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Spuntano bar come funghi e il declino di Cremona prosegue

19 Ottobre 2021

Parlare entusiasticamente di rinascita della città in base alle annunciate aperture di nuovi locali dedicati alla somministrazione è un moto direi infantile, che a mio parere copre l’ansia sullo stato attuale delle cose. Tutto bellissimo solo perché nuovo… un atteggiamento che si sposa sia con una idea confusa di liberismo d’impresa, quello dove il migliore vince sempre, sia con quella della concorrenza che fa bene al mercato, e dove pure lì il
migliore vince sempre. E’ la naturale evoluzione delle cose, si dice, e questo per una volta mette d’accordo destri e sinistri uniti nel  nome del benessere del portafoglio che, quello sì, è democratico e piace a tutti. E il fatto che di chi perde nessuno parla mai, ahimè, sfugge.

Per una città, piccola o grande che sia, la crescita esponenziale SOLO delle licenze per bar, ristoranti e affini avvenuta negli ultimi 20 anni rivela innanzitutto il tramonto inesorabile del commercio tradizionale, che non ha subentri nelle varie attività merceologiche e neppure avvicendamenti familiari che raccolgano eredità professionali spesso importanti. I cardini del commercio sono stati divelti, rendendo impossibili ammodernamenti e trasformazioni diversi dal rendere virtuale o macrodimensionato quello che prima era un negozio. Il fatto che per secoli si debba proprio alle botteghe lo sviluppo delle città è un altro dettaglio che guarda caso sempre sfugge. Il proliferare di tali licenze di somministrazione rivela anche altro: politicamente che la concorrenza senza freni serve al mercato speculativo e quindi la liberalizzazione tout court è la strada da seguire; imprenditorialmente che offrire da bere e da mangiare è l’unica attività che chiunque può fare perché tutti, prima o poi , si siedono ad un tavolino e ordinano qualcosa. L’idea di arricchirsi velocemente e facilmente con questo genere di lavoro è insita nel concetto e chi conosce le vere dinamiche del settore raramente ne condivide le reali difficoltà, in parte perché non viene ascoltato, in parte perché incontrare chi ha voglia di spendere (avere i soldi è un altro discorso) è comunque una manna dal cielo per una serie di soggetti legati alla filiera. Ma dove non arriva la saggezza del legislatore, arrivano i numeri. Le nuove aperture, che certamente sono una bella cosa ovunque, richiameranno clienti a scapito di altri locali; se i nuovi sono bravi li manterranno e i vecchi moriranno, se non sono bravi, avranno creato un altro locale in crisi e altri debiti da pagare. Il concetto che ‘vinceranno i
migliori’, di solito sbandierato da chi vive di stipendio fisso, è tutto da spiegare: c’entrano la professionalità, la preparazione specifica, la posizione, i mezzi economici, il carisma del titolare, ma può non bastare. Se i numeri dei potenziali clienti attivi non cambiano, è lapalissiano che se aprono locali nuovi, altri dovranno chiudere. Se il concorrente ha semplicemente più soldi o più credito, avrà più potere.

Un tempo le licenze erano contingentate per quartieri in base a parametri legati alla popolazione: oggi no, e così si è creata una giungla piena di speculazioni alla luce del sole, nella quale ogni investimento nel proprio locale è a rischio perché da un giorno all’altro il contesto cambia e chiunque può copiare a 3 metri di distanza quello che magari tu hai costruito in una vita intera. Cosa
altrettanto pessima è anche il fatto che la buona concorrenza di cui si vagheggia va invece quasi sempre a danno del consumatore perché è per lo più basata sulla riduzione della qualità dei servizi e dei prodotti: in mancanza di professionalità specifica (per aprire servono soldi, non cultura), l’unica leva è il prezzo. Mi pare evidente che il livello di offerta di migliaia di locali ovunque in Italia è spesso al limite dell’accettabile e molto spesso proprio in quelli di recente apertura: come la mettiamo? E’ questo scadimento il prezzo da pagare per rinnovare il modo di vivere la
città? Chiediamoci se, in quanto consumatori, ci siamo abituati alla banalità o se invece siamo capaci di riconoscere la professionalità e siamo disposti a premiarla. Chiediamoci anche perché la stragrande maggioranza dei locali ha gli stessi prodotti, propone le stesse cose, come tanti anonimi autogrill…. Non è mai vero che tutti hanno il diritto di fare tutto e non so se la libera concorrenza invocata a vantaggio del consumatore sia questa. La libertà di comperare una licenza con una marca da bollo senza dare alcuna garanzia né finanziaria né professionale a me non sembra una conquista. Contano solo i soldi, con buona pace delle ideologie.

Capisco bene perché la vox populi inneggia con entusiasmo al rinnovamento, e ci mancherebbe, ma dimenticare che tutto ha un prezzo e che il caos normativo sulle licenze ha portato ad una abnorme diffusione di locali pubblici che, spesso fianco a fianco, lottano ogni giorno per sopravvivere mi sembra veramente imperdonabile, specialmente se non si levano le voci che dovrebbero parlarne. Ormai il destino commerciale delle città è segnato e a me personalmente questo mette una certa tristezza anche se vedrò una marea di allegri tavolini ovunque. L’egoismo di cui questa società è infarcita è ormai tossico per tutti quanti.

 

Patrizia Signorini

Una risposta

  1. Brava Patrizia! Ma che vuole dal momento che i pochi migliori se ne vanno, le istituzioni vengono occupate per lo più da mediocri e il resto dei giovani si ammassa a consumare alcolici e ha letto forse Pinocchio? D’ altronde cosa pretendere quando vedono che un’alunna del Manin che non eccelleva è diventata ministro e – ha dichiarato – di aver costruito la galleria per i neutrini ? ( sic!!).

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