Nel dopoguerra, gli italiani si trovarono nella difficile situazione economica provocata dal conflitto mondiale. Una decina d’anni dopo, s’incominciarono a vedere i risultati dell’impegno profuso, che sfociarono nel miracolo economico, caratterizzato, tra l’altro, dall’immissione sul mercato di nuove automobili dai prezzi accessibili, come la Fiat 600 e la 500. Pur utilitarie, in quegli anni di scarse risorse, qualificavano il proprietario come uno dalle discrete disponibilità economiche.
Il sabato e la domenica, quando lungo le vie di Cremona, nel traffico quasi inesistente di allora, spuntava una macchina, le signorine da marito, a passeggio in città, lanciavano occhiate verso il guidatore, pensando che fosse un buon partito, per capirne l’età. La maggior parte degli adocchiati, però, suscitava una punta di delusione trattandosi di uomini di mezza età all’apparenza sposati. Delusione che si trasformava in entusiasmo quando, puntando lo sguardo sulla macchina che si avvicinava, si profilavano i lineamenti di una persona giovane, che aveva ottenuto il permesso di usare l’auto di famiglia. All’epoca, infatti, era rarissimo che uno studente avesse un’auto di sua proprietà.
Pietro, 20 anni, iscritto al primo anno della facoltà di Medicina all’Università di Pavia, aveva ottenuto l’uso della macchina, una Fiat 600 che il padre, avendone acquistato una più grande, aveva preferito, anziché darla in permuta al concessionario, permettere al figlio di usarla. Dopo alcuni mesi, dovendo sostenere l’esame di chimica, nel piano di studi in programma il primo anno, una materia per lui ostica fin dal liceo, chiese e ottenne di fruire di qualche ripetizione. Tramite amici comuni, venne contattata una professoressa da poco laureata, supplente al liceo scientifico di Cremona, presso la cui casa Pietro incominciò a recarsi il sabato e la domenica, giorni in cui, come gran parte degli studenti universitari cremonesi, tornava a casa.
Linda, questo il nome, aveva 29 anni, era decisamente alta, castana, occhi marroni, aveva le gambe leggermente arcuate, un volto dai lineamenti anonimi e non era mai stata fidanzata, nonostante possedesse l’attrazione di un seno importante, di cui, a giudicare da certi movimenti e dagli indumenti che avrebbero dovuto coprirlo, andava fiera. Di lezione in lezione, tra insegnante e allievo s’instaurò una naturale confidenza e, al termine della spiegazione di formule e simboli, conversavano di vari argomenti, tra cui quello ricorrente divenne l’automobile. La professoressa, volendo ottenere la patente di guida, si mostrava molto interessata alle manovre che bisognava compiere per partire, per curvare, per fenare e a ogni altro gesto che si doveva porre in essere per superare l’esame.
Pietro si offerse di insegnarle a guidare, e il sabato pomeriggio, prima della lezione, nel vasto parcheggio completamente vuoto, situato alla periferia della città, con lei al volante la 600 saltellava in partenza e disegnava curve dalle traiettorie sbagliate con frenate tutt’altro che dolci. Contemporaneamente, al progredire dell’apprendimento, si riducevano le parti coperte del corpo dell’insegnante, la quale si metteva al volante senza curarsi di coprire le cosce che la sottana nel movimento di sedersi lasciava scoperte e, con l’arrivo della bella stagione, la camicetta aperta metteva in vista una buona parte del seno. Non dimenticava, a differenza degli altri giorni, il rossetto e il trucco degli occhi.
Pietro, ingenuo e rispettoso delle convenzioni, non si era affatto accorto delle pulsioni della sua professoressa, la quale, nonostante gli artifici messi in atto, dovette rinunciare a quello che sarebbe stato il suo primo amore. Durante la sessione di esami di ottobre, lui superò l’esame di chimica e lei quello della patente. Soltanto parecchi anni dopo, ripensando alla vicenda, Pietro capì con una punta di rimpianto ciò che non aveva saputo cogliere al momento giusto.
(Dedicato a uomini e donne che, pur essendo protagonisti di episodi che potrebbero cambiare la loro vita, neanche se ne accorgono).
Sperangelo Bandera