Quando non esisteva il telefonino e la comunicazione a distanza era affidata all’apparecchio fisso, per un ragazzo parlare riservatamente con un’amica era complicato. Non per ragioni tecniche, ma perché all’altro capo del filo spesso rispondeva il padre della ragazza, a cui, prima che la passasse al telefono, doveva declinare le generalità e, in casi non rari, rispondere anche a domande sulle aspirazioni personali. Al “pronto” dell’amica si capiva l’imbarazzo della ragazza perché chi era in casa poteva sentire ogni parola che diceva. L’apparecchio telefonico, infatti, quasi sempre veniva collocato in modo che i trilli fossero udibili in ogni angolo della casa e di conseguenza anche le conversazioni. Tuttavia, il vecchio telefono offriva ai giovani il vantaggio di poter attaccare discorso con ragazze di cui erano venuti a conoscenza soltanto del numero, grazie all’anonimato che assicurava, essendo il display di là da venire.
Renzo, uno studente universitario, nei tiepidi pomeriggi primaverili che precedevano la sessione d’esami del 1972 alla Facoltà di Chimica dell’Università di Pavia, era irresistibilmente attratto, dopo una mezz’ora di studio o al massimo un’ora, dalla finestra aperta della sua stanza, all’ultimo piano, che dava sul cortile interno: una superficie quadrata su cui, ai quattro lati, si affacciavano i balconi dei caseggiati circostanti. Dal suo punto di osservazione, con un colpo d’occhio, riusciva a prendere d’infilata, se la porta-finestra era aperta, quanto accadeva in una ventina di alloggi.
Non gli era sfuggito che una signora sulla trentina, alta, slanciata e ricciuta, di tanto in tanto, a metà pomeriggio, usciva sul balcone, guardava tutt’intorno e rientrava in casa. Incuriosito e attirato dal suo aspetto, si chiedeva che cosa spingesse la donna a quel rapido dentro e fuori. Voleva a tutti i costi scoprire il suo numero di telefono. Come procedere? Scartò l’idea di cercare di attaccare discorso mentre usciva dal portone, in quanto, all’epoca, rivolgersi a una donna sconosciuta per strada era considerato un’azione irrispettosa e che non dava mai il risultato sperato. La ricerca si rivelò più facile del previsto. Fece un sopralluogo e a lato del portone incominciò a passare in rassegna i nominativi inseriti nell’apposito spazio a fianco dei campanelli. Fu attirato da due cognomi sovrapposti con relativi nomi di battesimo, di cui uno era Tiziana. Era anche l’unico nome femminile della lista e, consultando poi l’elenco telefonico, trovò cognome, nome, via e numero di telefono.
Nel pomeriggio, non appena la vide sul balcone, compose la sequenza di cifre. Alla risposta si presentò come Antonio Rivolta, identità credibile e di manzoniana memoria, che molti ignoravano. Educatamente, le disse di essere piacevolmente sorpreso dalla presenza di una donna tanto attraente e, tessendone le lodi, aggiunse che da giorni la osservava dalla finestra. Le chiese gentilmente di uscire sul balcone per fare la conoscenza, almeno visiva. Cosa che avvenne. Durante le telefonate, sempre più frequenti, lui venne a sapere che la signora era sposata, senza figli, che insegnava matematica alle scuole medie, che il marito si assentava spesso per lavoro e lei seppe che lui studiava chimica industriale e che aveva venticinque anni. La telefonata pomeridiana divenne un appuntamento fisso. Lei, dandogli il via libera con l’apparizione sul balcone, cominciò a indossare minigonne, che la moda dell’epoca imponeva più corte rispetto a oggi, mostrando le gambe in tutta la loro estensione, atteggiamento che venne interpretato dal giovane come messaggio di disponibilità. Dopo qualche incertezza, le propose un incontro serale, che venne accettato.
Si presentò all’appuntamento con la sua Fiat 124 verde scuro. Lei, sedendo a bordo, con un gesto carico di sensualità, mise in vista l’abbronzatura delle cosce e disse che preferiva fare un giro in macchina perché temeva di essere sorpresa da qualche conoscente in un locale, di sera, in compagnia di un estraneo. Uscendo dalla città verso Belgioioso, gli propose di acquistare in un bar una bottiglia di vodka per brindare all’incontro. Tra un sorso e l’altro, bevendo a turno direttamente dalla bottiglia, Tiziana allentò le difese che solitamente le donne mettono in essere al primo appuntamento. Lasciava salire la mano di Renzo lungo le gambe, che ad arte, impercettibilmente, divaricava. Poi pronunciò la frase più inaspettata: “Ho la casa libera, mio marito è partito per Trieste”.
La fantasia del giovane volò verso insperati paradisi erotici mentre i sorsi di vodka si susseguivano forzatamente in forma alternata. Giunsero davanti al portone che era ormai l’una di notte. Lei chiese di aspettarla qualche minuto in macchina. Volle salire in casa per accertarsi che il marito fosse partito. “Non si sa mai…” sussurrò, mentre il portone si chiudeva alle sue spalle.
L’effetto soporifero delle sorsate di vodka a cui non era abituato si fece sentire e, nella breve attesa, Renzo reclinò lo schienale del sedile. Si svegliò al canto del gallo, verso le sei di mattina, imprecando e dandosi dell’imbecille.
Sperangelo Bandera
2 risposte
Mi é capitato, per caso, di leggere il racconto breve “Al canto del gallo”.
L’ambientazione negli anni ’70 mi ha ricordato la mia gioventù, pertanto l’ho apprezzata ulteriormente.
Esprimo i complimenti per la creatività nella narrazione, per la scelta del nome del protagonista di manzoniana memoria, ma soprattutto per il finale esilarante.
Congratulazioni all’autore Sperangelo Bandera, che mi ha stupita e mi onora essere stata, proprio in gioventù, sua vicina di casa! 😀
Sempre molto piacevoli i racconti di Sperangelo