Un ospedale non è un resort e tanto meno un condominio. E’ banale ripeterlo, ma in assenza di risposte a domande fondamentali e ineludibili si è autorizzati a domandarsi che cosa si vuole nascondere. E’ impensabile che in una logica di pianificazione ospedaliera regionale non si sappia quali reparti resteranno a Cremona e da chi dipenderemo (Brescia, Milano, Varese?). Anche i fessi – e i politici la fanno da stupidi ma in genere non lo sono – hanno capito che perderemo l’autosufficienza ospedaliera. E che saremo sempre più dipendenti dalla sanità privata. Al punto che qualche malpensante bene informato ipotizza che il nuovo ospedale, costruito con i soldi pubblici versati dai contribuenti, finirà in mano al Rotelli di turno, cioè ai privati che lo gestiranno con profitto intascandosi milioni di euro. E’ singolare che un’opera essenziale per una comunità, realizzata coi proventi delle tasse, nasca senza essere condivisa con la città e soprattutto coi medici che poi dovranno farla funzionare.
Il finanziamento di 330 milioni di euro ingolosisce imprese a caccia di appalti e politici smaniosi di consensi ma gli addetti ai lavori sanno che è largamente insufficiente, non solo per i recenti rincari stellari delle materie prime. Quei soldi si esauriranno con l’allestimento di un pronto soccorso o poco più. Basterebbero invece per la ristrutturazione integrale del monoblocco, com’è in programma al San Paolo di Milano, un complesso in tutto e per tutto simile a quello di Cremona. Resta senza risposta anche la domanda, scontata ma appropriata, che in molti si fanno: per costruire è necessario distruggere? Nel cono d’ombra degli argomenti tabù è finito anche l’impatto ambientale previsto con la demolizione: una produzione colossale di CO2 che aleggerà sulla città. I cittadini mugugnano ma chi conta veramente – partiti, sindacati, istituzioni, società civile – approva. In realtà tutti applaudono nei consessi ufficiali e in privato criticano. L’importante è non esporsi. E il sindaco, che è il primo responsabile della salute pubblica, tace. Tiene buona la città.
Un nuovo ospedale non è la soluzione ai gravissimi problemi che la pandemia ha creato soprattutto in Lombardia. Nel cestino delle buone intenzioni finisce il modello di assistenza sanitaria concepito sulla scorta dell’esperienza negativa maturata negli ultimi due anni che ha evidenziato l’assoluta inadeguatezza della medicina territoriale. Con buona pace della tanto sbandierata eccellenza della sanità regionale lombarda.
Vittoriano Zanolli
2 risposte
Siamo in mano a quaquaraqua’ e ruffiani…purtroppo
L’unica speranza è il DEA di II livello, vale a dire un “pronto soccorso” molto avanzato che può trainare reparti ad elevata specializzazione. Però, dal momento che anche Mantova nutre le medesime ambizioni, esiste la concreta possibilità di venire tagliati fuori e trovarci con un ospedalino, come ventila Zanolli. È qui che si gioca la credibilità dei politici e degli amministratori locali ed è su questo unico punto – DEA di II livello – che bisognerebbe insistere e pressare la regione. Certo che se i rappresentanti del territorio non hanno ancora capito come e perché muoversi – tutti insieme – la situazione diventa seria. Al di là del rapporto pubblico e privato, non dimentichiamo che dall’ospedale prima o poi ci dovremo passare tutti e che spesso la differenza tra vivere o meno consiste nella qualità dell’assistenza e nella sua pronta disponibilità. Un ospedalino non è solo uno sfregio al territorio ed ai suoi abitanti, ma anche e soprattutto un potenziale rischio per la salute dei cittadini. C’è ancora tempo per darsi da fare, però qualcuno una mossa se la deve dare.