Basta con le favole sulle aziende partecipate. Basta con le multiutility fiore all’occhiello dei Comuni-soci, valore aggiunto per i cittadini. Basta.
Le partecipate non sono mai state la Madonna di Caravaggio. Non hanno mai prodotto miracoli e mai si sono comportate da enti benefici. Hanno sempre fornito servizi a pagamento senza praticare sconti. Non hanno mai regalato nulla e mai regaleranno un euro. Se offrono un intervento, un gadget o qualcosa d’altro di gratuito, non è come pare. E’ una forma di investimento finalizzata a rafforzare l’immagine del brand e acquisire consenso. Captatio benevolentiae di grana grossa, marketing di bassa lega, facile da sgamare.
Se fino ad alcuni mesi fa la storiella edificante ed enfatizzata delle aziende dei sindaci aveva una minima ragione d’essere, raccontarla oggi provoca un sorriso.
Da quando Lgh, partecipata per antonomasia della nostra provincia, è controllata al cento per cento da A2A, società quotata in Borsa, il radicamento nel territorio, di fatto, è stato sostituito da quello in Piazza Affari. Ai soci sindaci sono subentrati gli investitori, noti per privilegiare il bene personale e di strafottersene di quello comune.
La Borsa poco si concilia con la solidarietà e la gestione a prezzi calmierati dei servizi per i cittadini, punti di partenza e pietre angolari sulle quali sono state innalzate le partecipate locali. Per chi compra e vende azioni contano solo numeri che misurano utili e perdite. La Borsa è cinica, semplice e lineare.
Pretendere di entrare in Piazza Affari e incontrare dei boyscout fa coppia con la ricerca di una vergine in un bordello. Un giovane virgulto della politica locale si è avventurato su questa strada, ma la sparata non ha sortito sorpresa o perplessità. Solo i Cinque stelle con buon senso, azioni concrete e perseveranza, ma inascoltati, hanno avvertito del pericolo dell’operazione. Perché non ammetterlo?
Territorio, tradizione, storia, sentimenti e altri arnesi impiegati per difendere la scelta della fusione di Lgh con A2A, sono leggenda metropolitana, provinciale, periferica. Aria per la bocca. Insopportabili pipponi su concetti imparati a memoria. Sono scarsa conoscenza della realtà. Nei casi estremi, ignoranza sull’argomento.
«Gli azionisti di A2A sono oltre 74mila, suddivisi tra investitori istituzionali e investitori retail. Gli investitori istituzionali detengono circa il 35,9% del capitale sociale (36,6% nel 2019). Il 25,4% del flottante in mano a investitori istituzionali è detenuto da investitori statunitensi, il 18,8% da investitori italiani, il 14,1% da investitori britannici e l’8,5% da investitori con sede legale in Lussemburgo. Sono inoltre presenti investitori istituzionali francesi (8,4%), olandesi (4,1%) e tedeschi (3,4%). Gli investitori retail sono oltre 72mila e detengono l’11,6% del capitale sociale (10,7% nel 2019). Il 99,5% dell’azionariato retail è residente in Italia e in particolare il 58,2% in Lombardia. Gli investitori residenti nelle province di Milano e Brescia detengono rispettivamente il 27% e il 13,3% del totale retail. I dati sono stati elaborati sulla base del libro soci aggiornato alla data di distribuzione del dividendo del 20 maggio 2020». (Sito ufficiale di A2A).
Gli investitori istituzionali, cioè fondi comuni, assicurazioni, altri intermediari si preoccupano dei bilanci, dei dividendi e di tutti quei parametri indicatori dello stato di salute della società. Il resto è fuffa. Più o meno il medesimo discorso vale per gli investitori retail, cioè singoli che fanno trading per se stessi.
Al manager di Omaha, all’ingegnere di Manchester, al ragioniere di Torino, possessori di azioni A2A, frega meno di niente che la società investa a Cremona o a Trapani. A loro importa che la società macini utili e il prezzo delle azioni possedute lieviti.
In una logica capitalistica tra un intervento utile al territorio, ma poco redditizio e un altro non superfluo, ma meno necessario, però più remunerativo, la possibilità che qualsiasi società quotata in Borsa scelga di realizzare il secondo non è da escludere.
La ricerca del profitto implica economie di scala, obiettivo che si raggiunge con il coinvolgimento di management e altre maestranze. Il nuovo assetto, conosciuto con il nome di ristrutturazione, per alcuni dipendenti comporta effetti collaterali non sempre positivi. Dietrologia? No, diffidenza e uno sguardo a esperienze del passato. Se poi A2A risulterà essere fuori dal coro sarà una buona notizia, meritevole di applausi.
Sostenere che l’incorporazione di Lgh nella multiutility milanese-bresciana sia stato un grande affare, un’opportunità imperdibile per il nostro territorio, un colpo di culo per uscire dai ristretti confini provinciali è una verità parziale. Servirebbe aggiungere che è stato il salvagente per non annegare. Per continuare ad esistere con il medesimo nome, ma in un altro corpo.
È stata un’operazione finanziaria semplice e banale. Di Lgh sopravvivranno logo e strutture, ma i cremonesi non saranno più i proprietari della società. Sotto il vestito, niente.
Verranno incassati un sacco di quattrini, ma il passaggio di azioni è avvenuto senza competizione, opzione che, in teoria, avrebbe introdotto la possibilità di spuntare un prezzo migliore.
Il dettaglio segnalato alcuni anni fa da Giovanni Calderara, allora sindaco Pd di Agnadello, durante un’assemblea dei soci di Scrp azionista di Lgh non era stato filato da nessuno. Già, paranoia di un rompicoglioni. Chi non è allineato, reprobo è.
Poi sono intervenuti l’Autorità nazionale anticorruzione, il Tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato, concordi nello stigmatizzare tale sbrigativa procedura di fusione. E’ possibile ignorare questi pronunciamenti? E’ conveniente tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi per evitare di intervenire e porre rimedio all’errore?
Ne è nata ed è in atto una polemica politica costruita su dichiarazioni e comunicati stampa. Non su interventi precisi e mirati. Non sull’agire, ma sulla retorica. I tribuni, maestri di parole e tremebondi in battaglia producono molto fumo e poco arrosto. Però todos caballeros.
Il titanico scontro verbale durerà il tempo per trovare un nuovo motivo di discussione. Poi le acque del mar Rosso si richiuderanno. Tutto rimarrà come prima.
Dell’accaduto non incolpiamo la voracità di milanesi e bresciani, ma la nostra incapacità di sfruttare al meglio idee e relative risorse sbocciate e disponibili nella nostra terra.
Incolpiamo la miopia che ci caratterizza e ci spinge a insistere nel sostegno di leader inadeguati al ruolo. Brave e oneste persone, ma inadatte a guidare un esercito e forsanche un semplice plotone. Neppure i ragazzi della via Paal.
Forse è giunto il momento di rivedere uno storytelling che distorce la realtà. Basta con le novelle. Con le partecipate abbiamo fallito. Ammettiamolo. Sono state la grande illusione e non è un caso il riferimento al film cult di Jean Renoir. Ricominciamo. Più poveri e disincantati. Basta con le azioni per arricchire il portafoglio altrui, stranieri compresi. Iniziamo a interessarci di quelle per potenziare il nostro territorio. Quelle che non si scambiano in Borsa.
Antonio Grassi
2 risposte
Perfetto: torniamo a logiche di reale interesse del territorio. Ma dove sta un nuovo Sturzo in grado di lanciare credibilmente un nuovo ‘Appello ai liberi e forti’ ? Dove sono i liberi e dove sono i forti in questo mondo svenduto e imbarbarito?
Molto chiaro e comprensibile anche per chi, come il sottoscritto, non mastica questo tipo di notizie per la complessità dell’argomento. Bravo Antonio per questo squarcio di luce, istruttivo e stimolante per l’apprendimento di queste scabrose vicende politiche istituzionali, palesemente nebbiose.