Ci sono mondi talmente delicati e nascosti che è difficile penetrarli. Sono custoditi con cura. Vorresti trovare parole chiare, prescrittive, lasciando spazio all’informazione, ma non ci riesci, perché evocano, accarezzano, fanno muovere le sinapsi e sfuggono ad una definizione.
Mi sono imbattuta in una raccolta di poesie, sono una quarantina. Ma non sono una raccolta di poesie, sono molto di più, abbattono ogni frontiera letteraria, sono innovative e provocatorie.
In principio era il verbo. La parola edifica tutto. In una realtà dove la parola è abusata, maltrattata, qui la parola ha trovato uno scrigno di legno che la preservi da una Apocalisse, dove la babele svuota di significato e significante, dove il caos rischia di spazzare via tutto. L’autore, Gabriele Poli, (foto centrale) liutaio, ebanista, scrittore e musicista, ha creato 10 concept. Sono mini installazioni artistiche.
“Sirene e pop corn” è un non libro di poesie scritto negli ultimi due anni e battuto a macchina fra marzo e giugno 2024. Le pagine non sono rilegate ma custodite da scatole di legno di cui ogni coperchio è un’opera diversa, come copertine tridimensionali.
La raccolta si suddivide in tre parti: nella prima le poesie scritte dall’autunno 2022 all’inverno 2023/24; la seconda ripropone in forma “censurata” alcune poesie tratte da una vecchia raccolta; nella terza un diario immaginario in versi scritto da più punti di vista di chi sta vivendo la fine del mondo, qualunque cosa ciò significhi.
L’opera non si ferma alla parola, cerca rimandi con la musica, cerca silenzi, parla di natura, scava dentro un’anima, non inquieta, ma saggia. Soppesa le parole, cerca un’essenza. Poli non è un autore perso o sbigottito: è perfettamente a fuoco, sa cosa sta facendo. La sua verità è stabile e sa guidare il lettore. Cerca ciò che salva. Accoglie ciò che opprime. I fenomeni e gli elementi naturali sembrano spartiacque di un mondo che consola o tradisce: firmano un ritorno a casa, celebrano distanze, sembrano pezzi di un paesaggio psicanalitico.
C’è molta profondità in queste righe. L’arte a volte sa essere salvifica, surroga la clinica, dà un verso, una direzione. L’autore ne parla come un percorso artistico. E’ un work in progress. Lui non sa ancora dare valore alla sua opera. Alla fine è arte per amore dell’arte. Si respira un che di decadente e al contempo una modernità chiara. Si respira la voglia di capire un’epoca amara. Il gusto di una contemporaneità fra riciclo e arte povera, che non sa rinunciare a qualcosa di prezioso. Artigianato artistico, il suo, raffinato e grezzo a un tempo. La natura ha tempi e accortezze da non sottovalutare. Serve tenere insieme passato, presente e futuro. Ecco che i suoi cofanetti di legno diventano la cassetta degli attrezzi per un uomo sensibile che vuole vivere il proprio tempo.
Conosco Gabriele. Ricordo le sue poesie quando era un ragazzino, scritte su un quadernino. Le conservo ancora. Conosco la sua patologica riservatezza. Oggi è un uomo che ha voluto raccontarsi nascondendo il suo cuore grande dentro cofanetti di legno. Per custodirsi, preservarsi dal fragore di una realtà piena di derive, della quale non lascia trapelare alcuna paura. Sa dominare gli eventi. E’ risolto e dolce e terribilmente umano.
Francesca Codazzi
3 risposte
Trovo che anche il tuo modo di scrivere sia arte Francesca, e le tue parole musica per chi legge!
Francesca. Parole che sono immagini. Sono poesia.
Grazie
Grazie! Troppo buoni!