La stanza è enorme. Lei non riesce a sentirsi accolta, abbracciata, si sente come sospesa nel vuoto, abbandonata, ferita, meschina. L’albergo situato in un palazzo storico ha spazi grandi, pieni di specchiere, tappeti antichi e statue neoclassiche. Un quadro grande rappresenta la lotta fra il bene e il male. Due angeli maestosi, con ali imponenti, uno bianco e uno nero, si sfidano con le spade. Com’è finita lì? Era il primo posto che le era venuto in mente. La notte è stata burrascosa. Nicole ha continuato a rimuginare sulla serata e alla confessione di Alessandro. Il telefono non smetteva di squillare. Whatsapp sembrava impazzito. Alessandro l’aveva cercata in continuazione. Lei aveva scelto di non rispondere. Non sapeva cosa dirgli. Non aveva ancora deciso una linea da seguire. Aveva bisogno di tempo per riflettere. Di certo non vuole accollarsi i suoi errori. Anche perché non vuole finire invischiata in questioni legali, se mai emergessero. E’ consapevole di aver chiuso in modo troppo drastico. E’ stata insensibile. Lui chiede aiuto e io scappo? Sono un verme. Ma non sapeva neppure lei dove avesse trovato le parole. Non c’erano. Cos’altro c’è da sapere? Che domande può fare? Uscire dal buco nero in cui lui si è incastrato non sarebbe stato facile. Fregare i pazienti in combutta con le case farmaceutiche? Quell’uomo, suo marito, non ha spina dorsale. I messaggi, decine di vocali, tutti uguali. Lui si dice pentito, continua a ripetere: l’ho fatto per la famiglia.
Bello stronzo. Lo fa per me, per Mattia. Un delinquente.
Sono le 7. Si guarda nello specchio del bagno. Ha gli occhi gonfi, le occhiaie, si vede incurvata, secca, i capelli arruffati. Si fa una doccia bollente. Non ha trucchi con sé tranne il rossetto: se ne mette un velo sulle labbra a coprire una vecchiaia che a quarant’anni le è caduta addosso tutta in un colpo. Indossa di nuovo quel vestito di Etro maledetto che non è della sua taglia. Sono le 7.30. Attende, seduta in bilico sul letto. E’ sabato e fortunatamente non deve andare al lavoro. E’ troppo sfatta e confusa per fare qualsiasi cosa. Scende, trangugia un caffè e si ferma mezz’ora a pensare. Davanti a una parete rosso antico, un quadro parla di fiori. Una natura morta. Vuole suo figlio. Vuole la sua casa. Alle 11 c’è il suo birthday brunch alla società sportiva. Gli amici l’aspettano per festeggiarla.
Di scatto si alza. Sale in macchina e va a casa della suocera. Vuole Mattia. Subito. La nonna, ignara, l’accoglie con affetto. Sveglia il nipote che dorme ancora, gli dà la colazione e lo veste, mentre Nicole guarda con lo sguardo perso il mondo che le apparteneva, il salotto pieno di buone cose, i giochi sparsi, i libri di scuola aperti sul tavolo. Vuole bene a Vanda, una donna buona, semplice, come lei: aveva lavorato una vita come commessa. Dolcemente inconsapevole di tutta l’immondizia che suo figlio manovrava. Nicole, non mi dici niente? A che ora ci vediamo domani per il pranzo? Vi aspetto per l’una, va bene? Sto cucinando la faraona ripiena che ti piace tanto.
Grazie, Vanda. Non riesce a dire altro. Prende per mano il figlio ed esce. In macchina lo abbraccia forte, forte, forte. Come se avesse scampato un pericolo.
Nicole prende forza. Mati, sei pronto? Si va in scena.
Il telefono suona. Guarda con orrore il display della macchina. E’ fortunatamente sua madre. Mamma! Ciao! Avevo voglia di sentirti. Come stai? Stiamo andando alla festa del mio compleanno al Club. Sono famosi per il brunch, tante cose buone dolci e salate. Parla a raffica senza ascoltare le risposte. E’ nervosa.
La Società Sportiva è immersa in un grande parco, con siepi e giardini curatissimi. Raggiunge la sala ricevimenti e vede un buffet meraviglioso, le amiche e gli amici l’accolgono con affetto e con un po’ di ipocrisia. Sei bellissima! Sei troppo elegante! Lei si sente una merda. Ma fa finta di niente. Li saluta ricambiando il loro calore. Lascia la mano di Mattia che raggiunge gli amichetti ai giochi sul prato. Si volta e vede arrivare lui. Il cretino. Lui come una furia la trascina in disparte, la porta fuori, dietro il muro, come se a sospingerla ci fosse il vento, e le dice: perché non rispondi al telefono? Ho bisogno di te. Lei lo guarda come se non lo vedesse e dice perentoria: adesso facciamo la mia festa, poi parliamo. Finalmente mi hai detto la verità, sentivo che non potevamo andare avanti così. Troveremo una soluzione! Adesso lasciami in pace. In pace. Sono troppo arrabbiata!
Parla in fretta, con lacrime stizzite, imprigionate negli occhi, e lo picchia, come a respingerlo, urti innocui, piccoli pugni. Lo sposta debolmente indietro. Lui è alto, aitante, ancora bellissimo. L’abbraccia per contenerla. La stringe con forza. Lei si divincola.
Gli amici e le amiche, intenti sulla cioccolata che cola bollente, i popcorn al caramello, i donuts più buoni di tutta Parma e un’infinita serie di tartine, non vedono niente.
Francesca Codazzi
16 risposte
Bisognerebbe capire se far evolvere il racconto in romanzo rosa, giallo o avventura, per esempio, e poi si può procedere con la storia
Letto: è un testo che si legge con “voracità” . Oltre la curiosità ha la forza del fascino dell’eleganza di una scrittura raffinata.
Grazie di cuore, per le sue parole
Brava, brava Francesca! Aspettiamo il terzo capitolo
Ma mi devi aiutare, tu ci lavori con le case farmaceutiche. Come ne escono?
Bellissimo, mi piace sempre il tuo modo di di scrivere. Mi sembra di vederla
Grazie di cuore
Come ne escono questi due ?
La donna gli fa un occhio nero e poi ingoia il rospo, x amore della famiglia.
Lui stronzo era, è, sarà.
No non è stronzo, è un pirla.
Come sempre Francesca sai rapire, tras-portare all’interno della storia o romanzo oppure verità per chi si riconosce. La parola “incanto” è la sintesi di ciò che sai scrivere. Ti ripeto non smettere mai di scrivere. A quando un tuo libro. Io qui in Spagna invio i tuoi racconti, per ora, a tutti gli italiani, poi vorrei tradurre in modo che anche qui possano apprezzare chi sei e come scrivi. Un bacio grande grande
Caro Giacomo, grazie per le tue attenzioni e per i tuoi incoraggiamenti. Ho fatto un anno di spagnolo. Mi ricordo solo che il titolo del libro di grammatica era: bien hablar no cuesta (non mi ricordo se comincia con q o con c) nada. Parlare bene non costa niente. Mi sembra un buon auspicio. Chissà.
Franci hai una scrittura elegantemente semplice e semplicemente elegante..mi è sempre piaciuto ascoltarti ma forse adesso più leggerti.aspetto anche io la terza parte.
Grazie infinite
Con ansia aspetto.il terzo capitolo..è avvincente e invoglia a chiedersi cosa farei io al suo posto..
Sei un mito cara amica…
No dai!!!! Continualo!!!!!! Si capisce che hai avuto fretta di fare la seconda parte… però mi ha catturata la storia!! Se hai voglia, vai avanti!!!! Sei stata proprio brava!!!
Non è fretta, è concitazione. Grazie