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Donne e motori, gioie e….

9 Marzo 2022

Fin da piccolo voleva fare il meccanico e a 18 anni, nonostante avesse conseguito il diploma di ragioniere, realizzò il suo sogno. Col passare degli anni, oltre da quella per i motori, fu preso dalla passione per le donne, ma per Carlo – questo il nome del protagonista del racconto – il detto popolare “donne e motori, gioie e dolori” era diviso tra le gioie per i motori e le donne per i dolori, perché con le ragazze aveva difficoltà di comunicazione a causa della timidezza. Qualche corteggiamento respinto, promesse inascoltate e tante delusioni. Col trascorrere degli anni, grazie alla sua caparbietà, era riuscito a diventare titolare di un’officina, alla periferia di Cremona, che aveva attrezzato con un paio di ponti sollevatori, un tornio e altri attrezzi che servivano per smontare e rimontare motori, differenziali e per intervenire sulle restanti parti meccaniche. Poi aveva aggiunto un ufficio e un paio di ambienti in cui conservava pezzi di ricambio usati o adibiva a deposito notturno di qualche vettura costosa.

Ma il destino premiò la sua grande attrazione per le donne. Grazie all’emancipazione femminile, che si era diffusa  verso gli anni Ottanta del secolo scorso, si erano aggiunte alla clientela, fino ad allora composta quasi esclusivamente di uomini, anche signore e signorine che avevano acquistato un’automobile. Nonostante il matrimonio, in lui non si era affievolito il desiderio di allacciare relazioni non tanto sentimentali quanto carnali. E le occasioni non gli mancavano ora che, giunto sulla soglia dei sessant’anni, la sua attività di meccanico gli offriva occasioni di nuove conoscenze femminili. Non molto alto, bruno di capelli, un fisico asciutto, pur non essendo  un Adone piaceva al gentil sesso per quella sorta di mistero che accompagna spesso le scelte sentimentali femminili. Si era accorto di suscitare  interesse in una quarantenne vedova, che aveva ereditato dal marito una vettura carica d’anni che richiedeva una mano esperta per tornare a muoversi sulla strada. Anche la signora richiedeva una mano, anche non esperta, per tornare a muoversi non sulla carreggiata ma sul materasso. Anche se la signora Chiara – questo era il nome della vedova – temeva, con fiuto femminile, che Carlo non avesse una mano altrettanto esperta in erotismo come nel motorismo, in lei ebbe il sopravvento il lungo digiuno sentimentale. L’ufficio venne dotato di una poltrona allungabile e di un vecchio giradischi per ascoltare la musica d’atmosfera che avrebbe fatto da sottofondo agli incontri amorosi. Il primo, come a volte succede, fu caratterizzato dalla velocità di esecuzione, ma in seguito l’operazione divenne meno precoce. L’incontro segreto avveniva due volte alla settimana durante la pausa pranzo, con la saracinesca dell’officina abbassata. Come segno tangibile del gradimento, la macchina d’epoca della signora fu rimessa in strada come nuova.

Un giorno di fine estate, si presentò in officina una donna non più giovanissima. Appoggiata al muro la bicicletta, spiegò al meccanico che il motore della sua Panda, bloccata in garage, non voleva saperne di accendersi. La signora, piccola di statura, in tenuta da ciclista metteva in mostra due gambe ancora attraenti. Carlo, che già pensava a un esito naturale dell’incontro, si mise immediatamente a disposizione. Caricati sul furgone gli attrezzi necessari, i due entrarono nell’ambiente buio che ospitava l’utilitaria, che aveva dimensioni appena sufficienti per contenere la piccola auto. Fu inevitabile trovarsi a stretto contatto. La prima volta con indifferenza, ma poi la signora prese l’iniziativa. Lui non aspettava altro, ma la possibilità, essendo la porta spalancata, di essere sorpresi da qualche coinquilino, pose fine anzitempo alle operazioni. La macchina fu fatta ripartire e i due si diressero verso l’officina, dove sulla poltrona riprese il discorso interrotto.

Carlo si trovò così a gestire due situazioni contemporaneamente e riusciva a tenere a bada le bizze e gli ardori delle due donne. Ma non aveva fatto i conti con la terza donna, sua moglie, che fino a quel momento non si era mai intromessa nella vita lavorativa del marito. Un lunedì di ottobre, durante la pausa pranzo, Carlo, abbassata la saracinesca, si stava dedicando, come era ormai  consuetudine, al corpo di Chiara. Durante la galoppata finale, improvvisamente, fu disturbato da un ticchettio sul vetro della finestra sulla strada. Qualcuno stava dando dei colpetti con una chiave per attirare l’attenzione. Guardò, trasalì. Guardò ancora: era la moglie, venuta a portargli in officina un sacchetto di biscotti fatti con le sue mani.

 

Sperangelo Bandera

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