La Giulietta Spider e la 124 verde

1 Marzo 2025

Lei parlava del “suo amore lontano come di un rosso fiore che sboccia al celeste cielo di maggio”. Aveva esordito così, Luigi (per gli amici Gigi), un veterinario di Sondrio, che ogni tanto, la sera, apriva il cassetto dei ricordi raccontando ai quattro gatti del bar le avventure amorose vissute in gioventù. Continuò ricordando che quello era un anno dall’estate precoce, di quelli che si ricordano a lungo nel tempo e che richiamano alla mente dei vecchi un mese di maggio ancora più caldo. Le sue speranze di conquista, sentendola sempre parlare del suo amore lontano, si andavano affievolendo col passare degli incontri, al punto che stava per stancarsi di sentirsi ripetere ogni volta che lui faceva il medico a Brescia e che per lei era l’uomo migliore. 

Resisteva con pazienza certosina e ogni volta aspettava, deluso, che l’encomio finisse. Persa per persa, una sera in cui fu invitato dalla ragazza a bere un caffè a casa sua, decise di sferrare l’attacco, sussurrandole all’orecchio quelle parole che fanno sempre piacere a una donna, adatte a costruire nella fantasia immagini romantiche: c’era la luna, non mancavano alte stelle né la passeggiata insieme lungo sentieri fioriti. Lei mostrava di essere affascinata dalle parole che le rivolgeva. A quel punto  Luigi, tentando il tutto per tutto, cercò di baciarla, un po’ intimidito dalla foto spavalda in cornice, collocata sul tavolino di fianco al divano dove erano seduti, in cui il fidanzato, in primo piano, era impegnato in una gara di automobili d’epoca, al volante di una Giulietta Spider bianca del 1961. Fu quello il bacio più amaro di tutti perché lei, Marinella, che frequentava il quarto anno di Lettere Moderne e metteva in mostra un corpo avvenente, non aprì neppure la bocca. Fu un bacio di quelli che poi non si vorrebbe avere mai dato. 

Dimenticando la delusione iniziale, insistendo, con carezze e con l’espressione da innamorato, riuscì piano piano a spogliarla di tutto. Luigi era per carattere discreto e non raccontò i particolari. Disse solo di ricordare gli occhi di lei diventare sempre più belli man mano che l’antico rito si consumava. Quando il trasporto amoroso ebbe fine, Marinella accese la luce per cercare una sigaretta e tenendogli stretta la mano, parlava, parlava del suo amore lontano.

A richiesta da parte dei quattro amici passò a raccontare un’altra avventura galante. Esordì dicendo che l’inverno successivo, alle nove di mattina passate da pochi minuti senza vederla arrivare, gli faceva pensare a un ritardo del treno. Parcheggiava la sua 124 di colore verde bottiglia davanti alla stazione e qui, osservando la gente che usciva, aveva imparato a capire che il treno su cui viaggiava Fiorella, questo il nome della ragazza che aspettava, era arrivato. Lei, una ragazza alta, con il naso leggermente aquilino, un viso interessante anche se non bello, indossava abitualmente una minigonna che lasciava allo scoperto cosce ben tornite che facevano da corollario a un seno dalla giusta rotondità. Aveva imparato a riconoscere i suoi abituali compagni di viaggio che uscivano in fretta dalla stazione diretti in ufficio. Ma anche se, finita la fila, non la vedeva arrivare, la pensava ferma davanti ai giornali o al tabellone degli orari perché, uscendo da sola più tardi, nessuno dei compaesani la potesse vedere incontrare qualcuno al mattino. Del fidanzato che aveva al paese, non parlava mai. Una sola volta si lasciò andare a una confidenza e disse che era un tipo che andava a cavallo, che vendeva concimi per l’agricoltura e aggiunse che non la capiva. Ma non voleva lasciarlo perché economicamente stava bene e lei pensava al suo futuro. Poi, sottovoce, bisbigliò che lui l’amava di rado perché, al cambiar di stagione, soffriva di pressione alta. Di quel che succedeva ogni mattina, dal lunedì al giovedì, Luigi non volle rivelare nulla, anche se era facilmente intuibile. Disse soltanto che si appartavano in casa di lui per qualche ora e tenne a precisare che lei era irremovibile nel voler sempre prendere il treno delle dodici e venti per tornare a casa. A volte, perdevano la cognizione del tempo indugiando in baci e carezze oppure guardando i tetti bianchi di neve. Quando le capitava di perdere il treno per un soffio, lo obbligava a portarla con la 124 alla stazione successiva, perché lì quel treno fermava mezz’ora per dare la precedenza a un treno più importante. Teneva molto ad arrivare a casa in orario perché al paese c’era sempre qualcuno ad aspettarla allo stesso binario, per portarla a casa in auto, preoccupato dal fatto che si fosse stancata nel viaggio.

 

Sperangelo Bandera

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