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Non capisco Mosca, Zelensky e gli Usa. Chiedo aiuto

15 Marzo 2022

Caro Direttore,
leggo sempre con grande interesse i suoi interventi pubblicati sul blog: la penna è fertile, le connessioni neuronali sono quelle giuste e altrettanto le idee. Pertanto ho pensato di scriverle per avere un suo parere. Qualche giorno fa ho avuto uno scambio di idee con un amico sui crimini perpetrati durante le guerre. Il riferimento, ovviamente, era alle note vicende di Mosca e Kiev. L’amico sosteneva, a buon diritto, che i criminali (si riferiva a Putin) vanno eliminati perché le armi non sono la giusta attenuante per sostenere le proprie ragioni. Sacrosanta verità. Chi potrebbe non essere d’accordo? Mi sembrava allora giusto ricordargli che l’Ucraina per anni, sotto l’egemonia russa, era rimasta impantanata con problemi di corruzione, di cattiva gestione e di mancata crescita economica a causa della svalutazione della propria moneta con l’impossibilità di ottenere finanziamenti sul mercato internazionale. Nel 2014, la cosiddetta rivoluzione di Maidan culminò con la fuga del presidente eletto e con la caduta del governo di Azarov. I golpisti saliti al potere avevano iniziato una vera e propria guerra civile – un popolo che uccide i propri figli in nome di una ideologia – colpendo chiunque fosse di parere politicamente opposto; anche un nostro fotoreporter, Andrea Rocchelli, fu assassinato perché colpevole di documentare con le sue immagini quelle atrocità. Notizia che non fece clamore. Con ciò, è inutile dire che siamo tutti in disaccordo con qualsiasi genere di spargimento di sangue. E siamo tutti d’accordo nel dire che le guerre non sono la risposta – in questo caso – alle rivoluzioni in nome di una ideologia; anche perché, oltre a versare sangue, creano equilibri precari.

Il mio amico non aveva torto quando sosteneva queste cose. Le guerre non portano nulla di buono, che siano guerre di religione o per conflitti etnici o con presupposti diversi. Anche le guerre di confine non portano nulla di buono: l’identità di un popolo non cambia quando si modifica la circonferenza di un territorio. Ha ragione la professoressa Ada Ferrari quando ricorda che le guerre di confine sono parte integrante del nostro Novecento, almeno fino alla caduta del muro di Berlino: nessuno oggi penserebbe di andare romanticamente in guerra con moschetto e baionetta per difendere i propri confini e di muovere contro il nemico saltando fuori dalle proprie trincee. La soluzione dei conflitti oggi è in mano all’Alta
Finanza. Quando penso al confine mi vengono in mente le cartine geografiche e il maestro delle scuole elementari che mi interrogava sui confini regionali del nostro paese; mi viene in mente che passando dalla Lombardia al Veneto cambia il dialetto, cambiano le facce della gente, cambia la tavola e tante altre abitudini. Non penso più all’identità di un popolo, retaggio di una cultura che noi consideriamo antica. Ma, probabilmente, non è la stessa cosa in altri Paesi e per culture diverse dalla nostra. E allora posso capire – ma non giustifico – Putin che di questo passo, con la possibile annessione dell’Ucraina alla Unione Europea rischia di trovare la Nato a farsi un aperitivo in un bar sulla piazza Rossa.

Ricordo che tanti anni fa un mio conoscente possedeva un appezzamento in montagna che confinava con quello di una piccola baita di cui era proprietaria una anziana e pingue ex infermiera. I confini erano segnati da una lunga fila di garofani rossi che la signora aveva diligentemente piantato e che, nottetempo, ripiantava più in là, appropriandosi di uno spazio che non era suo. Il contenzioso andò in tribunale. L’ebbe vinta la grassona perché i fogli catastali erano del secolo precedente e i confini incerti. Non ci fu una guerra,  ma un vincitore e uno sconfitto. Non ci fu l’intermediazione dell’Alta Finanza perché non c’erano in ballo questioni politiche da risolvere.

Quanto ai criminali di guerra il mio amico ha ragione: magari non sarebbe il caso di eliminarli fisicamente ma almeno messi nelle condizioni di non nuocere. Gli ricordavo però che criminali ce ne sono ovunque, anche nel continente africano. Ma nessuno se ne occupa: le guerre africane non se le fila nessuno. Burkina Faso, Egitto, Libia, Mozambico, Nigeria, solo per citare quelle da rotocalco. E’ proprio vero, la nostra attenzione entra nel mirino quando le guerre si avvicinano a noi, fisicamente, e guardano in tasca nel
nostro borsellino.

La lascio con quest’ultima notizia che arriva dalla Cnn: l’Organizzazione mondiale della sanità ha fortemente raccomandato al ministero della Salute ucraino di distruggere “in sicurezza” agenti patogeni ad alta minaccia ospitati nei laboratori di salute pubblica del Paese ai fini di prevenire ‘eventuali fuoriuscite’. Mi piace il termine “in sicurezza”: sarebbe come se, a lei Direttore, dovessi dire che sono pronto a darle una martellata dove so io, ma ‘in sicurezza’, così da non farle sentire troppo male…

Non capisco. Non capisco Mosca, non comprendo la smaccata spavalderia di Zelensky (effetto Nato?), mi suona strano il ruolo degli States in questa vicenda, e per finire della Nato. E quando non capisco chiedo a chi è più bravo di me.

Ma questa storia dei laboratori non le fa venire in mente qualcosa?

Lettera firmata

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