Rubo un titolo che ha fatto scuola per parlare del ruolo della scuola in un Paese in cui la democrazia annaspa e troppi le danno addosso perché affoghi prestandole, in nome della volontà popolare, non mani tese al soccorso ma colpi killer a suon di leggi. E rubo anche a un padre costituente indiscusso parole da scolpire nella pietra con le quali Piero Calamandrei affidava alla scuola il mandato costituzionale di essere “baluardo e palestra di libertà e democrazia”, dopo lo scempio del Ventennio, perché la democrazia è “ciò che consente a ciascun essere umano di avere la sua parte di sole e di dignità”.
Il problema è che c’è chi ha scelto di negare questo ‘sole’ a una fetta intera di società. Ma ritengo altrettanto grave che la scuola troppe volte rinunci al ruolo che le compete e accetti di ‘arruolarsi’ al servizio dei portatori di interesse del momento. Magari solo per fascinazione. Così tradisce però l’unico altissimo compito che è suo e che ne giustifica il complesso apparato, la capillare di diffusione sul territorio, il finanziamento pubblico. E il compito è uno solo: educare all’esercizio dei diritti di cittadinanza rendendo le nuove generazioni partecipi di quei saperi che consentono di vivere non da sudditi o alieni nel mondo e allenandole alla lettura critica di questo stesso mondo perché lo possano migliorare.
In questa prospettiva il docente non è una guida turistica col mandato di scegliere la prospettiva e l’angolatura che nasconde le crepe per sedurre il cliente. È quello che vede il retro della medaglia e lo chiama per nome. Di qualunque argomento si tratti: vita personale, dinamiche sociali o assetti territoriali, da Galileo alla Chiesa, dal campo di grano alla discarica, alle fabbriche sul territorio, da come si produce ciò che mangiamo all’acqua che beviamo. Insegnare è aiutare a guardare dietro a ciò che si vede, a misurarne il valore e insieme il prezzo in fatica, ambiente, salute, vite umane perché ogni cosa ha un prezzo.
I professori fanno scuola se e quando allenano questa capacità di sguardo a 360 gradi. Altrimenti la docenza è addestramento all’esistente di cui i giovani sono destinati ad essere funzione e non soggetto, tasselli a garanzia della tenuta del sistema. Quando è chiaro che ciò che conta è la lettura che se ne fa, tutto merita di essere studiato, una stalla come una chiesa. Compresa un’acciaieria.
Alla professoressa (‘La Provincia’ 26/06/24) che ha scelto questo argomento dico: “Perfetto”.
Restano le parole di Calamandrei a fare chiara sintesi del mandato di cui la Costituzione investe ciascuna scuola e ciascun docente di ogni ordine e grado, università inclusa. Scuola e università siano il luogo della lettura critica del reale perché è così che si costruisce la società matura e vigile, cioè libera, pensata dai Costituenti. Davanti alla complessità del mondo ci può aiutare solo un approccio critico che legga ciascun dato/fenomeno nelle sue relazioni di contesto e ne indaghi a fondo gli effetti perché agli sguardi d’insieme sfuggono anche le ombre più lunghe.
Rosella Vacchelli
5 risposte
Molto chiaro, molto condivisibile, molto interessante. Il problema è che ci sono docenti, pur bravissimi e appassionati, che sono così sicuri della bontà del loro insegnamento che non si rendono conto. Anzi, se osi eccepire anche solo un minimo particolare, si ribellano senza fare la più piccola autocritica! Si piacciono troppo, si beano di fronte al potere che i loro alunni subiscono. Vanno dritti per la loro strada. E non educano, indottrinano.
Desidererei conoscere dall’autrice del pezzo a che cosa si riferisce precisamente. Il discorso è certamente valido sempre in generale, e agli insegnanti si chiede moltissimo, pur non potendo essere essi competenti in tutto ciò che viene loro richiesto. Altrettanto certamente bisogna ammettere che ci sono alcuni particolarmente sicuri di se stessi che si imbarcano in ” progetti” che sarebbe meglio non venissero affrontati.
Concordo con lei: i docenti non possono essere competenti a 360 gradi pronti a rispondere alle più disparate richieste che piovono sulla scuola. Penso che il loro compito sia un altro, molto più limitato ma più incisivo e cioè quello di offrire un metodo di approccio ai dati di realtà e di esperienza che includono anche gli stessi rapporti interpersonali e sociali, metodo al quale allenare i più giovani perché imparino a non fermarsi alle apparenze, alla patinatura di superficie. Penso che questo sia un viatico importante, un bagaglio per il viaggio della vita fuori dalla scuola.
Lo spunto per la lettera è stato un articolo (‘La Provincia’ 26/06/24) in cui si scrive che “al termine del consiglio di facoltà tenutosi per la prima volta nel nuovo Campus di Santa Monica i docenti della Facoltà di Economia della Cattolica di Cremona si sono recati negli stabilimenti Arvedi e qui sono stati guidati all’interno delle due nuove linee produttive”. Quello che mi ha sorpreso sono le parole della prof.ssa preside della facoltà: “Conosciamo bene la realtà del gruppo Arvedi, soprattutto nelle persone del suo fondatore, il Cavalier Giovanni Arvedi, e nell’operato della fondazione Arvedi Buschini. Però solamente entrando dentro uno stabilimento come questo è possibile rendersi conto di cosa significhi la creazione di una realtà produttiva così sostenibile e allineata a ciò che il mondo di oggi richiede ” .
Mi chiedo come sia possibile affermare che basti entrare in uno stabilimento, un’acciaieria, per stabilire che questa realtà produttiva sia sostenibile. Ammetto la fascinazione, ma non capisco e non scuso la superficialità di giudizio in chi come docente ha proprio il compito di guidare i più giovani alla consapevolezza della complessità in modo che sappiano riconoscere il valore di ciascuna realtà e insieme il suo prezzo in fatica, costi ambientali, umani, sociali, perchè tutto ha un prezzo.
Chi lavora in quel posto, siano essi assunti, interninali o esterni, non me lo ha mai descritto con quelle parole.
Secondo me, sarebbe stato giusto indirizzare la lettera alla professoressa in questione: cara prof….tal dei tali. In questo modo purtroppo si fa di tutta l’erba un fascio. Anche se molti sono i docenti che approfittano del ruolo, dell’affetto e della stima che gli studenti provano nei loro confronti per ” istradarli”, del resto è sempre stato così. E per i più piccoli i genitori ormai scelgono la scuola e gli insegnanti seguendo parametri ben diversi da quelli di un tempo! Simpatia, progetti, settimana bianca, moda…