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Cremona, nuovo ospedale. Buio totale all’Expo di Dubai

9 Febbraio 2022
Giubila all’unisono il coro che intesse le lodi del nuovo ospedale di Cremona. Vox populi, motivatamente critica, trova spazio solo nei social. Bandita dalla stampa ufficiale, rimbalza sul web da un sito all’altro dove i cittadini manifestano dubbi, chiedono chiarimenti ed esprimono il buon senso comune che non scalfisce le certezze dei politici, con qualche eccezione. Il progetto approvato dalla Regione ha avuto la consacrazione mondiale la scorsa settimana nientemeno che a Dubai dove l’ha presentato la vicepresidente regionale nonché assessore alla Sanità Letizia Moratti. ‘Ospedale del futuro, come ripensare l’architettura per la salute’  era il tema del convegno, rispettato puntualmente dalla relatrice che se n’è guardata bene dal fare qualsiasi riferimento ai contenuti della nuova struttura. Bisognava magnificare il contenitore e lei l’ha fatto. Ha illustrato le linee guida del progetto, frutto di un concorso di idee internazionale, ‘un esempio di innovazione e visione del futuro in ambito socio-sanitario che per un giorno ha posto Cremona all’attenzione del mondo’.  L’esposizione ai riflettori planetari ha inorgoglito il direttore generale dell’Azienda ospedaliera Giuseppe Rossi, il sindaco Gianluca Galimberti  e qualche politico. Noi comuni cittadini che consideriamo l’ospedale non un albergo a 5 stelle ma il luogo deputato alla diagnosi e cura delle malattie siamo rimasti ancora più perplessi non avendo avuto anche da quella sede lumi  sul contenuto, cioè sui reparti che saranno trasferiti dal vecchio al nuovo contenitore. Al convegno di Dubai si è parlato di sfida progettuale, di strutture e di ecosostenibilità. Si è appreso che ogni stanza sarà dotata di servizi e che un’architettura moderna contribuisce al benessere dei degenti e alla loro guarigione senza sapere nemmeno a grandi linee che cosa si curerà nel nuovo, avveniristico nosocomio. Sarà ripristinata la Breast Unit, ideata e creata dal chirurgo Alberto Bottini, inopinatamente soppressa dopo il pensionamento del direttore? E la Terapia intensiva neonatale, che ha avuto destino analogo, uscita dalla porta rientrerà dalla finestra? Sappiamo che i posti letto saranno un terzo degli attuali perciò ha senso parlare di ospedalino, ma sul numero e sulla natura dei dipartimenti,  sull’erogazione dei relativi servizi sanitari e sull’organizzazione vige la consegna del silenzio.

Un ospedale non è un resort e tanto meno un condominio. E’ banale ripeterlo, ma in assenza di risposte a domande fondamentali e ineludibili si è autorizzati a domandarsi che cosa si vuole nascondere. E’ impensabile che in  una logica di pianificazione ospedaliera regionale  non si sappia quali reparti resteranno a Cremona e da chi dipenderemo (Brescia, Milano, Varese?). Anche i fessi – e i politici la fanno da stupidi ma in genere non lo sono – hanno capito che perderemo l’autosufficienza ospedaliera. E che saremo sempre più dipendenti dalla sanità privata. Al punto che qualche malpensante bene informato ipotizza che il nuovo ospedale, costruito con i soldi pubblici versati dai contribuenti, finirà in mano al Rotelli di turno, cioè ai privati che lo gestiranno con profitto intascandosi milioni di euro. E’ singolare che un’opera essenziale per una comunità, realizzata coi proventi delle tasse, nasca senza essere condivisa con la città e soprattutto coi medici che poi dovranno farla funzionare.

Il finanziamento di 330 milioni di euro ingolosisce imprese a caccia di appalti e politici smaniosi di consensi ma gli addetti ai lavori sanno che è largamente insufficiente, non solo per i recenti rincari stellari delle materie prime. Quei soldi si esauriranno con l’allestimento di un pronto soccorso o poco più. Basterebbero invece per la ristrutturazione integrale del monoblocco, com’è in programma al San Paolo di Milano, un complesso in tutto e per tutto simile a quello di Cremona. Resta senza risposta anche la domanda, scontata ma appropriata, che in molti si fanno: per costruire è necessario distruggere? Nel cono d’ombra degli argomenti tabù è finito anche l’impatto ambientale previsto con la demolizione: una produzione colossale di CO2 che aleggerà sulla città.  I cittadini mugugnano ma chi conta veramente – partiti, sindacati, istituzioni, società civile – approva. In realtà tutti applaudono nei consessi ufficiali e in privato  criticano. L’importante è non esporsi. E il sindaco, che è il primo responsabile della salute pubblica, tace. Tiene buona la città.

Un nuovo ospedale non è la soluzione ai gravissimi problemi che la pandemia ha creato soprattutto in  Lombardia.  Nel cestino delle buone intenzioni finisce il modello di assistenza sanitaria concepito sulla scorta dell’esperienza negativa maturata negli ultimi due anni che ha evidenziato l’assoluta inadeguatezza della medicina territoriale. Con buona pace della tanto sbandierata eccellenza della sanità regionale lombarda.

 

Vittoriano Zanolli

 

2 risposte

  1. L’unica speranza è il DEA di II livello, vale a dire un “pronto soccorso” molto avanzato che può trainare reparti ad elevata specializzazione. Però, dal momento che anche Mantova nutre le medesime ambizioni, esiste la concreta possibilità di venire tagliati fuori e trovarci con un ospedalino, come ventila Zanolli. È qui che si gioca la credibilità dei politici e degli amministratori locali ed è su questo unico punto – DEA di II livello – che bisognerebbe insistere e pressare la regione. Certo che se i rappresentanti del territorio non hanno ancora capito come e perché muoversi – tutti insieme – la situazione diventa seria. Al di là del rapporto pubblico e privato, non dimentichiamo che dall’ospedale prima o poi ci dovremo passare tutti e che spesso la differenza tra vivere o meno consiste nella qualità dell’assistenza e nella sua pronta disponibilità. Un ospedalino non è solo uno sfregio al territorio ed ai suoi abitanti, ma anche e soprattutto un potenziale rischio per la salute dei cittadini. C’è ancora tempo per darsi da fare, però qualcuno una mossa se la deve dare.

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