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La salute non si svende

9 Febbraio 2021

Fanculo il covid, il brevetto sui vaccini, le multinazionali farmaceutiche. Fanculo i manager che hanno annunciato l’arma letale contro il virus e un minuto dopo hanno incassato, senza pudore e vergogna, milioni di dollari di plusvalenza con la vendita delle proprie azioni e si sono anche giustificati. Fanculo i governi che, succubi e inermi, accettano di rimanere ostaggi di Big Pharma. Fanculo considerare la salute una merce da garantire in base al reddito.

«Oggi il tariffario per singola dose del vaccino Pfizer-BioNTech va dai 14,70 dollari pagati dall’Ue ai 19,50 dollari pagati dagli Stati Uniti, fino ai 23,50 dollari di Israele». Lo rivelano Matteo Civillini e Gianluca Paolucci su La Stampa (7 febbraio), che non è un quotidiano marxista-leninista o un canale di fake news.

Israele è tra i battistrada nella vaccinazione dei cittadini e non ha problemi di approvvigionamento del farmaco. L’ha pagato 23,50 dollari per dose, prezzo superiore a quello sborsato dagli altri stati. Ora ipotizzare che questa differenza contribuisca a tale efficienza non è da dietrologi di professione, ma una banale constatazione. Semplice, semplice. Da bar.

«Da zero a oltre 50 miliardi di dollari a livello globale solo nel 2021. È quanto vale in termini di ricavi il mercato dei vaccini per il Covid19, sulla base dei contratti di fornitura noti finora e dei dati divulgati dai produttori. L’affare del secolo per le case farmaceutiche. Senza contare il russo Sputnik V e i vaccini cinesi». (La stampa, 7 febbraio).

Nella suddivisione delle risorse del Recovery fund assegnato all’Italia, sono stati destinati alla sanità – non in prima battuta e dopo qualche scazzo- quasi 20 miliardi. Meno della metà del ricavo annuo procurato dal vaccino.

Non è contestato il diritto delle multinazionali farmaceutiche di trarre profitto. In discussione è l’incapacità dei governi di regolare il mercato e di percorrere la strada della solidarietà e della condivisione. Il convid-19 non è l’Armageddon, ma dal risultato dello scontro in atto per sconfiggerlo, dipenderà il futuro del mondo in termini di comportamento e convivenza.

Il vaccino è l’unica arma oggi disponibile nella guerra in atto contro il virus. Se così è, non è etico lasciare ai consigli di amministrazione di alcune multinazionali la decisione di chi deve vivere o morire. O, meno radicale, di chi può evitare il contagio e di chi, invece può solo confidare nella benevolenza della sfiga, nella mascherina e nel distanziamento.

Per modificare questa discriminazione si muove il Comitato dei cittadini europei, organizzazione internazionale che tra i membri italiani annovera numerose associazioni sindacali, ambientaliste, politiche, assistenziali. Punta a raccogliere il milione di firme necessario per proporre un’azione legislativa concreta alla Commissione europea atta a garantire salute per tutti, trasparenza, controllo pubblico, prezzi controllati per i vaccini.

Per il Comitato nessuna azienda privata dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini, a quale prezzo e detenere il controllo monopolistico dei prodotti farmaceutici essenziali.

I dati e i costi di produzione, i contributi statali, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini e dei farmaci dovrebbero essere pubblici. Stessa chiarezza anche per i contratti tra autorità pubbliche e aziende farmaceutiche.

Il Comitato chiede, inoltre, di imporre obblighi giuridici per i beneficiari di finanziamenti Ue relativi alla condivisione di conoscenze in materia di tecnologie sanitarie.

Per saperne di più info@noprofitonpandemic.eu.

I reduci del sessantotto, soprattutto quelli tarocchi e coraggiosi nel ricordare quel periodo mettono tristezza. Spesso sono patetici e pedanti nel raccontare le loro pseudo imprese, sempre le stesse, più verosimili che vere. Qualche volta però ci pigliano. E in questa circostanza meritano di essere ascoltati.

Narrano dello strapotere delle multinazionali del farmaco, della salute come merce, dell’espropriazione della stessa.  Citano Giulio Maccacaro e Ivan Illich. Il primo, nato a Codogno, fondatore di Medicina democratica, è stato pioniere dell’epidemiologia in Italia, tifoso della prevenzione, sostenitore della non verginità della scienza, definita «un modo di essere del potere o, meglio, comprensibile e leggibile solo nell’ottica della dialettica dei poteri». (Per una medicina da rinnovare, Feltrinelli)

Il secondo, nato a Vienna, è l’autore di Nemesi medica, uno dei testi più significativi sull’organizzazione sanitaria divenuta minaccia per la salute.

Il virus ha reso attuali questi argomenti. Riprendere a discuterne e a riflettere su queste criticità potrebbe aiutare a sconfiggere il virus.  Di sicuro, sarebbe utile per essere pronti ad affrontare eventuali emergenze future.

«La salute non si vende» rivendicavano i giovani di allora. Mai come oggi quello slogan è attuale.  Fanculo chi la svende. 

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