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Nel crollo della politica resta un baluardo: i sindaci

22 Agosto 2021

Se si escludono alcune situazioni particolari, piazzate agli estremi dalla curva gaussiana, quindi ininfluenti per la statistica, politica, politici e partiti sono ai minimi storici. È una realtà generalizzata e la nostra provincia non è esclusa.

C’è d’augurarsi che il fondo sia stato raggiunto. Toccato il livello più basso si risale, lo raccontano molti che hanno sperimentato la discesa negli abissi. Lo sperano i cittadini.

Un po’ meglio stanno gli amministratori pubblici, nello specifico i sindaci. Non sostituiscono la politica, ma in talune circostanze l’aiutano.

I sindaci non sono fenomeni, neppure gigli di campo, neanche  dame di San Vincenzo. Sono cittadini normali che, di frequente, più di quanto appare, affrontano momenti d’emergenza. Costretti a trasformare la necessità in virtù, alcune volte sbagliano e vengono randellati oltre il dovuto.

 Non sono eroi per natura e neppure per caso. Sono donne e uomini che ogni giorno, soprattutto nei piccoli e medi Comuni, si arrabattano per ricercare soluzioni adeguate a leggi e decreti, spesso contradditori e, in alcuni casi, di difficile applicazione, con l’aggravante d’imposizioni burocratiche esasperanti.   

Sono persone ordinarie che qualche volta si ritrovano, controvoglia e scoglionate, ad affrontare congiunture straordinarie.

In campagna elettorale tutti i politici abbondano di promesse. Eletti, la maggior parte di loro si eclissa dal territorio di riferimento. Troppo presi a salvare l’Italia, l’Europa, il mondo intero, dimenticano il luogo d’origine. I più giusti, i predestinati, gli sgamati oltrepassano i confini terrestri e viaggiano nello spazio intergalattico. 

Quelli intelligenti, bravi, bell’aspetto, parlantina fluida e forbita e ammanicati con le persone che decidono, usufruiscono della benevolenza di testate giornalistiche nazionali, solerti ad assecondarli con ritratti che definire agiografici sarebbe riduttivo. Articoli che nelle redazioni vengono timbrati con un termine buono per i racconti di Charles Bukowski, oppure, nei salotti raffinati e colti, con un sostantivo derivato dal latino.

Il 18 agosto il Giornale ha esibito un saggio di alta qualità di tale pratica. Il pezzo racconta la storia di un politico di casa nostra. Un ritratto encomiastico a tutto tondo. Il protagonista risulta un gigante della politica per l’impegno e l’abnegazione dimostrate nello svolgere il proprio compito a favore del bene comune.

«Ha in testa – sottolinea l’estensore dell’articolo – proprio Luigi Einaudi e don Luigi Sturzo. Gli emblemi stessi del cattolicesimo e del liberalismo applicati alla cosa pubblica». Minchia. Dimentica di aggiungere che il nostro protagonista tiene in tasca una bussola che al posto della rosa dei venti ha inciso l’immagine di don Giussani e il logo della Compagnia delle opere. Due particolari non disdicevoli, tutt’altro, ma non a tutti graditi. Dettagli non trascurabili, che in politica fanno la differenza.

Nei mesi che precedono le elezioni per Roma e Strasburgo, ma anche in occasione di nomine dei propri sodali in organismi pubblici diversi dal circolo degli aquiloni, i politici, come Lassie, tornano a casa.  Ma non sono rough collie, bensì mastini napoletani che difendono lo strapuntino sui quali sono seduti e se si sottolinea questa minuzia si corre il rischio d’essere azzannati. D’essere etichettati dei beceri qualunquisti, che con i tempi di omologazione quasi totale è un complimento.

I politici raccontano meraviglie sul lavoro svolto e ipotizzano di costruire mari e monti, che al momento della sintesi risultano essere deserti, savane, tundre. 

I sindaci promettono e cercano di mantenere.  Nei piccoli Comuni se sgarrano, sono pennellati per strada, al bar. In ogni posto.

I politici rispondono alle logiche di partito. I sindaci ai bisogni dei cittadini e nei Comuni lillipuzziani sono in aumento le liste civiche che non sottilizzano sul colore dei componenti la squadra. 

Ci sono sindaci che eccedono in protagonismo, soprattutto quelli delle municipalità maggiori. Si considerano leader per diritto divino, convinti che il numero degli abitanti sia proporzionale al carisma e all’abilità gestionale, ma è una leggenda metropolitana.

Altri tendono a imporre le loro scelte ai colleghi, le ritengono patrimonio comune, ma poi si accorgono che esistono i dissidenti e prendono cappello.  C’è chi dice no. Quelli del voglio, comando,  posso devono farsene una ragione, il pensiero unico, per ora, non è contemplato nel manuale dei sindaci.

Essere alla guida di un Comune può essere un trampolino di lancio per una carriera politica, ma esagerare nello sfruttamento della visibilità che il ruolo concede è controproducente e il rischio di ragionare in termini politici e non sindacali è dietro l’angolo.

Domenica 3 e lunedì 4 ottobre si vota per il primo turno delle elezioni amministrative in 1.162 Comuni, tra i quali 18 capoluoghi di provincia (compresi Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli) e 9 Comuni sciolti per fenomeni di condizionamento e infiltrazione di tipo mafioso, per un totale di 12.015.276 elettori. Eventuali ballottaggi, previsti nei Comuni con più di 15 mila abitanti, si terranno il 17 e 18 ottobre.

 In Lombardia sono interessati 237 comuni, 13 in provincia di Cremona.

Non si è verificata la corsa alle candidature. Troppe rogne e responsabilità sono collegate all’amministrazione di un Comune. È un brutto segnale.

 I sindaci sono l’ultima ruota del carro, ma se manca lei o cede, o il carro si ferma. La politica non può rinunciare a loro. È necessario trovare un modo per ridare slancio alla carica e motivare i cittadini a concorrere per ricoprirla. 

Se questo non avviene, se al declino della politica, si somma quello dei sindaci, le alternative e gli scenari futuri non sono molti e  quei pochi appaiono foschi. Bui. 

 

Antonio Grassi

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