L’evoluzione, che nel corso dei decenni ha caratterizzato la società italiana con il progresso dell’economia e il miglioramento dei pregiudizi sociali, non ha risparmiato il binomio costituito dai due obiettivi del maschio dei primi anni Sessanta: le donne e i motori. Distinti fattori, che, diventando complementari oppure fondendosi, hanno dato luogo, tra l’altro, nei giovani a una vera e propria fenomenologia della conoscenza delle gambe femminili, all’epoca nascoste da gonne che lasciavano scoperto soltanto dal polpaccio in giù.
Quando una signora veniva colta nel momento in cui scendeva dall’auto, con gesto indimenticabile, con le portiere che allora si aprivano controvento, offriva una visione panoramica tanto vicina al luogo d’origine da suscitare grande emozione nel cogliere quell’attimo fuggente. La moda dei pantaloni, tranne in rarissimi casi, era di là da venire e, nel movimento di discesa dall’auto, la sottana a pieghe o a tubo metteva a nudo la superfice delle cosce da sempre vietata alla vista come volevano i principi dal perbenismo imperante.
Era il flash di un attimo, il frutto proibito che la parte subliminale della mente però depositava per sempre nella memoria. Dopo aver spalancato la portiera, l’atto di scendere costringeva la signora sotto osservazione a divaricare le gambe di quel tanto che era necessario per appoggiarle al suolo. Frazioni di secondo entusiasmanti, di cui si facevano partecipi gli amici nelle lunghe serate d’estate trascorse ai tavolini dei bar del centro storico di Cremona. Poter esplorare il mistero delle gambe femminili sembrava colmare lo striminzito bagaglio di conoscenza che i giovani avevano del corpo della donna.
All’epoca, infatti, il nudo era severamente vietato, la censura sorvegliava film e televisione e le copertine delle rare riviste “pornografiche” occhieggiavano dalle edicole con la foto di una modella che indossava un costume intero o, nei casi più audaci, il bikini. Ma i tempi erano maturi per un cambiamento radicale, che fu introdotto da Mary Quant, la stilista inglese inventrice della minigonna, che lanciò facendola indossare a una parrucchiera di 17 anni, Lesley Hornby detta Twiggy (grissino). La nuova moda fece proseliti anche a Cremona e le gambe nude, cosce comprese, spuntavano un po’ dovunque. La ragazza al volante o seduta sul sedile del passeggero esercitava un’attrazione fatale e il colpo d’occhio lanciato all’interno dell’auto prendeva d’infilata gli arti inferiori che la minigonna lasciava scoperti per tutta la loro estensione.
Grazie alla facile possibilità di fruire di tale visione, non vi fu alcun rammarico quando, di lì a qualche anno, le Case automobilistiche decretarono la fine delle portiere con apertura controvento perché si rivelarono pericolose.
Ma ciò che diventa lecito finisce per annoiare. Con il diffondersi della minigonna, la facilità con cui si potevano vedere gambe seminude finì per attenuare l’interesse e ben presto svanì la curiosità del gioco a gambe scoperte. Ma il fascino del proibito resiste. Le portiere controvento restano, nei giovani di allora, un ricordo indelebile, pur con la fugace immagine che lasciavano scorgere.
Sperangelo Bandera
Una risposta
Il discorso, nostalgico, di Sperangelo, valeva anche per il modo particolare (mi pare si definisse “alla cavallerizza”) con il quale le ragazze, obbligate ancora a non usare i pantaloni, erano costrette a sedersi, di traverso, sulla canna delle biciclette e sul sedile posteriore delle moto!