“Come diceva finemente un fino amatore, un par di guanti è tutt’altro che un guanto solo”: così scriveva Gabriele D’Annunzio ne Il Piacere, alludendo all’uso delle signore del tempo di abbandonare un solo guanto per lasciare allo spasimante di aver poi una scusa di rivedersi riportando appunto l’oggetto maliziosamente smarrito. Se invece i guanti abbandonati erano due, beh allora la dama se li era molto semplicemente dimenticati, e non vi era nulla per cui eccitarsi …
Siamo nel pieno dell’inverno e di un inverno finalmente freddo dopo tanti preoccupanti inverni tiepidi, e così è tornato ad essere piacevole oltre che necessario indossare cappotti, cappelli e appunto i guanti, che sono in realtà ben più che un banale rimedio per il freddo.
Personalmente ne possiedo svariate paia, di vari colori e diversi pellami e sono stato recentemente ad acquistarne un paio grigi da Restelli, tra i pochissimi artigiani rimasti che ancora li disegna e produce, mentre ahinoi decine e decine di altri sono inesorabilmente scomparsi negli ultimi anni.
Secondo i canoni più diffusi il colore dei guanti dovrebbe seguire quello delle scarpe e del cappello, ma anche un abbinamento con la sciarpa è ben gradito sopratutto se contrasta col resto dell’abbigliamento. Un vero gentiluomo non dovrebbe mai esserne sprovvisto, nemmeno in primavera quando il freddo non è più un problema: ecco che allora i nostri guanti in capretto o peccary (che sono i materiali più eleganti e pregiati) possono essere foderati di morbida seta invece che di caldo cashmere e consentirci così di essere portati come faceva magistralmente Glenn Ford ne “I Quattro Cavalieri della Apocalisse”, dove assieme a ombrello e lobbia neri indossava degli splendidi guanti gialli in cervo con abito gessato scuro, camicia bianca e cravatta nera. Gialli o bianchi con lo smoking o il frack, grigi con il mezzo tight o col morning suit, o color tabacco con un cappotto in cammello, i guanti sono indiscutibilmente un segno di grande eleganza.
Non per nulla il guanto è l’indiscutibile tratto distintivo di tutti gli splendidi ritratti di gentiluomo del Tiziano: in ognuno di essi quel guanto indossato che reca delicatamente in pugno l’altro è massimo assoluto di eleganza e vetta inarrivabile di pittura.
I guanti erano un tratto distintivo dei gentiluomini e delle dame poiché erano oggetti dalla realizzazione estremamente costosa. Nell’Inghilterra elisabettiana ve ne era un vero e proprio culto, tanto che essere il guantaio del Re era quasi un modo di dire ad indicare una posizione di prestigio. Ancora oggi i guanti sono parte fondamentale della cerimonia di incoronazione, quando il guanto viene sfilato per infilare l’anello regale, e la regina Elisabetta II non sfilava mai i suoi famosissimi guanti se non per toccare un altro Capo di Stato o di Chiesa.
Del resto i guanti sono sempre stati sinonimo di santità, divinità e castità sacrale: ne sono stati trovati nella tomba di Tutankhamon, e fino al Concilio Vaticano II tutti i vescovi indossavano le chiroteche, guanti con croci dorate ricamate sui dorsi.
E come dimenticare i guanti di guerra e i guanti di sfida? Le cronache trecentesche toscane pullulano di dichiarazioni di battaglie lanciate col “guanto di guerra”, la cui origine ci è sconosciuta, fatto salvo immaginare che trattandosi della parte che riparava la mano che reggeva la spada, il guanto rappresentasse in qualche modo un gesto di sfida. Sarà però solo nel ‘700 che lo schiaffo col guanto implicherà di sfidarsi all’alba al primo o all’ultimo sangue, pena la perdita dell’onore, ricevuto appunto il “guanto di sfida*…
Di questo è rimasto ormai ben poco, ma tanto basta a ricordare, quando li indossiamo, che un paio di guanti è tutt’altro che solo un paio di guanti…
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano