GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI
Esordire col famoso ‘Da un pezzo l’avevamo detto e scritto’ è certo inelegante. Ma la tentazione è forte. E, come Oscar Wilde insegna, a tutto si può resistere tranne che alle tentazioni. Si converrà che quella ora giunta alle battute finali è stata una campagna elettorale tanto ricca di retroscena quanto povera di mattatori in scena. Inevitabile pertanto che l’attenzione, più che sui programmi, si sia concentrata sul discutibile attivismo manovriero, trasversalmente intessuto fra i due schieramenti, di alcuni protagonisti del retrobottega elettorale. I quali col loro marmoreo silenzio ne hanno, di fatto, fornito indiretta conferma. Al netto di nomi e sigle partitiche, quel che risulta è la meticolosa pianificazione dello schema di gioco necessario ad alcuni notabili di destra quanto di sinistra per blindare e rendere incassabili grazie all’esito del voto sostanziosi bottini di intuibile natura: fondazioni, partecipate, sindaci giusti nei posti giusti, perfezionamento di cordate non propriamente dedite all’ascetismo francescano. E come poteva reagire l’opinione pubblica locale a quest’ennesima pentola scoperchiata se non con l’ennesimo ‘che cosa sporca è la politica’ ? Proprio qui vorrei applicare, al netto da impropri eccessi moralistici ed emotivi, gli arnesi di un freddo ragionamento.
Primo: solo qualche anima pericolosamente candida può ancora credere che alla politica sia dato essere ‘pulita’ nel senso convenzionalmente attribuito alla parola: disinteresse personale, trasparenza di comportamenti, assenza di maneggi nelle retrovie. Non ‘dura e pura’ come l’idealismo dei puristi la vorrebbe, la politica è mediazione, compromesso, faticosa costruzione di accordi che necessariamente prevedono logiche di scambio spesso assai discutibili. Fin troppo facile rinfrescare la memoria al riguardo. Ai tempi di Andreotti in alcuni collegi votavano anche i morti. Fanfani utilizzò con agghiacciante cinismo il delitto Montesi che sfiorava, attraverso il figlio Piero, la figura di Attilio Piccioni per far fuori il più intelligente e inattaccabile degli avversari interni. Quanto alle disinvolture di Craxi, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ma eccoci al ‘ma’. Un ‘ma’ tanto ingombrante da imprimere tutt’altra rotta al seguito del ragionamento. Come mai le umane debolezze e le spregiudicate pratiche di potere di tanti statisti, leader politici e servitori dello Stato sono quasi scomparse dalla memoria collettiva mentre per associazione immediata li ricordiamo per l’intelligenza di visione politica, il coraggio delle scelte strategiche, le tangibili realtà del loro concorso all’evoluzione e alla crescita del nostro Paese? La risposta è già nella domanda: perché nel finale consuntivo di luci e ombre che ogni carriera pubblica presenta le prime sono di schiacciante superiorità. Può dirsi lo stesso riguardo alla classe dirigente che con alterne fortune e parecchi incidenti di percorso e conseguenti passivi, regge le sorti cittadine? In molti, troppi casi, la risposta è negativa. Machiavelli insegna che è il fine che i governanti si propongono che giustifica i mezzi utilizzati per raggiungerlo. Quindi, è la natura e qualità del fine a fare la differenza. Se i personaggi implicati nell’ultima vicenda locale avessero il buon gusto di uscire da un pervicace e arrogante silenzio sarebbe interessante farsi spiegare quale fine, orizzonte programmatico, quale disegno concretamente utile all’interesse del territorio possano invocare a giustificazione di quel che, a prima vista, appare come banale mercato di poltrone il cui orizzonte si esaurisce nell’interesse strettamente personale e clientelare.
La faccenda in oggetto ampiamente trascende la solita storiella di umane ambizioni personali di Tizio o di Caio e invita a riflettere sul vizio sistemico che da qualche decennio corrompe e distoglie le pratiche del potere dalla loro corretta finalità. E’ il naufragio di quell’etica delle professioni che andrebbe robustamente ripresa dopo che, alle interessanti iniziative cattoliche del secondo dopoguerra, seguì il nulla e il crescente disinteresse al tema. In questo panorama di conclamata e forse irreversibile crisi delle culture politiche e istituzionali è inevitabile che tutto diventi piccolo: uomini, teste, programmi, classi dirigenti arrivate a pubbliche responsabilità senza alcun serio passaggio formativo e meritocratico, forse persino inconsapevoli di rivestire ruoli che un tempo appariva nobilitante e gratificante definire di ‘Servitori’ del bene comune. L’esercizio del potere, progressivamente depotenziato di senso forte, si riduce a pianificazione scientifica dell’occupazione di posti di potere da godere e consumare nel breve volgere degli astri favorevoli. Una spudorata corsa all’albero della cuccagna. Se anche un tempo le famose correnti partitiche ricorrevano a imboscate, manovre occulte e ad altre poco cavalleresche pratiche, è pur vero che la posta in gioco riguardava differenti visioni politico culturali del futuro del Paese. Roba grossa e seria in cui la qualità delle idee ancora pesava, eccome. Oggi, quelle che generosamente chiamiamo ancora ‘correnti’ sono per lo più cordate politico affaristiche pilotate da portatori di confliggenti interessi personali e clientelari.
Concludendo: nessuno scandalo se un politico pratica il diritto-dovere di costruirsi propizi schemi di gioco. Ma a fare la differenza è la natura e la qualità del suo gioco. Su questo punto apparentemente marginale, in realtà moralmente e politicamente decisivo, i cremonesi tuttora attendono risposte che le mediocri comparsate mediatiche della campagna elettorale si sono ben guardate dal dare.
Ada Ferrari
3 risposte
Simpatico intervento di cose note e risapute. È sempre bene ricordarle anche ai neofiti.
Leggo sempre con interesse gli editoriali della professoressa Ferrari. Per questo mi sento un po’in sospeso: mi aspettavo dopo il “Primo” i successivi punti di riflessione. O forse li troverò prossime puntate? Manca poco al giorno del voto…
Anche se ho smarrito il pallottoliere confidavo nella successione logica dei punti del ragionamento. Quanto all’ imminenza del voto , a ognuno l’ onore e l’ onere di scegliere e rischiare senza impropri ‘suggeritori’ magari travestiti da ‘direttori di coscienza ‘.