L’amore non muta: ce lo insegna Publio Ovidio Nasone nell’Ars Amatoria

6 Luglio 2024

Almeno da più di 20 secoli i rapporti amorosi non subiscono cambiamenti. Lo dimostra il poeta di Sulmona, Publio Ovidio Nasone, nato nel 43 avanti Cristo e morto il 17 dopo Cristo, il quale descrive l’amore in tutte le sue varianti nell’Ars Amatoria, la sua opera più nota, in cui si evince l’assoluta identità tra ieri e oggi nei gesti e nei comportamenti relativi alla passione amorosa. 

Del primo incontro con l’amante, Corinna, dice: “Era un giorno di mezza estate. Appena dopo aver pranzato, mi distesi sul letto per riposare, con la finestra socchiusa e con quella scarsa luce che a volte s’incontra passeggiando in un bosco o come quando la notte sta per finire e manca poco al sorgere del giorno. C’era l’atmosfera giusta, quella penombra in cui le ragazze, che sempre fingono vergogna, riescono a soffocare il pudore. Improvvisamente, arriva Corinna con indosso soltanto una tunica leggerissima e con i capelli divisi che cadono sulle spalle nascondendo il biancore del collo. Così si dice che entrasse nel letto la bellissima Semiramide. Le strappo la tunica di dosso: è così sottile che non faccio alcuna fatica a farla cadere, anche se lei tentava di coprirsi, lottando debolmente come chi non vuole avere il sopravvento. Ben presto si arrese del tutto”. 

A proposito della tunica leggera Ovidio precisa: “L’indossare una tunica leggera non significa anticipata resa, perché le donne romane non sono solite nascondere il loro corpo. Tutt’al più indossano le orribili fascette, se vogliono apparire virtuose, all’altezza del seno. Ma svestirle non è un rito che si compia con facilità, non è una battaglia che si vinca senza sforzo. E’ difficile cogliere la sensualità insita in ogni individuo della società romana, prima di rendersi conto del fatto che sia l’uomo sia la donna avvertono sotto le vesti la loro nudità come una sensazione naturale”. Ancora nel XXI secolo si usano abiti succinti e leggeri. Spiega il poeta di Sulmona: “E’ l’eterna vanità femminile. Il poeta greco Ibico, quattrocento anni fa (V secolo a. C.), aveva chiamato le donne di Sparta ‘esibitrici di cosce’ e sia Euripide sia Sofocle hanno descritto le loro vesti: erano sdrucite in modo che, camminando, mettessero in mostra le nudità dei fianchi, delle cosce e delle gambe”. 

I ricordi amorosi restano impressi nella mente: “Ripenso ancora, a distanza di anni, a quando la contemplavo sdraiata sulle lenzuola rosse del letto: quanto era bella con i capelli spettinati. Sembrava una baccante esausta dal piacere che si distende a riposare sull’erba di un verde prato. Il ricordo di lei, spesso, riaccende il mio cuore, anche se sono trascorsi molti anni da quando ci confidavamo l’amore. Spesso, riapro nella mia mente il deposito dei ricordi e la vedo davanti a me completamente nuda: ogni sua parte del corpo è perfetta. Che spalle, quali braccia vidi e toccai! La forma dei suoi seni com’era adatta a essere accarezzata e com’era liscia la sua pelle! Che disegno perfetto dei fianchi, che cosce lunghe e ben tornite!”. 

Anche il bacio non ha subito variazioni dai tempi dell’antica Roma e Ovidio ne spiega la tecnica nella sua opera letteraria: “La lingua dell’uomo deve scorrere tra le labbra della donna e quella femminile deve essere ricevuta da quelle maschili”. I tradimenti corrono sugli stessi binari, allora come oggi. “Corinna ebbe gravi sospetti che io andassi a letto con Cipassi, la sua migliore amica che, in verità, amai per un breve periodo. Qualche gesto troppo confidenziale mi deve aver tradito. Allora ho negato anche l’evidenza  spergiurando con tenacia. Le ho ripetuto all’infinito: giuro che non mi è mai venuto in mente di tradirti né di cercarmi un’amante. E poi: quale uomo perbene potrebbe desiderare i piaceri della migliore amica della sua donna? Con tutte le ragazze che passeggiano per Roma in cerca d’avventure, dovrei proprio mettermi con l’amica che ti è più fedele? Sarei stato così ingenuo da tentare una che avrebbe finito per fare la spia e dalla quale, per di più, avevo buone probabilità di essere respinto? Giuro di non avere commesso nessuna colpa”. Conseguenza di ieri come di oggi: si scatena il dramma della gelosia: “Se a teatro giravo la testa all’indietro, sosteneva che stavo guardando una ragazza, se una donna posava per caso gli occhi su di me, lei immaginava che mi stesse facendo dei segnali segreti, se ammiravo la bellezza di qualche sua amica mi prendeva a unghiate, se la criticavo insinuava che nascondessi delle colpe, se avevo un bel colorito diceva che non avevo voglia di fare l’amore con lei, se ero pallido sospettava che morissi d’amore per un’altra donna. Ero trattato come un asino abituato a continue frustate. Del resto non avrei saputo quale desiderare di più. Sono stato innamorato di due donne insieme, lo ammetto senza vergogna. Entrambe erano belle, l’una e l’altra abili nelle arti femminili. Ero soggiogato da entrambi gli amori. Allora mi dissi: meglio amare due donne che restare senza neppure una”.

 

Sperangelo Bandera

Una risposta

  1. Non riesco a chiamare amore quello che leggo in queste righe che metterei piuttosto sotto il titolo “faccende di letto e dintorni” proposte da un punto di vista rigorosamente maschile, dove l’una (donna) vale l’altra purché “belle e abili nelle arti femminili” (‘arti’ come se si trattasse di un mestiere?). Anzi due meglio di una. Che poi “tutte le ragazze/donne che passeggiano” siano “in cerca di avventure” è la proiezione impropria di un immaginario maschi- le che confonde le ragazze/donne che passeggiano con le ‘passeggiatrici’, tristi vittime e emblemi di una millenaria storia di subordinazione dello status femminile in una società fatta da uomini per gli uomini, malata di maschilismo e paternalismo e che oggi non riesce/non vuole chiudere con un passato che il diritto ha archiviato ma che è ancora vivo e attualissimo purtroppo nei costumi e nella mentalità.
    Penso che l’amore sia un’altra cosa.
    È proprio tutto quello che in questo testo non è scritto e che forse non ne è nemmeno il sottostante. Sicuramente è qualcosa di meno giocato sulle tecniche amatorie e più sulla condivisione della fatica che è la cifra del vivere per chi, raggiunta l’età della ragione, sceglie di non chiudere gli occhi sulla realtà della condizione umana. Senza nulla togliere al legittimo immaginario erotico individuale, l’amore è e resta altro. A ciascuna cosa il suo nome.

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