Cittadella Archivi, alla scoperta dei menu dei ristoranti milanesi di fine 800

13 Ottobre 2024

Nella mostra inaugurata la scorsa domenica in Cittadella degli Archivi abbiamo riservato una piccola ma gustosa (è proprio il caso di dirlo) sezione riservata alla ristorazione milanese di fine 800 che potete anche trovare sul sito della mostra:

https://cittadellamilanosport.it/

Sono esposti decine di menù di ogni tipo di locale, dai ristoranti di lusso del centro alle piccole bottiglierie di periferia, che il Comune raccolse per una indagine di carattere sanitario.

A distanza di 100 anni quella indagine sanitaria si trasforma in una curiosissima carrellata di cibi e bevande di un tempo che riservano anche sorprese. I menù sono deliziosi anche dal punto di vista della grafica: piccoli fogli con disegni Déco o Belle Époque prestampati e molto colorati, su cui però quasi sempre le pietanze coi relativi prezzi venivano scritte a mano.

Anzitutto sgomberiamo il campo dal cliché contemporaneo: in nessuno dei ristoranti censiti troviamo la cotoletta alla milanese e nemmeno il risotto giallo allo zafferano. Incredibile dictu ma è così …ciò che oggi è il simbolo assoluto della cucina milanese nel mondo a fine 800 non veniva servito nemmanco dal più prestigioso di tutti i ristoranti meneghini, quel Savini in Galleria tuttora esistente e che ha fatto di cotoletta e riso giallo un must della bella società dopo le serate alla Scala negli anni 50. Al Savini si propone riso al pomodoro e cotechino, e per i palati d’Oltralpe omelette e uova al gratin.

Sarà che la cotoletta è un piatto austriaco e che a soli 20 anni all’unità d’Italia e dalla fine della dominazione straniera nessuno aveva voglia di vecchi amarcord, fatto sta che la costoletta di maiale pestata con l’osso impanata e fritta in copioso burro fuso non la serviva nessuno.  Tutti invece offrono pollo e coniglio arrostiti, o alla cacciatora e in umido. E non possono mancare le polpette, delizia della cucina lombarda: chi le chiama proprio alla milanese ‘mondeghini al prosciutto” come l’albergo Roma, e chi invece semplicemente polpette, magari con un contorno di nervetti che non mancano da nessuna parte così come le verdure sottolio o bollite. Rarissime le patate arrosto, inesistenti quelle fritte.

Il bue è un altra carne oggi scomparsa ma che al tempo la faceva da padrona: sappiamo che Federico di Prussia fosse ghiotto di bue al cognac, e il Ristorante Patria e Ginepro ne offre ben più di una versione. I bolliti di manzo o pollame sono ovviamente onnipresenti, così come il cappone lesso.

Quanto al pesce, inutile dirlo, è ovviamente il grande escluso: qualche trota di lago qua e là, il tonno sottolio come al ristorante Eden (che offre addirittura dei tartufi alla parmigiana e cioè gratinati con fonduta di formaggi), fino al  merluzzo alla veneta del ristorante Candidezza, altro nome che oggi non si darebbe nemmeno una lavanderia. Spicca un solitario branzino al già citato Patria e Ginepro…

Tornando ai primi piatti il riso invece è protagonista di quasi tutti i menù, ma anche qui fuori dai cliché abituali:niente zafferano ma risi in brodo o risotti bianchi, riso al pomodoro o ai sughi di arrosto, come lì propone un altro storico ristorante milanese tutt’ora esistente, il mitico Giannino.

La trippa è un’altra regina delle tavole assieme alle minestre di verdure che tutti praticamente propongono, mentre alla pasta tocca un po’ la medesima sorte del pesce: pochi la offrono, minimizzandone al massimo l’impatto con espressioni come “pasta al sugo” e poco più. Fa eccezione una trattoria che propone addirittura una “pasta alla napoletana”. E qui occorre una precisazione letteraria: a farci capire la differenza tra una  banale pasta al sugo e quella “napoletana” è nientemeno che Umberto Saba, il quale da giovane studente fu ospite a pranzo del figlio di Gabriele  D’Annunzio. Ebbene Il cuoco napoletano del Vate gli servi un memorabile maccherone al vero sugo di pomodoro rosso denso e corposo che incanto’ Saba, abituato dice lui alle pallide slavate paste appena colorate di arancione che si usavano al Nord.

I vini sono di gran qualità ma rispetto ad oggi certamente scarseggiano per varietà territoriale: immancabile il Chianti, e poi rossi piemontesi a profusione. Molto diffusi i francesi come il Bordeaux e lo Champagne, e non mancano gli whisky scozzesi e perfino tra i liquori alle erbe la mitica Chartreuse.

Quanto al déssert , anche qui non fatevi alcuna illusione, niente torte farcite di creme, tiramisù o gelati. Tutti offrono soltanto piatti di formaggio fedelissimi al vecchio “la bocca non è stracca se non ha sentor di vacca” e frutta, perlopiù prugne pesche o mele.

E torna subito alla mente il gustoso scrittore spezzino Gino Patroni quando laconico e crepuscolare scriveva…”Minestrone, un pezzo di formaggio, ed è subito pera!”

Buon appetito.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

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