Voglio farti un regalo

25 Aprile 2025

Te ne voglio parlare. Voglio raccontarlo proprio a te. Mi chiedo dove sei, ma conosco la risposta: sei là, nel tramonto, sei nello sciabordio del mare, sei picco e sei vetta, sei ombra e magma vulcanico e tsunami e tempesta. Sei nelle foglie caduche dell’autunno e nei germogli di primavera.

Ma non sono concentrata per parlarti di questo. Non mi serve nulla. Sto bene. Mi fa male un ginocchio e tossisco perché fumo troppo. So che non hai bisogno di nulla. Ti ho sentita andare via, eri leggeeera… un soffio di vento. Non mi manca niente che già abiti nel mio cuore e sei qui. Viva.

Vado di fretta. Lo senti il ritmo? E’ concitato.

Ho ricevuto un dono. No, non è materiale. Lo volevo proprio così: immateriale, come le tue carezze. La tua collana d’oro, ci tenevi tanto, è sepolta in cantina, non la indosso. Volevo il sole, l’aria, la luce. Quanta energia nel mondo che aspetta di essere sprigionata!

Il mio dono è fatto di carne e ossa. E’ un bel ragazzino, bilingue. Non è nero, non è bianco, ha la pelle ambrata degli arabi. Due occhi scuri come le notti marocchine. Non si esprime bene, ma io lo capisco.

L’ho avvicinato e lui si è avvicinato a me, cauto come un gatto. Tendevo la zampa e lui tendeva la sua. A volte ci raccogliamo a ciambella, alziamo un orecchio, torniamo a dormire, poi ci risvegliamo, rincorriamo una pallina di stagnola. No, non è un gatto.

Ma te la ricordi la Vige? Lei, come la volpe del piccolo principe, mi ha insegnato, fra gli altri, il valore dell’amicizia, che è un legame… che brutta parola. Preferisco filo. Il filo si può spezzare e ricongiungere, il legame è impegnativo, dopo un legame si diventa altro, si crea qualcosa di diverso. Il legame cambia, addomestica. Lo ammetto, siamo cambiati dopo questo incontro. Come la Vige, il mio dono è intelligentissimo. L’intelligenza mi eccita, mi travolge. Dopo averla percepita tutto si capovolge e gira. Il mondo prende colore. Sa di cose vere. Profuma di vita.

Ho costruito tutta la mia strategia sulla sua intelligenza, non vedo la sua disabilità. La rispetto, ma fremo per stuzzicare il suo cervello. Sento girare gli ingranaggi della sua mente. Ha un QI più alto del mio e di quasi tutte le persone che conosco. E’ un giovane vecchio, il mio dono. E’ giovane, ma è come se avesse vissuto mille vite. Devo attivare ragionamenti. Stimolare conoscenze pregresse. Scavare come un archeologo nella sua mente, perdermi e ritrovarmi. E lui mi segue. Docilmente. E’ un diamante grezzo.

Lui mi segue, come la Vige quando era ora di andare a dormire e saliva sul letto, appoggiava la testa al cuscino e si allungava sotto le coperte e se la sfioravi faceva le fusa.

No, il mio nuovo amico non è un gatto, ma siamo talmente in sintonia che a volte bastano due parole. E’ come scrivere con il succo di limone poi esporre la carta alla fiamma di una candela e leggere messaggi pieni di senso.

Perché lo racconto a te? Perché anche tu eri acuta come la punta di un coltello. Ogni volta che incontro l’intelligenza la riconduco a te. Credo che questo ragazzo sia un tuo regalo: il destino ha voluto che finisse nelle mie mani. Lo posso plasmare come oro fuso. Diventerà la mia parure simbolica. No, i tuoi gioielli non li indosso, non fanno per me. Anzi li ho venduti. A me basta evocare tutta la tua intelligenza.

Il mio dono a volte si perde, vaga per i tetti del pensiero, prigioniero di acufeni insopportabili, ma con fatica ascolta tutto. Anche la Vige scappava: tornava solo al richiamo del cibo, la scatoletta di croccantini, un tic tac, una campanella e correva docile fra le mie braccia.

No, il mio dono non è un gatto, ma si è affezionato a me e io a lui. La sua mamma dice che sono il suo guru. Non so, mi sembra di fare pochissimo. Adoro i suoi racconti imprecisi, faticosi e sofferti, i suoi disegni in chiaroscuro. Amo vedere la sua mano che si alza per rispondere, lo spazio di autodeterminazione che riesce a prendersi, le sue domande. Provo una soddisfazione immensa per i suoi successi.

Moki è una creatura meravigliosa. In quel bicchiere c’è acqua fresca, supera la metà, c’è pienezza e bellezza. Lo so che c’è una parte vuota nel nostro calice. Moki fa fatica a sentire: io fortunatamente ho un timbro di voce alto.

Ciao mamma! Non c’entri nulla in questa storia, ma tutto mi riporta a te. “Vedrai che ti mancherò”, dicevi. Non mi manchi perché ti incontro nel vento. Occorre riconoscerlo, senza fatica. Sei lì fra le fronde degli alberi, per me muovi la scienza e la vita che regola il mondo. Muovi la mia anima. 

 

Francesca Codazzi                                      

 

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