I buchini? Errori blu

24 Febbraio 2024

Nell’anno scolastico 1956-57, la sezione B della quarta ginnasio del Liceo classico “Daniele Manin” di Cremona era composta da dodici maschi, sempre in giacca a cravatta, e da tre studentesse, che indossavano il grembiulino nero. La curiosità, in quella classe che si affacciava sull’ultimo tratto del corridoio, era rappresentata non dalla sproporzione tra maschi e femmine, ma dall’originale comportamento del professore d’italiano, latino e greco. Giunto ormai a fine carriera, era noto per la facilità con cui assegnava voti alti a chiunque con pretesti banali ne facesse richiesta e per alcuni difetti di pronuncia che ne rendevano l’eloquio poco comprensibile già in italiano, figurarsi in latino e greco. Inconsueto era anche il suo metodo d’insegnamento. Spiegava e interrogava pronunciando di continuo, come intercalare dei suoi discorsi, il cognome di un alunno. “Milanesi” (che chiamava per errore “Milani”) risuonava nell’aula in media dieci volte ogni ora quando spiegava greco. Durante la lettura dei Promessi Sposi fatta da un alunno in piedi accanto alla cattedra, era la volta di “Fontana” (che chiamava “Fundà” per via delle origini napoletane del ragazzo).

Era stato l’insegnante di almeno due generazioni di studenti e il caso volle che quell’anno, nell’aula vicina che ospitava la sezione C, insegnasse un suo ex allievo e, coincidenza curiosa, che il figlio di questi fosse alunno dell’anziano professore. A causa delle difficoltà deambulatorie dovute oltre che all’età anche al sovrappeso, pur non abitando lontano, arrivava a scuola guidando una Fiat 600 di colore bianco con la carrozzeria rigata in più punti, che spegneva dimenticando di premere il pedale della frizione, innescando una serie di sobbalzi prima che l’auto si fermasse. La parcheggiava occupando la parte destra di via Boldori, davanti all’ingresso della scuola. L’altro professore, il suo ex allievo, invece, percorreva il tragitto da casa a scuola con una bicicletta di colore nero, di quelle che comunemente venivano definite “da viaggio”, spingendo sui pedali come un forsennato. Arrivava in velocità davanti alla scuola alle otto e venti precise, quando iniziava l’afflusso degli studenti verso il portone, zigzagando tra un gruppo e l’altro. A volte durante la frenata stava per perdere l’equilibrio, ma riusciva a non rotolare per terra grazie a una certa dose di agilità, che tuttavia non gli impediva di assumere posture che suscitavano fragorose risate.

Tra le stranezze dell’anziano professore c’era quella di far svolgere i compiti in classe non sui tradizionali fogli di protocollo, ma su fogli più piccoli che, in vendita nelle cartolerie, erano privi di quei piccoli fori che si formano quando si strappa la doppia pagina centrale di un quaderno. Erano fogli di protocollo di dimensioni ridotte. Qualche studente, anziché andare in cartoleria, trovava più comodo prelevarli dal quaderno, ma quando il professore si accorgeva dei buchini andava su tutte le furie. Si accaniva sottolineandoli con la matita di colore blu come fossero gravi errori, di cui poi teneva conto nel voto.

Verso la fine dell’anno scolastico, individuati su un compito in classe i buchini, affibbiò all’alunno un sei meno meno nonostante la versione di latino non presentasse alcun errore. Il compito era quello del figlio del professore suo ex allievo. Il ragazzo, irritato dal voto che gli rovinava la media del sette, ne fece un aeroplanino che si divertiva a lanciare nell’aula. Il compito in classe volteggiava, scendeva, risaliva, atterrava, veniva recuperato e lanciato di nuovo, mentre il professore, impegnato a trascrivere i voti sul registro, non si accorgeva dei lanci. Improvvisamente, l’aeroplanino planò verso la cattedra come se fosse stata una pista di atterraggio e fermò la sua corsa sul registro aperto. L’anziano professore lo afferrò, svolse le pieghe con delicatezza e si accorse che si trattava del compito in classe del figlio del suo ex allievo. Dai suoi occhi uscì un lampo d’ira mitigato dagli occhiali, ma non disse niente. Si alzò, scese dalla cattedra e accelerando i passi per poco non perse l’equilibrio. Uscito nel corridoio fece irruzione nell’aula in cui il padre del colpevole stava spiegando, sventagliandogli sotto il naso il compito in classe con i buchini ridotto a un aeroplanino.

Tornando in classe il vecchio professore si accorse che alle sue spalle qualcuno stava correndo. Era il padre del ragazzo, il quale varcò per primo la soglia dell’aula. L’intera scolaresca, all’ingresso del professore, balzò in piedi sorpresa e anche un po’ intimorita. Si avvicinò al figlio e a bruciapelo senza proferire parola gli mollò un ceffone che risuonò sulla guancia con una specie di eco. Poi se ne andò senza una parola.

Il vecchio insegnante non si sarebbe mai immaginato una reazione tanto violenta e si sentì in colpa. Rivolse parole consolatorie all’alunno sulla cui guancia sinistra prendeva colore l’impronta delle cinque dita della mano del padre. Si offerse di dargli un passaggio fino a casa sulla sua 600. Lo studente non poteva rifiutare ma avrebbe volentieri fatto a meno di quella gentilezza. Era angosciato pensando ai rischi che avrebbe corso sulla macchina guidata dal professore.

“Questo è il vero castigo”, bofonchiò, alzandosi dal banco, mentre, impilati libri e quaderni, chiudeva i gancetti della cinghia di gomma.

 

Sperangelo Bandera

2 risposte

  1. Una serie di reazioni decisamente d’altri tempi! Storpiature dei cognomi, errori blu ( gravi ), ceffoni di fronte ai coetanei … Allora accadevano veramente fatti di questo tipo, e magari l’autore del racconto si è ispirato a sue esperienze personali. Non c’erano gli psicologi, i ragazzi metabolizzavano senza fare drammi. Ora i genitori menano insegnanti e dirigenti scolastici, gli studenti restano traumatizzati se vengono corretti pur se garbatamente, di fronte agli insuccessi hanno reazioni abnormi abituati come sono a essere chiamati ” amore” e a ricevere encomi di ogni tipo. Avere la media del sette significava essere ‘bravi’ , ora avere la media del sette significa essere a livello scarso. Il 7 del 56/57 corrisponde al 9 di oggi. E i ragazzi quando iniziano a capire quanto davvero valgano e se il loro studio sia proficuo???

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