Nel salottino dell’officina meccanica arredato con una scrivania dipinta di blu attorniata da sedie in tinta, si avvicendavano a fine giornata amici e clienti del titolare accomunati dall’amore per i motori, ma si parlava di argomenti che nulla avevano a che fare con la meccanica. Al tramonto di una giornata di mezza estate riscosse interesse nei presenti il ricordo di un vecchio professore di filosofia del liceo classico “Manin” di Cremona, Giuseppe Berti. Un suo ex allievo di tanti anni prima attirò l’attenzione degli astanti raccontando uno degli episodi che avvenivano nel 1961 durante le sue lezioni in terza A: “Quando ero interrogato in filosofia, bastava che alcuni compagni di scuola, incrociando lo sguardo del professore, incominciassero a dissentire facendo segno di no con la testa alle mie risposte che il professor Berti mi faceva le altre due domande ripescandole tra gli argomenti del trimestre precedente. Conseguenza: scena muta. L’interrogazione si concludeva con l’insufficienza accompagnata sempre dalle stesse parole del professore: “Capirai, di tre domande… una”. Quando tornavo al mio posto, imprecavo. Al che il professor Berti diceva, rivolto alla classe: “Mi par di aver sentito una bestemmia grave…” e, con la sua pronuncia particolare, mi ingiungeva: “Esi, ubbidisi!”. Si alzava dalla cattedra, mi apriva la porta, e, dopo che ero uscito, la richiudeva fragorosamente. Poi, davanti ai tre quartieri, come mi raccontavano i compagni, prendeva di mira uno studente a caso: “Adesso poi ci vai tu, a costo di restare in due…”.
L’ex allievo proseguiva raccontando che il professor Berti se la prendeva con quegli studenti che non gli consegnavano i “compitini”, brevi relazioni riservate in cui gli si doveva raccontare le problematiche personali, quasi sempre inventate, perché lui potesse dare un aiuto a chi era in difficoltà e ai quali, come incoraggiamento, dava la sufficienza. I pochi studenti che rifiutavano di consegnargli i compitini, invece, prendevano un cinque con scadenza alla fine del trimestre, quando il sei non lo negava a nessuno.
Il professor Berti si era fatto la fama di un uomo di poco conto, buono d’animo, generoso di carattere, ma anche di un insegnante di scarsa importanza. Una convinzione che era condivisa anche dal collegio docenti.
Quella sera, uno dei frequentatori dei raduni in officina, ex alunno del professore, medico in pensione, incuriosito dal racconto, si prese la briga di cercare su internet qualche notizia, se mai ci fosse stata, su Giuseppe Berti. Ecco che cosa trovò: “Durante la prima guerra mondiale combattè sul Montello nel 7° Reggimento. Dopo la guerra si laureò alla Cattolica di Milano in materie letterarie nel 1927. Nel 1936 ottenne il diploma in paleografia. Al liceo “Daniele Manin” di Cremona insegnò filosofia dal 1938 al 1970. Partecipò alla fondazione del Partito Popolare Italiano e si impegnò nella difesa della libertà subendo anche violenze fisiche. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla resistenza cremonese, seguendo i giovani arruolati nelle formazioni partigiane. Fu arrestato a Piacenza il 7 dicembre 1944 e fu liberato nella notte tra Natale e Santo Stefano scambiato con un sergente della Repubblica Sociale Italiana. Si impegnò con fervore nella FUCI (1940-41) e, per molti anni, nell’Azione Cattolica della quale fu Presidente dell’Unione Uomini prima (1937/46) e poi Presidente Diocesano (1946/55); portò la sua parola di fervente educatore, animatore, evangelizzatore di giovani e adulti in tutta la diocesi, anche nelle piccole parrocchie di montagna. Eletto deputato al Parlamento Italiano nella legislatura 1948-55, nei suoi interventi portò la sua attenzione in particolare sui problemi scolastici. Fu suo amico e ammiratore, tra gli altri, Giorgio La Pira. Costituì a Piacenza, nel 1947 e lo diresse fino alla morte, il ROD: Reparto Operaio Diocesano dell’Associazione di Spiritualità Getsemanica fondata da Luigi Gedda: che mira alla formazione cristiana dei suoi membri, in vista di decisi impegni pastorali. Nel 1939 fu fondatore e primo presidente della Conferenza di S. Vincenzo di S. Anna alla quale partecipò attivamente con grande fedeltà fino alla morte.
Pur essendo uomo di scuola, sentì fortemente i problemi del mondo operaio e vi si impegnò con dedizione, attraverso l’associazione delle Acli, operando sul piano organizzativo e formativo in corsi residenziali per dirigenti, nella scuola sociale di circolo, nei corsi militanti e nel Centro Enaip per l’istruzione professionale.
In tanti ricordano il suo stile sobrio, la sua capacità di ascolto, la sua premura nel farsi carico dei problemi. Fu primo presidente dell’Istituto Storico Piacentino della Resistenza. Abbondante e profonda la sua produzione scientifica, particolarmente orientata ai temi della realtà piacentina: il pensiero filosofico, il movimento cattolico, la resistenza e i problemi giovanili.
Il professor Giuseppe Berti è deceduto il 7 giugno 1979 in seguito alle conseguenze di un precedente investimento da parte di un’auto, davanti alla chiesa alla quale si recava per la messa giornaliera. La sua memoria è tenuta viva oggi dalla Casa Editrice Diocesana e dall’Istituto Culturale dell’AC diocesana che portano il suo nome”.
Il medico, che era stato suo allievo molti anni prima, si meravigliò che un uomo dalla statura morale tanto elevata fosse stato giudicato con tanta superficialità nell’ambiente del “Manin”. E alla fine la scoperta più sorprendente. La Congregazione per le cause dei Santi a Roma ha dato alla diocesi di Piacenza, che ne aveva fatto richiesta, il nulla osta per avviare il processo di beatificazione del professor Giuseppe Berti.
Sperangelo Bandera
Una risposta
Quante volte insegnanti e persone di valore vengono fraintesi e considerati in modo negativo! Quante volte studenti e colleghi crocifiggono docenti non allineati! Per insegnare non basta la laurea, occorre saper comunicare. Occorrono conoscenze approfondite, ma se non si è in grado di esprimere empatia, meglio lasciar perdere. Ora poi quando arriva un nuovo insegnante in una scuola ciò che ci si augura è che sappia utilizzare adeguatamente gli strumenti elettronici, che sappia stendere relazioni e verbali, che sappia gestire le classi in modo che non si creino problemi con le famiglie. Poi magari dopo mesi ci si accorge che l’insegnante non è in possesso della laurea…