In autunno andranno alle elezioni Rivolta (8.180 abitanti) e Spino d’Adda (6.890), Comuni governati dal centrosinistra. Poi c’è Pizzighettone (6.290) guidato da una amministrazione di centrodestra, Lega e civici. Un eventuale cambio di bandiera dei timonieri inciderà sugli equilibri politici dell’intero territorio provinciale, soprattutto se a mutare casacca saranno i Comuni cremaschi.
A Spino gli schieramenti sono sufficientemente definiti. Da una parte centrosinistra e dall’altra centrodestra e Lega.
Anche a Rivolta gli eserciti di centrodestra e centrosinistra sembrano già pronti per essere schierati, con l’unica incognita dei socialisti di Virginio Venturelli, che attendono alcune verifiche decisive per la scelta del campo in cui collocarsi.
A Pizzighettone non dovrebbero esserci complicazioni. Centrodestra contro centrosinistra. Un terzo incomodo è ipotesi remota, ma in politica mai dire mai è d’obbligo.
Crema andrà al voto fra un anno e il fermento elettorale è palpabile in città e nel circondario. Le cancellerie sono in ebollizione e gli ambasciatori in movimento. È una sarabanda. Ballerine e ballerini abbondano. Scarsi i punti fermi. L’unica certezza è l’impossibilità di ricandidarsi di Stefania Bonaldi.
Centrodestra e Lega lavorano per presentare un candidato sindaco unico, ma per entrambi non è escluso il pericolo di liste di disturbo, con propri pretendenti alla carica di primo cittadino. Pericolo legato al problema dei dissidenti di Forza Italia.
Pochi ma agguerriti, i frondisti sono degli esperti nella moderna guerra asimmetrica che spesso vede i più piccoli prevalere sui più grandi. Con questa tattica hanno ottenuto, prima il presidente della Provincia, poi un membro nel consiglio di amministrazione di Padania Acque e, probabilmente, qualche altro incarico. Hanno ratificato la ciulaggine del centrosinistra (proprio alleato), certificato l’inconsistenza dei partiti, validato il distacco della politica dal territorio. Hanno ridicolizzato la spasmodica attenzione delle segreterie alle alchimie degli incarichi, con il bene comune sacrificato sull’altare dell’interesse di bottega. Pratica un tempo chiamata consociativismo e adesso definita accordo, viene declinata con vari aggettivi: bipartitico, programmatico, a lungo termine. Il più pericoloso è l’accordo super partes, in teoria il più nobile. In realtà, il più penalizzante per i cittadini, di fatto, privati di un interlocutore che si faccia carico di eventuali dissensi. Se tutti sono d’accordo, chi ascolta le proteste? Una fregatura galattica, in una bella confezione, rifilata al popolo con il beneplacito universale. Tutti insieme appassionatamente, meglio di Julie Andrews e Christopher Plummer.
Per il centrosinistra, invece, incombe la possibilità della scesa in campo di un polo liberal- socialista-verde autonomo, che vede nel citato Venturelli l’assertore più convinto e più impegnato nella costituzione di un cartello elettorale con gli indiani della riserva socialista, i calendiani non intenzionati alla condanna di scegliere il male minore, i renziani di Italia Viva e i verdi, che in riva al Serio appaiono un po’ appassiti.
Da non sottovalutare la galassia della sinistra dura e pura – almeno così è descritta – che culla velleità di lista o di liste autonome.
Per il centrosinistra non è semplice trovare una personalità che regga il confronto con l’attuale sindaco. Criticabile e, in alcune circostanze, divisiva, Stefania Bonaldi ha dimostrato di avere carattere in abbondanza e autonomia sufficiente da mandare a farsi fottere colleghi di partito, anche quelli che contano. Carattere e autonomia non sempre sfruttati al meglio, alcune volte per circostanze indipendenti da lei e motivate dalle scelte di realpolitik, ma ognuno risponde delle proprie azioni, anche di quelle frutto di compromessi maldigeriti.
È difficile, per esempio, incolpare la Bonaldi del comportamento del capogruppo Pd tenuto durante un consiglio comunale in calendario nei giorni scorsi. Nell’intervenire su una mozione dei Cinque stelle a favore della liberalizzazione dei vaccini, il giacobino ha imbastito un processo contro i pentastellati degno di un Saint-Just ai tempi del Comitato di salute pubblica o di un Torquemada in piena inquisizione. Difficile, è indubbio, incolpare la Bonaldi dello sfondone ma l’inflessibile pubblico ministero, costretto a votare in modo opposto alle sue infuocate accuse ai cinquestelle, è il capogruppo della maggioranza.
Su tutto questo ambaradan aleggia il nome di Umberto Cabini, l’imprenditore che centrodestra e centrosinistra vorrebbero candidato. Un Draghi in riva al Serio.
Cabini vanta un curriculum eccellente, gode della stima delle associazioni di categoria, è un leader e ogni volta che ha ricoperto un incarico ha ottenuto risultati lusinghieri. In tasca non ha tessere di partito. In tanti gli tirano la giacca. Deciderà a settembre. Take your time canta Sam Hunt. Cabini ha seguito il consiglio.
Crema è la capitale della Repubblica del Tortello e tutte le strade del Cremasco conducono a lei. Non è Roma, ma si comporta come tale e irrita la periferia. Le viene riconosciuto il ruolo di centro di gravità, non il modo di esercitare il compito. Dispone delle legioni, ma non della capacità e del carisma per manovrarle. Ha la storia, ma l’ha dimenticata. Ha la presunzione, ma non le palle da esibire con i forestieri.
L’incapacità del Cremasco di trovare quella compattezza necessaria per contare non è imputabile solo alla città. È un difetto congenito del territorio, il quale – è doveroso ammetterlo – ha tentato di uscire dal pantano. Si è inventato l’Area omogenea, ma invece che di granito si è rivelata d’argilla. Un Lego che si smonta in un attimo.
Un sindaco di Crema che riuscisse a superare questi ostacoli sarebbe salutare, non solo per il Cremasco. Ma per tutta la provincia.
Antonio Grassi