La storia la scrivono i vincitori. Ma la storia la fanno anche i perdenti. Poi ci sono gli indolenti che non sono né vincitori, né perdenti. Poi c’è il revisionismo che mischia le carte. Rende i vincenti un po’ meno vincenti e i perdenti un po’ meno perdenti e quasi sempre i primi s’incazzano.
Infine ci sono personaggi privi di una collocazione precisa. Non sono vincitori e neppure sconfitti. Nemmeno indolenti. Qualcosa hanno combinato, ma lo storytelling della narrazione dominante li ignora. Li rimuove dalla memoria collettiva. Tra costoro Mario Bini occupa un posto di rilievo. È morto 10 anni fa, il 4 luglio 2014. Aveva 58 anni. Venti giorni prima, il 15 giugno, in Val Trebbia, era stato punto da alcune api. Shock anafilattico. Sala rianimazione. Scienza impotente. Addio a questo mondo.
La ricorrenza è stata ricordata il 4 luglio scorso all’Osteria da Quinto a Picenengo.
Perché dedicargli un articolo? Perché commemorare una persona scomoda, poco in sintonia con le istituzioni? Perché scrivere di un provocatore, di un anarchico, di un rivoluzionario? Di un comunista barricadiero, che alle parole faceva seguire azioni non sempre rispettose del codice penale e civile, spesso borderline, conditi con slogan e striscioni di satira feroce?
La risposta si trova nel manifesto dell’evento di Picenengo.
«Mario Bini ha attraversato la vita di molti di noi lasciando un’impronta indelebile. Energico coerente vitale, Mario ha saputo condividere e trasmettere il fuoco che anima coloro i quali camminano nel mondo a testa alta».
Contestatore a tutto tondo, tutto d’un pezzo, a tutto gas, rivendicava con orgoglio e in ogni circostanza le proprie idee e lo schieramento d’appartenenza. Protagonista di lotte politiche, sociali e civili, ha speso la vita nella difesa dei diritti dei più deboli. Dei giovani. Dei non garantiti.
Il suo impegno di uomo-contro inizia tra i Proletari in divisa. Seguono i blocchi antinucleari di Caorso e le battaglie per gli spazi autogestiti. È in Val di Susa a fianco dei No Tav. In prima linea contro la costruzione dell’inceneritore in zona San Rocco, è sua l’idea di un presidio permanente – giornalisticamente Forte Apache – sull’area dov’era prevista la costruzione dell’impianto. Punto di riferimento degli autonomi e degli antagonisti, Bini è stato il loro leader. Il comandante riconosciuto. Il condottiero indiscusso. La guida carismatica e ascoltata.
«Mario ha influito e attraversato la vita di diverse generazioni di militanti politici e di persone» (Rivoluzione Anarchica, 4 luglio).
Piaccia o no, infastidisca o meno, questo ruolo fa di lui una micro tessera del puzzle della storia di Cremona.
Il Centro sociale Dordoni, sua creatura, ha testimoniato il malessere di una fetta della città. Di un disagio giovanile. Il Centro è stato causa di polemiche e di scontro politico e non sono mancati momenti di alta tensione e di violenza. Criticato, osteggiato da una parte della cittadinanza, il Dordoni ha proseguito l’attività, anche dopo la morte del fondatore. È stato chiuso nel gennaio 2021, a 26 anni dalla nascita.
«Mario ha saputo coniugare caratteristiche umane molto rare ad una lungimiranza e coerenza politica, adattandosi alle trasformazioni del contesto sociale e dei movimenti sociali mantenendo sempre la bussola del suo orientamento di militante comunista e rivoluzionario» (Rivoluzione anarchica, 4 luglio 2014).
Bini non era un santo, ma neanche il diavolo. Liquidarlo con disprezzo e inserirlo tra i contestatori duri e puri, tra i rompicoglioni e i facinorosi per partito preso sarebbe ingiusto e non corrisponderebbe alla realtà. In privato era una persona simpatica. Tranquilla. Restaurava con perizia mobili antichi. Cucinava in modo egregio. Abbinava con competenza i vini ai cibi. Non gli mancava l’ironia, la battuta pronta e sarcastica. Era piacevole ascoltarlo. Difficoltoso, invece, discutere con lui se non stavi dalla sua parte. Se non eri autonomo, antagonista. O, più banalmente, se non eri incazzatissimo con Comune, Provincia, Stato. Se eri un borghese. Un fighetta, come diceva lui.
Era un’impresa acquisire la sua fiducia, ma se la ottenevi diventavi suo amico anche se in disaccordo con i suoi metodi di lotta e alle sue iniziative. Ci sono riuscito, quando gli ho consigliato di leggere I dannati della terra, saggio su colonialismo e le lotte di liberazione, del medico algerino Frantz Fanon.
Al contrario della sua immagine pubblica, che lo raffigurava rigido e intransigente, era capace di mediare. L’interlocutore doveva ascoltarlo e non troncare il confronto dopo l’ennesima ripetizione di una sua proposta inaccettabile, in quanto contro la legge o irrealizzabile dal punto di vista pratico.
Bruno Poli, di Cremona Pulita, si era dimostrato un maestro in questa capacità di ascolto L’aveva convinto a sottoscrivere, insieme ad altre associazioni, un documento unitario per contrastare la costruzione dell’inceneritore. Era il 22 novembre 1994. Bini era il comandate incontrastato di Forte Apache. Lo avevo sopranominato Geronimo. Trovavo in lui delle somiglianze con il capo indiano. Come lui guerriero. Come lui ribelle. Come lui indomito. Alcuni anni dopo gli regalai il dvd con l’omonimo film di Walter Hill. Mi ringraziò sorridente e orgoglioso del paragone. «Allora sono davvero il capo degli Apache?». Confermai. Mi diede il cinque.
Di lui mi è rimasto il ricordo di una persona dalla corporatura massiccia, barba, sigaro, modi spicci, stereotipo dei rivoluzionari di cinema e letteratura. Nelle riunioni di Forte Apache interveniva al termine del dibattitto, riassumeva le dichiarazioni di chi lo aveva preceduto, poi esponeva il suo pensiero. Parlava ed era il verbo degli autonomi. Era la linea da seguire. Ascoltava cantautori alternativi, testi inneggianti alla lotta di classe e all’anarchia. Ma la canzone che più gli si addice è di Ligabue, più commerciale e ruffiana. «Non è tempo per noi che non ci adeguiamo mai, fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori».
E nei miei pensieri non è mancato l’accostamento al protagonista de la Locomotiva di Francesco Guccini. Ma Bini in fondo era un mite. Non avrebbe fatto del male a nessuno. E infatti negli scontri piazza ne usciva sempre acciaccato.
Francesco De Gregori ha messo d’accordo tutti: «La storia siamo noi, nessuno si ritenga escluso». Tra costoro Mario Bini, uno dei tanti che lottava per un mondo migliore. Diverso. Che lottava per una Cremona più accogliente. Meno inquinata. Meno accondiscendente. Meno classista.
Antonio Grassi
10 risposte
Io conservo di lui un buon ricordo, come uomo e come eccellente restauratore
Di Mario Bini si ricorderà più il lato di autonomo e contestatore, che il lato ambientalista e di paladino dell’ambiente. Gli autonomi e i centri sociali non sono considerati positivamente. Degli autonomi abbiamo un ricordo di devastazione, e nei centri sociali ci si ritrova non certo per condividere battaglie civili, ma per bere, fumare, fare casino. Per avere a cuore l’ambiente non è necessario tenere comportamenti provocatori e violenti. L’ambiente avrebbe bisogno di veri paladini che lottano per difenderlo. Cremona in particolare modo, visto il disinteresse manifestato dalla politica locale che preferisce adottare la tecnica delle tre scimmie: non vedo, non sento, non parlo. Per carità, ricordiamo pure Mario Bini, ma senza farne un esempio.
Cara Carolina (?) lei dice “L’ambiente avrebbe bisogno di veri paladini che lottano per difenderlo” forse allude a se stessa ?… non mi ricordo di lei nelle battaglie locali, o anche solo negli articoli di denuncia sui media, sulle nefandezze perpetrate da coloro che in ogni loro attività passata e futura usano la parola “green”…
Forse se rendesse esplicito il suo cognome, e ci volesse ricordare quanto ha fatto, o sta facendo per l’ambiente, a Cremona, la annovereremmo oggi e fra dieci anni tra coloro che hanno dedicato la maggior parte della loro vita agli altri e a battaglie civili senza secondi fini personali, di carriere politica tra i paludati partiti locali, o di interessi economici come da anni sta avvenendo con i grandi mecenati di Cremona, a cui lei quasi sicuramente guarda con devozione.
Ricordare con disprezzo Mario Bini, e scandalizzarsi per come ha vissuto, mi fa pensare alla sua vita come ad una insipida e inutile ricerca di un modello che lei non si è mai prefissa di raggiungere in prima persona, e ha sempre bisogno di ricercare in altri.
Le do uno spunto per una battaglia attuale per mostrare la sua sensibilità e la sua veridicità ambientale e civile. Si unisca a noi del “mMvimento per la riqualificazione dell’Ospedale di Cremona”. Nella disastrosa scelta di costruire un nuovo ospedale a Cremona dei partiti al potere in Regione e al potere a Cremona ci sta tutto quello che lei vorrebbe combattere, ma forse non vuole scomodarsi personalmente e aspetta il “paladino condottiero” che risolverà tutto con una genialata.
Io ero una fighetta, per usare le tue parole. Mi ha accolto con calore. Una sera sono stata a Forte Apache per intervistarlo. Restava lì a presidiare l’area h24. Sono rimasta fino a notte fonda. Mi ha offerto del cioccolato. Avrei dovuto portarglielo io. Era una persona dolce. Come la sua barretta.
Mi fa piacere, Grassi, che abbia trovato qualcuno che non sia meritevole delle sue critiche, del suo sarcasmo, dei suoi appellativi cinematografici! Si evince dal pezzo la sua simpatia per Bini e la vicinanza per aver portato avanti una nobile quanto sfortunata battaglia insieme. Ma da qui a santificare una persona che ha condotto altre battaglie senza rispettare regole e leggi, ce ne corre! Il fatto che fosse un gigante dai modi rudi e provocatori non può farci dimenticare i modi anche violenti con cui sosteneva le sue idee. Dopo aver criticato tutti i politici locali, soprattutto del PD devo dire, mi suona strano questo panegirico. Mi viene in mente Ilaria Salis che per essere stata condotta in ceppi e catene in aula è diventata automaticamente una persona non solo degna di doverosa comprensione umana e civile, ma anche di essere proposta come rappresentante degli italiani in parlamento europeo. Un’eroina. Essere vittima di ingiustizie l’ha elevata al rango di europarlamentare, facendo dimenticare il modo in cui si è arrogata diritti che non ha.
Essere stato un valido combattente per il rispetto dell’ambiente per il bene della città ( e questo va riconosciuto ) non può fare diventare un esempio una persona che non sempre ha avuto comportamenti rispettosi nei confronti di tutto il resto.
Mi spiace, ma DEVO rispondere anche a Paola Pieri
mi viene in mente una canzone di Francesco Guccini… Dio è morto
“l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto…dio è morto” in coloro che vedono il “perbenismo” come limite al quale attenersi e oltre il quale non ci si deve “assolutamente indignare”
Se Paola Pieri avesse vissuto per esempio la stagione della opposizione all’inceneritore nei primi anni ’90 e avesse gioito per la vittoria DEMOCRATICA nella città di Cremona di coloro che hanno vinto il primo referendum civico organizzato in Italia, ma che subito dopo avesse ricevuto la doccia fredda della decisone di non interrompere l’iter che avrebbe portato alla costruzione dell’inceneritore, forse non sarebbe cosi “tranquilla”.
Ogni cosa ha un limite. Dire, per giustificare la costruzione dell’inceneritore, che i cremonesi erano favorevoli alla sua costruzione e che nel referendum si dovevano contare, oltre a coloro che hanno votato a favore, anche coloro che non hanno votato…. è stata una motivazione che ha innescato in molti cremonesi un rifiuto di una certa politica non certo democratica, che ha portato ad atti altrettanto discutibili, ma speculari, di diversa natura ma di pari dirompente negatività.
Chiedo al sindaco Grassi: se si trovasse un personaggio come Bini ora a propugnare idee e battaglie con i modi utilizzati da Bini ora, da rappresentante delle istituzioni, come si porrebbe nei suoi confronti?
Condivido l’articolo di Grassi su Mario Bini e non comprendo alcune critiche. Bini ha fatto uno straordinario lavoro in difesa dell’ambiente e il Centrosinistra ha tradito l’esito del referendum. Bini è stato un grande con il suo forte Apache, i politici che hanno governato Cremona solo dei voltagabbana che se ne sono sbattuti gli zebedei del pensiero e della volontà dei cremonesi. Doveroso il ricordo
Il vero padre di Carletto
Sono contento di aver conosciuto Mario Bini e di aver fatto un percorso politico con lui contro la costruzione dell’inceneritore. Aveva capito ciò che altri allora, ma anche oggi, non vogliono capire, e ammettere che quando ti opponi devi anche proporre una “alternativa”. Il “comitato contro l’inceneritore” nel suo nome comprendeva anche “per la raccolta differenziata dei rifiuti”. E’ da quegli anni e da questi esempi che è entrata nella mentalità cremonese la convinzione che riciclare è meglio che bruciare. Ci sono voluti 20 anni per arrivare alla raccolta dei rifiuti “porta a porta”. Cosa che il “nostro comitato” da subito poneva come obiettivo per evitare la costruzione dell’inceneritore… senza parlare della “tariffa puntuale” … vero imbroglio perpetrato ancor oggi a danno dei cremonesi …
Da subito proponemmo di monetizzare il lavoro di ogni cittadino che avesse concretamente collaborato a ridurre i rifiuti da portare in discarica attraverso una tariffa legata al peso di “ogni materiale” raccolto in modo differenziato, come è scritto in una legge ad oggi disapplicata dai responsabili locali. Tutto questo, e tante altre battaglie civili e internazionali, erano ben presenti nella politica di Mario Bini.
I cremonesi che l’hanno conosciuto gli sono grati.