A causa di una fistola arterovenosa (FAVD), quattro anni fa Stefano viene trattato in emergenza dall’équipe di neuroradiologia interventista di Cremona. Dopo molti giorni di coma rinasce, oggi sta bene. Per la moglie Michela, in quel periodo, l’ospedale è stata una seconda casa «per stargli vicino ho vissuto in camper con i nostri cani».
«Ero al lavoro, stavo montando un impianto di condizionamento. Da un momento all’altro mi è venuta a mancare la forza nelle braccia. Ho ceduto, mi sono dovuto sedere», racconta Stefano Naldi, 58 anni, residente a Ostiglia (Mantova) che, quattro anni fa, è rimasto un mese in coma all’ospedale di Cremona a causa di una fistola arterovenosa durale (FAVD).
«Quella mattina, era il 21 settembre del 2021, sono dovuto tornare a casa. A dire il vero non mi sentivo bene dal giorno prima, ma non gli avevo dato troppo peso. Da lì in poi i ricordi sono intermittenti e sfumati, sino a quando non mi sono svegliato ventotto giorni dopo, senza sapere dove fossi. Diciamo che mi sono riposato!» spiega con un sorriso.
A portarlo in pronto soccorso è stata la moglie, Michela: «inizialmente non mi ero allarmata perché pensavo fosse un comune malessere», ricorda, «ma poi ha cominciato a biascicare: mi parlava convinto di parlare bene, ma io non capivo niente di quello che diceva; non erano delle parole, ma dei suoni. Quando ha cominciato a barcollare, mi sono spaventata. Ho chiamato subito il dottore e l’ho portato nell’ospedale più vicino, che per noi è Pieve di Coriano».
CREMONA, CENTRO DI RIFERIMENTO NEUROVASCOLARE
La FAVD è una delle malformazioni neurovascolari complesse più frequenti, insieme alla Malformazione Artero-Venosa (MAV). Si manifestano quando c’è una comunicazione anomala tra il sistema arterioso e il sistema venoso.
Nonostante queste malformazioni complesse siano molto rare, ogni anno sono circa dieci i pazienti che arrivano in emergenza nella Neuroradiologia di Cremona per essere trattati. L’ospedale, infatti, è il centro di riferimento provinciale per le patologie neurovascolari dove il fattore tempo salva la vita (come ictus, aneurisma cerebrale, ecc).
L’attività viene svolta dall’équipe di Neuroradiologia diretta da Claudia Ambrosi e composta da Michele Besana, Emilio Giazzi, Gloria Maccabelli, Barbara Romano, Alessandro Scavuzzo. La collaborazione con gli altri specialisti è strettissima e avviene con le équipe di Pronto soccorso (diretta da Francesca Co’), Neurologia (diretta da Stefano Gipponi), Neurochirurgia (Diretta da Antonio Fioravanti) e Anestesia e Terapia intensiva (diretta da Enrico Storti).
UN MESE IN CAMPER «PER STARE VICINO A STEFANO»
«La notte in cui hanno portato Stefano a Cremona non ho avuto tempo neanche per pensare», racconta Michela. Ho preparato il camper, i nostri due cani (Toby e Birba) e tutto quello che poteva servirmi per stare lontano. Ho organizzato il lavoro e alle sette del mattino sono partita. Mi sono sistemata in campeggio per quasi un mese, era l’unico modo per stargli vicino. I nostri cani ogni pomeriggio uscivano dal camper e aspettavano il ritorno di Stefano.
Da quel giorno l’ospedale di Cremona è diventato la mia seconda casa. Facevo un giro al mattino e uno al pomeriggio. Quando arrivavo, i sanitari mi spiegavano come stava, mi aiutavano a capire come potevo parlare con lui, se potevo toccarlo e stargli accanto. A distanza di tutto questo tempo è importante raccontare – precisa Michela – io e Stefano stiamo insieme da più di vent’anni, e ci siamo sposati nel 2022, dopo che si è ripreso da questa brutta avventura, per convincermi ha giocato la carta del coma» scherza.
«IN SEI MESI HO IMPARATO DI NUOVO A CAMMINARE»
«La cosa più difficile è stata ricominciare – aggiunge Stefano -. Ho avuto paura di non poter riprendere la mia vita di prima. La testa mi diceva che sapevo scrivere, che sapevo camminare, ma non era vero, non ci riuscivo. Mi hanno insegnato di nuovo a scrivere e disegnare; in un mese è come se avessi fatto dalla prima elementare alla terza media. Ho dovuto re-imparare a camminare. Giorno dopo giorno vedevo dei miglioramenti: in sei mesi ho recuperato tutto e sono tornato al lavoro, alla mia vita di prima. A distanza di quattro anni posso dire di stare bene, mi sono anche sposato. Non ringrazierò mai abbastanza i medici che mi hanno salvato».
UNA PATOLOGIA CHE PUÒ LASCIARE CONSEGUENZE
La fistola artero – venosa durale è una patologia acquisita. Può essere diagnosticata a qualsiasi età, ma accade con maggior frequenza nelle persone con più di cinquant’anni. «Il sistema arterioso porta agli organi il sangue ad alta pressione che, grazie ai capillari, viene smorzata affinché nel sistema venoso circoli solo sangue a bassa pressione. Quando c’è una connessione diretta tra un’arteria e una vena ci troviamo di fronte a una FAVD che si può rompere e sanguinare, causando un’emorragia cerebrale con possibili conseguenze neurologiche, anche molto invalidanti.
TRATTAMENTO POCO INVASIVO CON OTTIMI RISULTATI
La prima scelta per il trattamento di questa patologia è la via endovascolare: un intervento sicuro e poco invasivo. «Attraverso una puntura dell’arteria femorale o radiale, con un sistema di cateteri molto sottili, raggiungiamo il sistema vascolare cerebrale, sino al punto in cui l’arteria comunica in modo anomalo con la vena», spiega Besana. «Per risolvere il problema viene iniettato lentamente un liquido embolizzante che si solidifica e chiude completamente la connessione patologica fra vena e arteria, interrompendo il flusso di sangue».
LE VIDEO STORIE CHE PROMUOVONO LA CONOSCENZA
Quella di Stefano e Michela è una delle video-storie realizzate dal servizio Comunicazione e relazioni esterne dell’Asst di Cremona. Lo scopo è raccontare un problema serio di salute attraverso due punti di vista: quello del paziente e quello dello specialista, dove la competenza clinica si intreccia con l’esperienza umana.
2 risposte
Bellissima storia a lieto fine. Ancora una volta con la conoscenza, la competenza e la capacità i sanitari hanno brillantemente affrontato e risolto con successo un grave problema. Nel nostro ospedale, dai vecchi muri. Il protagonista ha superato la sua difficile prova senza l’ausilio di laghetti e paperelle. E la sua compagna non credo proprio abbia risentito della mancanza di un centro commerciale attaccato all’ospedale. Sono i medici e le persone a fare la sanità. Non il resto, pur magnifico che sia . Spendiamo il nostro denaro per le persone, sanitari e malati.
Sembra quasi che l’ ASST voglia tirarsi la zappa sui piedi rendendo pubbliche storie a lieto fine come questa. Sono la dimostrazione che validi professionisti sono gli unici in grado di risolvere situazioni complicate. Teniamoceli stretti! Diamo loro la possibilità di lavorare sempre meglio con attrezzature adatte e all’ avanguardia, con posti letto in più, non in meno. Non lasciamoli in condizioni di mancanza di collaborazione adeguata. Servono persone, non meraviglie architettoniche. Guardate altri ospedali anche non lontano da noi, sono precedenti al nostro e sono comunque poli di eccellenza. Perché qui ci impongono una spesa enorme badando alla forma e non alla sostanza? Meditate…