C’era una volta Lgh. Della multiutility non resta nemmeno il sito dopo la controversa fusione con A2a nella quale sono confluite anche la cremonese Aem e le cremasche Scs e Scrp. E’ stato cancellato dai padroni del vapore, i timonieri del colosso bresciano-milanese, che reindirizzano gli utenti alla loro pagina web. Abbattuta la pianta, cadono le ultime foglie di fico che sinora hanno malamente nascosto l’ipocrisia di chi ha dipinto l’operazione come un’occasione imperdibile di sviluppo e valorizzazione delle ex municipalizzate del nostro territorio e di quelli di Pavia, Rovato, Lodi e Seregno, finite allegramente nel medesimo calderone. Altro che fusione per incorporazione: si è trattato di una pura e semplice vendita (non all’incanto), avvenuta in due tempi, prima con la cessione del 51 per cento delle azioni, poi con la quota restante. Un film dell’orrore cominciato nel 2015 che agli attori e comprimari potrebbe costare il risarcimento dell’eventuale danno erariale causato dalla mancata evidenza pubblica nella procedura adottata. I consiglieri comunali e i componenti dei consigli d’amministrazione delle aziende che hanno approvato la cessione devono risponderne alla procura della Corte dei conti che lo scorso novembre ha avviato un’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza. Beni di proprietà delle comunità locali cremonese, cremasca, rovatese, lodigiana e brianzola sono stati alienati non al miglior offerente, cioè al prezzo più elevato, ma a un acquirente scelto dalla politica, segnatamente dal Pd, con il silenzio-assenso compiacente della Lega. Com’è stata giustificata tale mostruosità? Col principio dell’infungibilità dell’acquirente: sulla piazza, cioè nell’area di operatività di Lgh, secondo i venditori non esistevano aziende concorrenziali con A2a. Si agitava lo spauracchio dell’acquirente straniero, come se l’Azienda Farmaceutica di Cremona in prima battuta non fosse finita in mani tedesche. In politica, si sa, non esistono verità assolute. Vale tutto e il contrario di tutto. Scorrono i titoli di coda e i cittadini-spettatori non applaudono.
Vittoriano Zanolli