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E’ la narrazione della vittoria russa a tenere in piedi Putin (finché durerà)

8 Aprile 2024

Negli ultimi editoriali ci siamo concentrati sulle narrazioni nazionali e su come esse siano estremamente influenti rispetto ai comportamenti di tutta una nazione ancora oggi. Italia compresa. Se la narrazione nazionale dell’Ucraina è la persecuzione, quella della Russia è certamente la vittoria.  Questo significa che inevitabilmente per reggersi politicamente e socialmente, la Russia ha bisogno di vittorie da celebrare, di nuove vittorie, e quindi di nuove guerre.  E questo comporta a prescindere che muovere guerra sia per Putin quasi inevitabile, come già ha fatto in Crimea, in Cecenia e così via…Ora è toccato alla Ucraina e ciò al netto della “questione ucraina” che vedremo nel prossimo editoriale e che rappresenta un unicum nella storia  della Russia.

Ci sono poi ovviamente molte altre ragioni nelle scelte di Putin, alcune a mio avviso che lo giustificano in un certo senso: l’isolamento progressivo in cui lo ha relegato la miopia europea; il fatto di essersi ritrovato “circondato” da una cortina di Paesi ferocemente antirussi e anticomunisti che per ovvio paradosso sono tutti quelli del Patto di Varsavia, che per 50 anni sono stati invece il suo cuscinetto difensivo e che oggi ringhiano rabbiosi e vendicativi dopo 50 anni di sottomissione durissima. E poi c’è l’opinione di molti (compreso il sottoscritto) che Putin temesse con certezza un tentativo di colpo di stato interno organizzato dagli Usa, e che portare il mondo sull’orlo di una terza guerra mondiale fosse l’unica carta da giocare per sopravvivere politicamente…ma oggi a noi interessa approfondire l’aspetto della “narrazione vittoriosa russa”.

Da dove viene questa narrazione così forte? Facciamo un passo indietro. È il 1945. La seconda guerra mondiale ha fatto 50 milioni di morti: circa 1 milione e mezzo tra americani ed europei occidentali, 2 milioni di giapponesi, 6 milioni di ebrei, 10 milioni di tedeschi 7 dei quali morti sul fronte russo. L’Urss perde 26 milioni di russi, più della metà di tutti i morti del pianeta. È la Russia la vera vincitrice della guerra, Stalin lo dirà chiaramente ai vari Roosevelt e Churchill alle conferenze di spartizione del mondo per alzare il prezzo: io ho vinto la guerra, io avevo contro 360 divisioni di tedeschi, mentre voi nel deserto ne avevate contro 4 o 5. E se così non fosse sarebbe incomprensibile la accondiscendenza degli Usa verso la cortina di ferro contro cui invece Churchill strillava imbestialito.

Basta leggersi il testo del brindisi per i generali vittoriosi che Stalin tiene nel 1945, in cui brinda anzitutto al popolo russo, cui si deve la vittoria della guerra nonostante i suoi tanti errori militari: ed è vero, senza gli errori di Stalin la guerra in Russia sarebbe potuta finire prima, ma Stalin aveva purgato i grandi generali e non aveva una classe dirigente militare pronta, per cui dovette decidere lui al posto loro facendo errori enormi. Lo dirà addirittura apertamente in quel brindisi che qualunque altro popolo avrebbe cacciato uno come lui e avrebbe perso la guerra. Ma i russi no. Si sono fatti letteralmente massacrare pur di non retrocedere, come fecero con Napoleone alla Borodina e a Eylau. La vera forza vincitrice della Russia è la ferocia con cui il suo popolo si è sempre immolato pur di non retrocedere. Napoleone a Eylau rimane stupefatto e inorridito quando vede che a battaglia già persa i russi continuano a farsi massacrare piuttosto che arrendersi. A Stalingrado Hitler sbava rabbioso contro i suoi generali che si vogliono arrendere, ma alla fine perfino i terribili nazisti crollano. I russi no. E vincono.

E del resto non hanno abbandonato nemmeno Putin, nonostante tutto. Se non si capisce questo punto di vista non si capisce come rapportarsi alla Russia.

In Russia i tedeschi ricevono un colpo mortale già nella battaglia di Mosca, e poi il colpo di grazia a Stalingrado. Stalin è il vincitore della guerra. Ecco che la narrazione nazionale cambia: non sarà più la Rivoluzione, ma la Vittoria. Già dal 1941 Stalin lancia la grande guerra patriottica, perché per sopravvivere a Hitler deve risvegliare nel popolo russo energie sopite (con la forza delle purghe) e scatenare la irriducibile forza dell’identità russa. La narrazione nazionale inizia a cambiare, e non a casa proprio in quel periodo Stalin riapre le chiese: gli serve anche l’ ortodossia russa per ridare vigore all’orgoglio nazionale, e richiamerà dai gulag gli unici tre vescovi sopravvissuti (terrorizzati e deperiti) accogliendoli calorosamente e dandogli mandato di riportare la religione in Russia (ovviamente ben controllata). Si narra addirittura che nell’ ottobre 1941 un prete dice a Stalin di un sogno in cui un angelo gli diceva di far volare sopra Mosca tre volte la icona della Vergine di Tichvin e i tedeschi non avrebbero conquistato la Russia. Stalin fa caricare l’icona della Madonna su un aereo e gli fa fare tre volte il giro sopra Mosca.

La narrazione nazionale inizia a cambiare, e dopo la vittoria la narrazione nazionale non cambierà più. La vittoria è per Stalin un lavacro lustrale: le purghe, le carestie, il terrore …tutto viene spazzato via dalla vittoria, fuori e dentro l’Urss. Stalin diventa intoccabile. Il mostro siede al tavolo dei grandi della terra e quello che chiede gli viene dato. È padrone di metà del pianeta, lui che aveva 20 anni prima preso in mano un Paese fermo al medioevo e devastato dalla prima ondata di gestione bolscevica.

Stalin crea una vera e propria burocrazia imperiale comunista, grazie alla quale generazioni di russi potranno spadroneggiare su mezza Europa orientale, governando con poteri assoluti pezzi interi di nazioni e divenendo potentissimi. Non è un caso che ancora nel 1984 il maresciallo Ustinov dirà di sé e della oligarchia “Stalin siamo noi, ci ha dato tutto”.

La vittoria in Russia ha una tale portata che scatena una enorme quantità di energie nella società che costringono Stalin a nuove purghe e nuove carestie già nel 1947, tanto il Paese è elettrizzato e tanto il georgiano comprende che si rischia di non governarlo più.  Ci sono negli archivi della NKVD migliaia di rapporti di polizia in cui si segnalano entusiasmi pericolosi, contadini che dopo la vittoria si aspettano la fine della collettivizzazione della terra  o intellettuali che cantano alla apertura della Russia vittoriosa all’Occidente.

La narrazione della vittoria è talmente forte che da lì in poi in Russia chi non vince viene fatto fuori: la ritirata di Kruscev da Cuba dopo la crisi con Kennedy gli costerà la sfiducia del Presidium e il ritiro forzato. La sconfitta in Afghanistan sarà la fine di Breznev e dell’Urss tutta; Gorbacev che in Occidente è celebrato come un liberatore in Russia è praticamente relegato all’oblio degli sconfitti.

Putin è un vincitore, per ora ancora. E regge e si regge su quella narrazione vittoriosa per sopravvivere come Russia tra Cina India Usa Europa etc…

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

cremonasera.it

2 risposte

  1. Grazie Prof. Martelli per la sua lucida ricostruzione che condivido in toto. Putin avrebbe potuto investire nel suo paese tutti quei soldi e quelle risorse umane che ha consumato e sta consumando ancora in questa guerra da secolo scorso, ma ciò avrebbe portato sviluppo sociale, benessere economico per il popolo russo e di conseguenza avrebbe fatto venir meno i presupposti per una dittatura sanguinaria e repressiva, ora ancora in atto, che sarebbe stata delegittimata nei fatti e quindi sarebbe crollata in poco tempo: o con un colpo di stato spontaneo dei suoi oppure indotto e aiutato dall’esterno poiché le condizioni sarebbero state mature. Ciò avrebbe aperto le porte ad un lungo percorso che avrebbe portato nel tempo la Russia ad una democrazia di tipo occidentale, con magari l’ingresso della Stessa nella comunità europea.
    Così, per evitare questo, Putin precede i tempi, spinge sull’acceleratore e gioca d’anticipo, prende in mano la situazione e prende in contropiede chi non si era reso conto, perché non aveva osservato ed ascoltato attentamente, quale realmente fosse la condizione geopolitica in corso in quell’area del pianeta.
    La guerra è come un salasso, può salvare il paziente purché sia abbastanza forte per sopravvivere, Putin come Stalin non ci pensa due volte a sacrificare i propri sudditi in cambio del mantenimento della stabilità della sua feroce dittatura ed allontanare quei Demoni che hanno sempre tormentato qualsiasi dittatore della storia.
    Putin si è condannato da solo, la sua storia finirà al Cremlino, è una sorta di suicidio incoscio il suo, piuttosto che cedere è disposto a darsi la morte: Lui è La Russia e La Russia è Putin.

  2. Scrive “finché durerà”,. Perché le pare che ci sia qualche segnale che non duri? A me non risulta anzi pare esattamente il contrario e cioè che si stia ulteriormente rafforzando ed il suo avversario al contrario indebolendo

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