In provincia di Cremona sono presenti 47.673 studenti. Di questi 10.176 (il 21,34%) sono studenti con cittadinanza non italiana. Sul totale degli iscritti su ordine di scuola, gli studenti con cittadinanza non italiana, sono così distribuiti:
26% nella scuola infanzia (28,86% scuola statale; 20;33% su scuola comunale e paritaria)
26,1% nella scuola primaria (27,4% scuola statale; 5,2% scuola paritaria)
21,4% nella scuola secondaria di primo grado (22,2% scuola statale; 4,8% scuola paritaria)
14,9 % nella scuola secondaria di secondo grado (15,2% scuola statale; 4,5% scuola paritaria (Fonte MIM- Portale unico dati della scuola)
All’interno di questa situazione siamo tra pochi giorni chiamati a votare sul quinto quesito referendario, che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. I cittadini riceveranno una scheda gialla per esprimere il loro parere. Secondo la legge in vigore, un adulto straniero, cittadino di un Paese che non fa parte dell’Unione Europea, deve risiedere legalmente dieci anni in Italia per poter chiedere la cittadinanza italiana. L’obiettivo del referendum abrogativo è ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza.
Il quesito solleva almeno due differenti, sebbene intrecciate, riflessioni: una di tipo giuridico e l’altra, di più ampio respiro, che entra nel merito del significato socio-antropologico dell’istituto della cittadinanza per un Paese, come l’Italia, che ormai conosce il fenomeno migratorio da circa quattro decenni.
Per quanto concerne il primo tema, rispetto al dibatto corrente dobbiamo fare una precisazione importante: l’eventuale abbreviazione dei tempi non comporterebbe, come alcuni sembrano sostenere, un’acquisizione automatica dello status di cittadinanza. La richiesta rimarrà infatti sottoposta ad una decisione ministeriale, che valuterà svariati requisiti, quali le capacità reddituali, la conoscenza della lingua italiana, l’assenza di precedenti penali e di comportamenti, definiti dallo stesso ministero, “antisociali”; una revisione attenta e discrezionale che, nei tempi medi attuali, richiede altri 3 anni. In questo senso, è dunque sbagliato equiparare l’eventuale riforma ad un “regalo” o ad uno sconvolgimento delle normative vigenti; si tornerebbe invece al criterio di 5 anni, precedente alla riforma del 1992 e istituito nel 1912. Si tratta di un periodo di residenza che, tra l’altro, si pone in linea con gran parte dei Paesi europei, come Francia, Germania, Paesi Bassi, Irlanda, Svezia. In Austria e Finlandia sono 6, in Grecia e a Cipro 7, mentre in Spagna sono 10 ma con importanti eccezioni e facilitazioni per i nati sul territorio. Persino l’Ungheria, Paese ormai noto per le posizioni governative anti-immigrazione, prevede un periodo di 8 anni, inferiore quindi a quello dell’Italia.
Rispetto al secondo tema, la questione posta dal quesito referendario, in fondo, non riguarderà solo “loro”, gli immigrati, ma anche “noi”, perché pone una domanda su chi siamo diventati e, soprattutto, su quello che abbiamo intenzione di diventare nei prossimi anni. L’idea di allargare la cittadinanza legale comporta l’idea di ridefinire i confini della nazione, ripensarla non come un disegno chiuso ma come un progetto aperto, mai definitivamente compiuto, e pronto ad abbracciare il contributo di chi ormai si è insediato nei territori locali. Inoltre, nonostante la mancanza dello status di cittadinanza, molti immigrati, oltre il mercato del lavoro, ormai innervano il tessuto associativo di molti attori e soggetti collettivi, esprimendo forme di “cittadinanza sostanziale”: sia sul piano sociopolitico, come nel caso dei sindacati o del volontariato, sia nella vita quotidiana di molti quartieri: nelle scuole, nelle squadre sportive e nelle comunità religiose, ed anche nelle nostre parrocchie. Senza un riconoscimento legale, queste istanze che nascono dal basso rischiano però di essere tradite e svilite. Non di meno, la mancanza dei diritti politici collegati allo status di cittadinanza pone un problema assai scomodo per un regime costituzionalmente democratico come l’Italia: negli stessi territori vivono insieme persone che, sebbene soggette alle stesse leggi ormai da molti anni, hanno diverse opportunità di esprimere forme di dissenso o preferenze, oppure di candidarsi.
Ma il tema della revisione dei tempi per accedere all’istituto della cittadinanza legale chiama in causa in modo particolare il caso dei ragazzi e delle ragazze di origine straniera che frequentano le nostre scuole: si tratta di studenti e studentesse che studiano, da anni, la lingua e la letteratura italiana, insieme alla geografia e alla storia del nostro Paese, nonché frequentano ore e progetti di educazione civica tramite le quali apprendono competenze definite, dagli stessi programmi ministeriali, di cittadinanza. Gli sforzi profusi per “diventare” italiani rischiano di risolversi di fatto in nulla, se manterremo i criteri formali che li escludono dal traguardo stesso della cittadinanza legale.
Alba Caridi
segretario generale FLC CGIL Cremona
Samuele Molli
ricercatore in sociologia delle migrazioni, università degli studi di Milano
Angela Biscaldi
antropologa, Università degli studi di Milano
8 risposte
Ho letto quest’ultimo articolo. A parte l’aspetto ideologico (che rispetto ma non condivido), dire che le procedure ministeriali per ottenere la cittadinanza contemplano, fra le altre, la conoscenza della lingua italiana, mi fa tenerezza. Da sindaco ho ricevuto giuramenti sulla concessione della cittadinanza (su decreto del presidente della Repubblica) di persone che dovevano utilizzare un interprete per “leggere” (molto virgolettato) il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi dello Stato.
Da ricordare che il sindaco non ha il compito di concedere o negare la cittadinanza ma solo di verificare tramite gli uffici preposti (stato civile) la documentazione necessaria. Fa parte dei doveri istituzionali che un sindaco è tenuto a svolgere in virtù del giuramento fatto nei confronti della Repubblica e dell’osservanza della Costituzione e delle leggi dello Stato.
Quindi, più che 5 o 10 anni (io sono personalmente per non abbassare il tempo previsto attualmente) bisognerebbe veramente far rispettare le regole.
Sarebbe interessante sentire, oltre a questi spot a favore dell’immigrazione, una campana che suona per le conseguenze culturali a lungo termine dell’immigrazione, che illustri i gravi problemi di una mancata integrazione. Che spieghi gli interessi, cifre persone e associazioni, mafie e quant’ altro, intorno al fenomeno dell’immigrazione. Anche uno sguardo internazionale non farebbe male per comprendere chi manovra le leve di questa immigrazione forzata. Sarebbe utile capire come la fine dell’inps (in default annunciato) impatterà su chi ha versato decenni di contributi e sui servizi restanti, e come gli immigrati che percepiscono 600€/mese potrebbero rimpinguare le sue casse. Le nostre casse.
Una bella analisi, magari proprio dagli studiosi che hanno steso questo articolo, ci potrebbe chiarire il problema di accogliere gente senza documenti e quanti delinquenti nei loro paesi d’origine ci sono fra questi. Un’altra cosa interessante, e l’antropologa ne è sicuramente al corrente, sarebbe conoscere l’impatto di gente con un quoziente intellettivo di 60/70 su una popolazione con un piú alto range di q.i.
Dovremmo chiarire inoltre quale giovamento arriva alle associazioni sindacali, l’aver inserito il quinto punto. In termini di voti e in termini di euro.
Queste sono solo alcune fredde e tecniche considerazioni che darebbero un quandro un po’ più completo della questione. Ma qui è il giornalista che decide, se vuole o meno discostarsi dal cosiddetto main stream, a rischio della sua immagine naturalmente.
Un’ultima cosa importante per me è questa: qualche giorno fa droni ucraini hanno quasi ammazzato Il presidente Putin, un po’ più a sud la polveriera del medioriente sta per saltare. La Germania a capo dei volenterosi ci sta trascinando in guerra e povertà per decenni.
Se fosse genuino, ripeto se non ci fosse propaganda dietro a questo referendum.. non si sarebbe potuto trovare momento peggiore e più inefficace.
Buona vita
Tanto ci sarebbe da replicare; mi limito a quell’idea di ” ridefinire i confini di una nazione” che, immagino, non parte certo dal presidente della Repubblica e che mi fa semplicemente vomitare. Per che cosa abbiamo allora festeggiato il 2 giugno?
Mi associo, completamente condividendole, a tutte le obiezioni, le riserve e i realistici timori di quanti da Conti, a Boccoli e Araldi sono intervenuti commentando l’articolo che utopisticamente isola i contenuti del referendum sulla cittadinanza dal complesso contesto socioeconomico , culturale e antropologico del nostro Paese. Basti dire del disagio dei minorenni di seconda generazione che sotto effetto di droga e alcol si abbandonano alle violenze che purtroppo stiamo sperimentando. Infiniti segnali suggeriscono quanto difficile, incerta e faticosa sia la strada dell’ integrazione. Ammesso e non concesso che gli immigrati di un certo tipo, provenienza e profilo ideologico religioso realmente vogliano l’ integrazione o non piuttosto l’assoggettamento di una civiltà ormai tanto confusa e intimidita da non trovare più ragioni e risorse per la propria autodifesa.
Riguardo poi al “chi siamo diventati “: un pastrocchio. Ben altro di quel popolo nato dalla Resistenza con un forte senso dell’identità nazionale, che abbiamo perduto alla grande, come il vostro articolo conferma, per un’identità fluida dove si vorrebbe far convivere tutto e il contrario di tutto. IL Regno della confusione totale, che tuttavia a qualcuno pur farà comodo. Niente viene per niente. Ben altri i tempi in cui dignitosi missionari saveriani insegnavano ai popoli africani a rimanere in patria per ridarne dignità acquisendo la capacità di fare diversi mestieri
Ora invece quello che si insegna è invece di andarsene da casa il più possibile e forzare la convivenza con altri popoli. Magari facendosi mantenere, in tanti casi.
A priori non ho niente contro il cosmopolitismo, tuttavia intravedo segnali allarmanti che descrivono due aspetti su cui vale la pena riflettere: il primo riguarda il “dietro le quinte “ , non credo che le mafie organizzino spontaneamente il commercio umano senza il consenso di qualche potentato. il secondo riguarda la popolazione mussulmana… per questa esiste prima di tutto il Corano e solo secondariamente le Istituzioni.
Inutile dilungarsi nell’ analisi di ciascuno dei cinque quesiti referendari, tutti sono stati messi in campo con l’ obbiettivo politico di misurare le forze dell’ opposizione alla maggioranza di governo, nessuno per risovere un problema che necessitasse della consultazione referendaria. Ennesimo sgarro della partitocrazia italiana alla cultura democratica del referendum.
Assolutamente d’accordo con De Rosa !