Si ritorna a parlare dell’ergastolo ostativo dopo che la Corte Costituzionale – chiamata a valutare la legittimità costituzionale di questa pena per i responsabili di reati di mafia o riconducibili ad un
contesto mafioso, che non abbiano collaborato con la giustizia e chiedano l’accesso alla liberazione condizionale – ha omesso di pronunciarsi nel merito, rinviando al Parlamento la scelta dell’eventuale modifica di disciplina.
Ma perché questo tema richiama così tanto l’attenzione di studiosi, giuristi e media? Perché il legislatore, sin dal 1992, ha prodotto una corposa normativa nella lotta contro la criminalità organizzata, e creato un sistema che assicura la detenzione ‘eterna’, senza alcuna
possibilità di accedere ad alcun beneficio da parte dei condannati per crimini mafiosi. Oggi, una dichiarazione eliminatoria di quelle norme farebbe crollare l’intero ingranaggio meticolosamente
costruito. Il quale, tuttavia, fa sorgere dubbi sulla rispondenza della ‘pena di morte viva’, come è stato chiamato l’ergastolo, ai principi dell’ordinamento italiano, poiché l’art. 27 comma 3 Cost. prevede
che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti disumani e degradanti.
La normativa introdotta, che non consente al mafioso di accedere alla liberazione condizionale, neppure quando esistano segni di sua resipiscenza, salvo che abbia collaborato con la giustizia, costituisce una violazione del citato precetto costituzionale: la non ammissione del condannato, che ne sia ‘meritevole’, alle misure alternative al carcere significa svalutare del tutto il percorso rieducativo seguito dal detenuto stesso, costringendolo a ‘subire’ una pena contraria al senso di umanità.
La nostra Consulta, dopo le sollecitazioni della Corte di Strasburgo, intervenuta diverse volte nei confronti dei Paesi europei, ha invertito la rotta per la prima volta con la sentenza n. 253/2019, nella quale ha escluso che la collaborazione giudiziale sia condicio sine qua non della concessione dei permessi premio per i reati di mafia, per quelli di mafia correlati, nonché per tutti i reati ostativi contemplati dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Oggi ha confermato quell’orientamento, con una decisione che ha tutti i caratteri di una vera svolta sulla tematica della costituzionalità dell’ergastolo ostativo.
Nelle righe del comunicato emesso a seguito della camera di consiglio del 15 aprile scorso, il Giudice delle leggi osserva che la vigente disciplina, precludendo in modo assoluto a chi non abbia
utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere alla liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro, è in netto contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Tuttavia, prima di pronunciarsi in via definitiva sull’incostituzionalità della disciplina in materia, ha ritenuto
opportuno rinviare la decisione al mese di maggio 2022, così da consentire al legislatore di intervenire con norme che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità
organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi.
La Corte costituzionale, in sostanza, ha deciso di ritardare di un anno il verdetto di illegittimità dell’ergastolo ostativo, perché non ci sarebbero, nel vigente quadro ordinamentale, gli strumenti per poter fronteggiare l’eventuale gestione del regime detentivo dei condannati ‘ostativi’, che si troverebbero nella condizione di poter usufruire di misure alternative, oggi a loro precluse. Ha preferito aspettare, dunque, che il Parlamento modifichi l’intera normativa in modo da prevedere istituti, prescrizioni, presupposti di accesso alle misure alternative, sicuramente più stringenti rispetto a quelli previsti per gli altri condannati.
Ma un anno basterà per un intervento così incisivo, finora ostacolato al fine di non perdere quanto si è costruito negli anni per contrastare la criminalità organizzata?
Rosa Nuzzo avvocato penalista