Fino ad un mese fa non conoscevo nemmeno l’esistenza dell’eremo botanico di Pontirolo Capredoni. Per un giramondo naturalista come me, una grave pecca, benché sia un’area privata. Eremo botanico e non giardino, è stata la prima metafora che mi è venuta in mente, in quanto luogo appartato, silenzioso, che ispira alla contemplazione nel rapporto intimo con l’opera del creato, in un’atmosfera di pace e alla periferia di un piccolo borgo,meno di cent’anime, a due passi da Piadena. Eremo, religiosamente parlando, anche perché ritrovo di madonnari da tutt’Italia a rappresentare le loro opere mirabili, in occasioni speciali e serene.
Luogo ove il diserbo è bandito; ove le specie selvatiche locali convivono con quelle coltivate o importate com’è il caso, quest’ultimo, del Nontiscordardime’ (Myosotis ssp) e della Sherardia arvensis L. , spontanee dei prati circostanti che crescono vicino a questi esemplari francesi di lavanda ( Lavandula stoechas L.) ( foto 1), dai sepali vessillari rosa e i fiori viola oggetto di particolare curiosità da parte delle formiche nell’immagine proposta. Un tipo di lavanda originaria proprio della Francia ed in particolare delle isole di Hyeres, chiamate anche Stecadi da Apollonio Rodio nel mito degli Argonauti ( Arg.IV) da cui il nome di specie.
Piante dunque da tutte le parti del mondo, persino dal Sudafrica , come questa splendida Aloe maculata in fiore (foto 2) , e da habitat ampiamente diversificati: dalle coste rocciose e aride del mare, come questo grandioso Helichrysium italicum (Roth) G . Don (foto 3) in ampi cespugli dalle foglie e fusti argentati, i fiori ancora chiusi e conici in stretti corimbi all’apice dei fusti, e dall’intenso profumo. Quindi dalle macchie boscate del Mediterraneo, come il Teucrium fruticans L. (foto 4) dai singolari fiori azzurri venati sprovvisti del labbro superiore per cui gli stami e lo stilo appaiono esposti ed incurvati; ai boschi del Nordamerica come questa meravigliosa Aquilegia chrysantha nella sua cultivar “Yellow Queen” (foto 5) dai cinque petali giallo dorati arrotondati all’apice, avvolti da cinque sepali appuntiti e rotati , a formare un fiore estremamente suggestivo.
Ma nubi fosche si addensano all’orizzonte. Che rimangano là il più possibile!, perchè in nome del progresso, mai parola è stata così abusata, questo luogo ameno e in particolare il suo boschetto a nord, rischia di finire distrutto, benchè si continui vanamente a parlare di rispetto della natura, e dell’incremento delle aree verdi , boschive, della loro tutela e quindi di uno stop alla cementificazione del territorio.
Ma si sa, il progresso non guarda in faccia a niente e a nessuno, in quanto ad espropri, a devastazioni; aziende secolari che rischiano di essere smembrate, attraversate da nuove strade che aggiungono ulteriore consumo di suolo a quello già previsto per le opere di sviluppo, che alterano anche la paesaggistica ed impongono assurde deviazioni o sottopassi, o curve da pista per raggiungere in 4 km quello che prima si raggiungeva in pochi secondi, a 100 metri da casa.
Ma non andiamo oltre su queste note dolenti futuribili, e concentriamoci sulle bellezze del luogo, su ciò che la sua magnifica natura sa esibire, ripartendo da una rosa,essendo maggio il mese delle rose per antonomasia, una splendida Floribunda, la Fellowship (foto 6), a fiori doppi a coppa leggermente profumati e raccolti in piccoli bouquet sui fusti cespugliosi e dalla fioritura prolungata che va dall’inizio della primavera fino ai primi freddi.
E poi quel colore arancione molto luminoso e dalle infinite tonalità, elegante, raffinato, in amabile contrasto con le foglie verdi scure sottostanti, che conferisce vivacità all’ambiente.
Stando sulle rose, l’ispirazione gershwiniana della Rhapsody in blue, (foto 7) suggerisce un’intonazione musicale e quindi l’importanza dell’interesse trasversale alle diverse arti; una sorta di connubio, di Eden artistico dove le varie espressioni della bellezza si armonizzano tra loro; bellezza rappresentata in questo caso dal colore speciale, quel prugna intenso che è quello che più si avvicina alla tonalità impossibile, inesistente in natura per la regina dei fiori, e cioè il blu, a rappresentare dunque il mistero, la spinta verso quei desideri irraggiungibili. “Una rosa blu come non ce n’è” canta Michele Zarrillo.
Una terza rosa, la Edgar Degas (foto 8), fa parte del gruppo delle Impressionistiche perché dedicate ai pittori di questa famosa corrente nata nella seconda metà dell’Ottocento, soprattutto francesi, che rappresentavano su tela ciò che il loro stato d’animo provava guardando un paesaggio o qualunque altro soggetto.
E queste fantastiche rappresentazioni spiccavano proprio per i colori che in questa categoria di rose si vogliono riproporre nelle loro composizioni più bizzarre, stupefacenti, come questa, ritenuta un capolavoro di originalità per l’alternanza tra un rosso vivo variamente screziato, il giallo e il rosa pallido.
Cambiando famiglia, l’Iris rustic cedar (foto 9) colpisce per quei colori che vanno dal bruno al miele ramato striati man mano che si procede verso il centro del fiore, con barba gialla. Un fiore che trasmette calore e dolcezza al tempo stesso. E quelle gocce di pioggia sui suoi petali, che ne aumentano il fascino, amplificandone visivamente la superficie.
L’imbarazzo della scelta è veramente tanto di fronte ad una così grande varietà di essenze, e la Gaillardia aristata Arizona sun (foto 10) per la sua stupefacente composizione di colori, non poteva non essere rappresentata. Originaria dell’America del nord, presenta magnifici fiori per metà rossi, la parte interna, e per metà di un giallo vivace. La brillantezza della composizione cromatica è valorizzata dalla disposizione a raggiera dei petaloidi, tipica dei fiori delle Asteraceae, che trasmette l’illusione del moto di diffusione centrifuga del colore nell’ambiente circostante, esaltando il valore estetico e riempitivo del colore stesso.
Esuberante la Weigelia florida dall’Asia orientale, nella varietà Bristol ruby (foto 11) una rampicante dai fiori campanulati di un rosso scuro che crescono abbondanti sui rami fogliosi, orientati in diverse direzioni e dalle cui fauci escono stami e stilo bianchi, cromaticamente contrastanti coi fiori che li accolgono.
Come non rimanere colpiti poi dalla Paeonia alba plena (foto 12) dal grande fiore bianco, il colore più luminoso ma acromatico cioè senza tinte perchè assorbe tutti i colori dello spettro solare; acromatico come il nero che invece li respinge. Fantastica la sua etimologia perchè il nome, dato da Teofrasto, deriva da Peone , mitico medico degli dei che con le foglie di questa pianta guarì sia Ares , il dio della guerra (Iliade V libro) sia Plutone (Ade), ferito da Eracle . E da Plutone Peone fu poi trasformato in fiore.
E per concludere, dall’Africa centrosud orientale e dalla duplice peculiarità, la Kniphophia uvaria. I fiori tubulari in dense pannocchie che da orizzontali si verticalizzano sbocciando aperti verso il basso, un equilibrismo per gli insetti impollinatori che non è certo un problema; e il colore cangiante dei fiori che dal rosso vira all’arancione fino al giallo in piena maturazione; un dinamismo cromatico che supera il pregiudizio del colore stabile in natura che, come abbiamo visto, ha sempre tante cose da insegnarci, ovunque ci troviamo ma in particolare in eremi come questo ove la ricchezza botanica è una specialità.
Speriamo allora che non ci sia bisogno di “compensazioni ambientali” in un prossimo futuro per il progresso che arriva, o quantomeno, se proprio inevitabili, che di parcheggi non si tratti.
Stefano Araldi
prima parte
Pontirolo sul patibolo: polo logistico, autostrada, ferrovia
13 risposte
Complimenti Complimenti l’articolo è stupendo .bravissimo
Approfitto della sua competenza per porre un problema. La foto n.7 presenta all’interno di una delle rose un insetto che da qualche anno costituisce una devastazione per il fiore. Tra me e loro, quegli insetti che prediligono soffermarsi sulle rose, è guerra, ma per ora sono perdente. Ha qualche consiglio da darmi?
Abbiamo inoltrato la domanda a una entomologa. Sono in attesa della risposta
Di insetti ce ne sono due. Uno si chiama Oxythyrea funesta e l’altro sarebbe un ortottero non ben riconoscibile. In questo periodo in cui ci sono gli impollinatori è sconsigliabile usare gli insetticidi, ma comunque le rose non muoiono per questi insetti. L’unico intervento che mi è stato consigliato è quello di scuotere i fiori quando gli insetti sono presenti.
Grazie mille e ancora complimenti Seguirò il consiglio. Comunque le rose risultano devastate!
Approfondirò la ricerca per conto mio ed in effetti ho letto che questi insetti oltre che essere impollinatori sono anche fitofagi.ma in questo luogo mi è stato riferito che rose causa loro non ne sono mai morte. Poi penso che ogni ambiente sia qualcosa di unico….
Come sempre gli articoli del Dott. Araldi sono molto interessanti e ben strutturati con un ottimo corredo di immagini. Sarebbe proprio un peccato perdere un patrimonio floreale così piacevole e rilassante.
Grazie per questa bellissima scoperta e per la condivisione.
Un lavoro condotto all’interno di un eremo botanico costituisce già, di per se stesso, un richiamo suggestivo ed evocativo e lei, dottor Araldi, l’ha saputo realizzare con maestria, fantasia e originalità.
Ha scelto e raccontato piante provenienti da differenti parti del mondo, mettendo in evidenza la ricchezza botanica del luogo e la bellezza di ogni specie, riuscendo a suscitare nel lettore il desiderio di conoscere di più.
Ha spaziato, inoltre, dalla mitologia alla musica, agganciandosi, non a caso, a quella stupenda di Michele Zarrillo, capace di creare, in ambito diverso, altrettante magiche suggestioni.
Grazie! Aspetto la seconda parte!
Bravo Stefano, continua a regalarci immagini di bellezza e a ricordarci la sua precarietà inesorabilmente minacciata dalla bruttezza che avanza.
Interessante il fatto che in questo piccolo spazio riescano a sopravvivere specie con caratteristiche diverse provenienti da ogni parte del pianeta, un pò come accade sul monte Baldo. Ti risulta che temperatura, pressione dell’aria e ventilazione in quel di Pontirolo siano tali da garantire la vita floreale di queste bellezze, oppure sono presenti altre condizioni sconosciute?
Il clima è sempre quello padano ma sono i microclimi,i microhabitat ad arte creati che influiscono sulla crescita di tante specie così diverse e lontane tra loro, per cui quelle che necessitano di maggior luce, trovano una collocazione più esposta ….e poi s’è creato un piccolo stagno per le piante acquatiche come le ninfee e il giaggiolo selvatico. La condizione che più influisce, in definitiva, è la quotidiana costante attenzione e cura umana che permette di ottenere grandi risultati e far crescere piante anche sfidando l’impossibile.
Articolo molto bello e interessante. Suggestiva per le immagini che evoca la descrizione delle specie floreali; ho particolarmente apprezzato la descrizione delle varietà delle rose.
Il termine eremo richiama sempre un profondo senso di pace, in questo caso trattandosi di eremo botanico anche di contemplazione della natura, come afferma giustamente il Dott. Araldi.
Auspico quindi che la bellezza di questo luogo sia preservata dalla minaccia di un presunto progresso.
Grazie per avermi fatto conoscere questo piccolo paradiso e per trasmettere la passione verso questo universo meraviglioso!