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Nuovo ospedale a Cremona: molti dubbi, nessuna risposta

17 Dicembre 2021

Quando è stata annunciata la volontà di dotare Cremona di un nuovo ospedale abbiamo manifestato forti perplessità. Innanzi tutto ci siamo chiesti se non fosse possibile ristrutturarlo. Il San Paolo di Milano, ad esempio, costruito negli stessi anni e in condizioni apparentemente peggiori, ha ricevuto un finanziamento di 60 milioni di euro per la messa a norma e l’adeguamento strutturale. Ma resta in piedi. La nostra era una delle poche voci stonate nel coro cinguettante che intonava peana alla Regione  Lombardia.  In pochi mesi si è arrivati alla firma del protocollo. Siamo passati dalle parole ai fatti, senza che si sia affrontato il tema di fondo: quali servizi offrirà la nuova struttura? Che cosa si manterrà e che cosa invece sparirà, in una logica di pianificazione e razionalizzazione dell’offerta sanitaria regionale? Il  primo a porre questa domanda al governatore Attilio Fontana e a alla sua vice Letizia Morati, assessore alla Sanità, doveva essere il sindaco Gianluca Galimberti, nella duplice veste di rappresentante della comunità e di responsabile locale della salute pubblica.  L’abbiamo visto invece nell’irrituale veste di manifestante in occasione della protesta che i sindacati hanno organizzato contro l’attuale gestione dell’ospedale e segnatamente il direttore generale Giuseppe Rossi sul cui operato si attende il giudizio regionale di metà mandato. Alle prime avvisaglie dello svuotamento dei reparti, di fronte all’impoverimento delle professionalità interne, all’esodo dei medici e dei pazienti verso altre strutture, il sindaco avrebbe dovuto promuovere tutte le iniziative politiche necessarie a difesa del presidio sanitario e della qualità delle prestazioni. Era imprescindibile, direbbe l’ex premier Giuseppe Conte, la convocazione di una conferenza di servizi per valutare quali siano le necessità prioritarie del territorio da inserire nel nuovo ospedale. Dicevamo che occorreva coinvolgere medici, infermieri e il personale amministrativo in un dibattito aperto alle forze politiche e alle rappresentanze sindacali perché i contenitori sono importanti ma molto di più lo sono le persone con la loro professionalità, le loro conoscenze e la loro esperienza.  Il partito trasversale del cemento, ingolosito da commesse per 330 milioni di euro – ma su facebook c’è chi dice che non basteranno – ha ignorato dubbi e resistenze che spuntavano sui social e che adesso si moltiplicano.  La dilagante narcosi delle coscienze ha tacitato ogni obiezione.

Scrivevamo che era indispensabile evitare che la discussione si aprisse a giochi fatti e che urgeva un confronto basato su dati scientifici, principalmente sullo studio epidemiologico atteso dall’Ats Valpadana, che invece slitterà a metà del prossimo anno. Bisogna conoscere le criticità per implementare l’offerta ospedaliera invece la decisione regionale di sostenere e finanziare una nuova struttura a tutt’oggi è priva di un’analisi sulle reali necessità del territorio. E’ slegata dai dati epidemiologici, ignorante dei flussi dei cittadini cremonesi verso altre strutture, carente di valutazione dei costi sanitari e, soprattutto, dei possibili benefici in termini di salute della popolazione.  E’ indubbia la necessità di potenziare diagnosi e cura dei pazienti oncologici. Ma in questo, come in altri ambiti, la programmazione sanitaria regionale fa acqua. Che fine ha fatto il progetto, favorito da una donazione sanitaria di più di 6 milioni di euro, per la costruzione di un ‘cancer center’ all’ospedale di Manerbio? Lo scopo era dotare l’azienda bresciana di un centro oncologico d’eccellenza. Un’iniziativa analoga era stata annunciata prima della pandemia presso l’ospedale di Cremona. Nel febbraio dello scorso anno era programmata anche la costruzione di un centro oncologico alla Poliambulanza di Brescia con un investimento superiore a 36 milioni di euro.  E in un raggio di alcune decine di chilometri sono in funzione l’Istituto Tumori e l’Ieo di Milano, cancer center all’Humanitas, al Niguarda, al Policlinico di Milano, al San Raffaele, al San Matteo di Pavia, agli Spedali Civili di Brescia, al Papa Giovanni XXIII di  Bergamo. Sono tutte strutture all’avanguardia e di rilevanza internazionale che mettono in dubbio la necessità di potenziare diagnosi e cura dei tumori nel Cremonese all’interno di un nuovo ospedale.

In Lombardia assistiamo a un’offerta di prestazioni sanitarie analoga forse al proliferare dei centri commerciali, non supportata dai dati relativi a ricoveri e spostamento di pazienti, che risultano difficilmente accessibili. Un moltiplicarsi di strutture e prestazioni apparentemente privo di regole, controlli e pianificazione. Non si sa che cosa la Regione voglia inserire nel nuovo ospedale di Cremona. Quali competenze? Che specialità? E’ necessario saperlo adesso, non quando le decisioni regionali saranno operative. E qual  è il destino dell’Oglio Po?  Se lo chiede su Facebook   l’ex sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani.  Dalla Regione gli risponderà qualcuno di più competente del vicesindaco di Cremona Andrea Virgilio?

Una medicina basata sull’edilizia fa girare l’economia e tiene impegnati i professionisti del taglio del nastro, ma non necessariamente ha come obiettivo quello prioritario di migliorare l’offerta di prestazioni sanitarie. E soprattutto non pone al centro dei progetti il fattore umano. Trascura l’elemento essenziale che è la valorizzazione di professionisti motivati e preparati.

 

Vittoriano Zanolli

 

5 risposte

  1. Assolutamente d accordo …
    Sarebbe necessario dare evidenza alle legittime domande dei cremonesi dubbiosi che non trovano attenzione e risposte nemmeno dalla Istituzione a loro piu vicina ..il Comune …Mi sento impotente

  2. Veramente avvilente la mancanza di valutazioni critiche con la quale la politica locale, quasi all’unanimità, sindaco in prima linea, ha accolto la assurda proposta regionale di demolire la pregevole struttura del nostro ospedale che conta solo cinquant’anni di esistenza. Per altri ospedali, pur costruiti su progetto degli stessi tecnici (erano Braga e Ronzani, se ricordo bene) qualche anno prima del nostro nosocomio (in particolare, Codogno e Brescia), le ipotesi operative siano state e siano a tutt’oggi ben diverse. Ho nettamente l’impressione che quasi tutti i nostri amministratori non siano oggi all’altezza dei compiti loro affidati e non sappiano nemmeno difendere le felici realizzazioni dei loro predecessori.

    1. Questa vicenda assurda riconduce al tema di fondo: la classe politica e gli amministratori pubblici operano per il bene e nell’interesse del territorio? Più che un dubbio è una certezza. Ed è quella che lei ha espresso: no, perché sono inadeguati al compito che devono svolgere. Nelle valutazioni contrarie alla costruzione di un nuovo ospedale non ho ricordato l’impatto ambientale che avrà la demolizione di quello esistente in termini di produzione di CO2.

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