Il telefono di Nicole continua a vibrare. Lei sta coadiuvando il suo dentista per un’otturazione ad un molare sinistro, arcata inferiore. Il dottore, ormai un amico, da più di vent’anni lavora insieme con lei, le dice: ”Rispondi, sembra qualcosa di serio. Hai l’aria stanca… strana. Stamattina non sei entrata cantando. Poi, mi spieghi, però”.
”Sono io. Ho avuto un incidente con gli sci su una pista blu. Sono a Schio. Mi stanno portando a Bologna, al Rizzoli”.
Nicole ha staccato. Inorridita. Non lo aveva visto in casa quando si era svegliata, c’era l’armadio arruffato di maglioni e maglie termiche, non aveva tempo per pensare, ha portato Mattia a scuola ed è andata al lavoro.
Alessandro non è il tipo che si arrende. Ha continuato per tutta la mattina a parlare, a parlare, mandando vocali su vocali.
‘Ore 10.09. ”Sono caduto da solo sulla pista alle nove e mezza, sono rimasto con una gamba impiantata nella neve. Una signora accanto a me mi ha detto che ho perso i sensi. E’ il dolore. Mi fa malissimo. Lancinante, come se dei lupi mi avessero sbranato la gamba. Mi sono sputtanato la tibia. Lei mi ha chiesto: ma come lo sa? Sono un ortopedico. Lei ha chiamato il 118. Volevano portarmi a Parma, figuriamoci, a Parma, ho detto no, io voglio andare a Bologna”.
Ore 11.20. “Sono dei bastardi, mi hanno portato a Parma perché hanno detto che la gamba doveva essere stabilizzata subito. Ho una frattura pluriframmentaria al piatto tibiale interno ed esterno. A Parma mi stanno ingessando per il trasporto. Poi mi trasferiranno in ortopedia in attesa dell’intervento. Qui non mi parla nessuno. Fa malissimo. Sono imbottito di Toradol. Io voglio andare al più presto a Bologna. Ho già chiamato i colleghi, mi stanno aspettando”.
Ore 17.12. “Sono a Bologna finalmente entro stasera mi mettono in fissatore esterno per stabilizzare la frattura, poi quando i tessuti molli saranno a posto, mi faranno l’operazione definitiva. Portami i pigiami e la trousse per la barba e lo spazzolino da denti e il sapone”.
Ore 19.00. ”Puoi andare a farti benedire, Alessandro. Perché cavolo sei andato a sciare?”.
Ore 19.02. ”Volevo staccarmi dai problemi. Stamattina alle sei ho mandato un messaggio alla segretaria chiedendole di disdire tutti gli appuntamenti di oggi”.
19.05. ”Sei un cretino. Ne dovrai revocare parecchi di appuntamenti, da oggi ai prossimi mesi, non credo che il recupero sarà tanto veloce. Ma forse è meglio così…”.
19.10. ”Ma come meglio così. No. Così no…”.
Ore 23.04. ”Il dolore è sotto controllo, con i farmaci, quindi bene. I tempi sono lunghi. Non posso piegare la gamba destra fino all’operazione che sarà la settimana dopo Pasqua”.
Ore 6.28 del giorno dopo. ”Nicole, ho bisogno del portatile e della trousse. Sono senza pigiami”.
Ore 7.30 ”Verrò sabato. Non aspettarmi prima. Chiedi aiuto a qualcun altro. Io vado a lavorare, mi piace il mio lavoro e non ho nessuna intenzione di cambiare la mia vita in queste settimane per te. Non meriti il mio aiuto. C’erano già abbastanza problemi senza che tu ne aggiungessi altri. Lasciami in pace. Sabato verrò con tutte le cose che vuoi. Prima non posso”.
Dopo quasi tre settimane di ospedale e mille telefonate, Alessandro si sente abbandonato. E’ sabato, oggi lei non è venuta. La chiama: ”Che bello sentirti. Nicole. Purtroppo ieri ho dovuto fare un nuovo intervento di revisione che è durato ancora quattro ore, sono depresso, mi hanno fatto quattro trasfusioni, in queste settimane…mi sento debole. Ho l’emoglobina bassa. Mi devono rifare gli esami del sangue. Non mi fido di nessuno, qui il tempo non passa mai…”.
”Quando esci? Immagino ci sarà una riabilitazione!”.
”Trenta giorni con le stampelle, senza carico sulla gamba, la fisioterapia me la faccio fare nella palestra dell’ambulatorio. Me la farà Marco. Ma ho bisogno di te. Vorrei venissi più spesso”.
”A te interessano solo i pigiami puliti. Fatteli lavare dal servizio lavanderia. Poi, visto che hai tanto tempo a disposizione, pensa alla Fondazione. Se non lo fai tu. La faccio io. Girami 20mila euro. A giugno andiamo in Kenya. Ho contattato il Vescovato di Malindi ha una guest house. Ci fermiamo un mese. Come ti piacerebbe chiamare la nostra Fondazione?
Francesca Codazzi
8 risposte
Un classico: l’incidente pare venire come il cacio sui maccheroni! Così si può giocare la carta della sofferenza fisica che è visibile, concreta, “reale”. Mentre la sofferenza psicologica, la depressione che deriva da malesseri non fisici, e quindi riscontrabili, spesso sono considerati quasi “capricci” , come se ci si giocasse dentro. Di fronte al male del corpo tutti provano comprensione, compassione, di fronte al malessere psicologico “devi reagire” e diventi egoista. E se non c’è la fai a superare la tua sofferenza e metterti come sempre a disposizione per quella “vera” altrui sei un’ insensibile che pensa solo a se stessa.
È fatta! Nonostante la batosta, il tradimento, la situazione di enorme difficoltà che ha costruito lui ( perché gli faceva comodo e piacere mostrare a tutti il suo successo professionale ed economico) lasciando di fatto la famiglia sulle spalle ignare di lei, lei resterà lì, arrabbiata e indignata, a fare ancora una volta la sua volontà. E pagherà la sua scelta sulla sua pelle, perché tutto è dovuto. Brava Francesca Codazzi. Questo è lo scenario più reale. Caricarsi tutto addosso.
A sorpresa Nicole si rimette a disposizione. La risposta che non ti aspetti da parte di una giovane donna. Per una di età più avanzata, una educata a mettere tutto ( marito, figli, famiglia…)prima di se stessa è la normalità e tutti ( marito, figli, famiglia, genitori, società…)se lo aspettano, e se non va così fanno sentire in colpa. Come se la vita di una che ha scelto anni prima una strada che la fa soffrire e l’ha fatta soffrire valesse meno di tutto il resto. Ma le giovani no, non sono così. Se ne vanno, scelgono se stesse, scelgono un’altra vita. Per fortuna.
Mi piace che Nicole, dopo aver digerito con difficoltà il boccone amaro del marito, voglia andare avanti provando ad avere fiducia nel futuro. Il marito ha sbagliato, certo, ma chi non sbaglia mai? Il vero amore, se ancora c’è, si dimostra nei momenti di difficolta, col perdono e col sostegno, reciproco ovviamente, non dovuto ma voluto.
E se Nicole ritiene che lo sbaglio di Alessandro fosse dovuto a debolezza più che a cupidigia, a maggior ragione possono uscirne rafforzati. Il benessere materiale spesso indebolisce gli animi.
Di certo Alessandro deve pagare l’errore enorme che ha compiuto, se non espiando la pena, almeno facendo tanto tanto bene gratuito. Difficile trovare il nome giusto per una Fondazione che porta con sé questo carico….
La protagonista Nicole non si lascia coinvolgere dalla situazione drammatica del marito. Sceglie ciò che la farà stare meglio. Non é sicuramente facile, ma l’allontanamento definitivo le permetterà di
ricominciare.
Di certo lui vorra’ dare all’associazione il nome della moglie per riconquistarla da un lato e per farle capire che lei è la sua ancora di salvezza. Ma non so se lei sarà d’accordo. Non vuole che il suo nome rimanga legato a questa vicenda. Discuteranno anche su questo aspetto ma lei comunque rimarrà al fianco del marito.
Si stanno definendo tante cose, sta diventando molto intrigante ma nicole avrebbe dovuto mostrare più empatia per lui in ospedale, se è amore come si può sopportare l’idea che l’altro soffre senza sentire il bisogno di portargli conforto?
Wow… sono senza parole… forse questo racconta arriva al momnto giusto… tutti a fare le vittime… brava Nicole…