E’ sbagliato tradurre il termine anglosassone “company” con “compagnia”, anche perché questa imprecisione potrebbe richiamare la Compagnia delle Indie, la Compagnia dell’anello o addirittura la Compagnia del fil de fer. A beneficio dei cittadini ormai avvezzi all’invasione dell’inglese maccheronico che pervade la nostra vita quotidiana, la corretta traduzione di “company” è invece “azienda” o, ancora meglio, “società”.
Non stiamo però parlando della società di San Vincenzo, della società di massa e di quella dei consumi e sbaglia pure chi fa riferimento alla società dei magnaccioni (Gabriella Ferri; Lando Fiorini). Ormai si deve fare riferimento alle società di profitto (“profit company” direbbero i “maccheroniani”), come A2a, recentemente citata e discussa dal bravo Antonio Grassi sul blog di Zanolli e che si propone invece come “life company”, traducibile in modo approssimativo come “società della vita”.
Già, ma la vita di chi? Forse, come cantava Jannacci, la vita di quelli che fanno l’amore in piedi convinti di essere in un pied-à-terre, di quelli che l’ha detto il telegiornale, di quelli che non ci risultano, di quelli che per principio, non per i soldi.
OCTOPUS