, va bene così, tutti alla corte del potente per “sgagnare” qualche briciola che cade. È così dovunque, ma i cremonesi riescono ad essere ancora più sgradevoli, convinti di una superiorità divina che li rende anche ridicoli. D’altro canto, il sindaco che hanno votato li rappresenta alla perfezione.
Non ci sono contraltari ad Arvedi, pensiamo agli agricoltori che non vedono un metro più in là delle loro pannocchie. Manca la classe dirigente, quanto alla politica, beh no comment!
Lasciate che si candidi a sindaco di Cremona, che col suo potere si autoelegga, e che rimanga in carica vita natural durante.
Cremona città-stato dell’acciaio.
Così ci risparmiamo la fatica di far qualcosa per nostro conto, anche solo di pensare.